GABRIEL (Gabriele, Cabriele), Jacopo
Nacque a Venezia nel 1510 dal patrizio Jacopo, figlio del cavaliere Bertucci, fratello di Trifone.
Il padre ricoprì cariche nell'amministrazione della Repubblica e, nel settembre del 1501, fu eletto savio agli ordini. Inoltre frequentava l'ambiente colto e aristocratico che ruotava intorno a Pietro Bembo. Nell'aprile del 1510 il padre Jacopo morì, forse di peste (cfr. M. Sanuto, I diarii, X, p. 168).
Non si hanno notizie sull'educazione del G., ma è probabile che frequentasse lo zio e la cerchia dei letterati amici del padre, come testimoniano alcune lettere dell'epistolario del Bembo. Dalla lettera del 25 sett. 1545, l'unica indirizzata direttamente al G., sappiamo inoltre che a quell'epoca era sposato e padre di un bambino (Bembo, Opere in volgare, p. 768).
L'attività letteraria del G. è quindi strettamente legata agli insegnamenti di Trifone e agli interessi dell'ambiente culturale veneziano. Nel 1545 il tipografo Giovanni Farri pubblicò a Venezia le Regole grammaticali, resoconto di una conversazione del 15 maggio 1535 tra il G. e lo zio. Nella dedica della successiva edizione (ibid., G. Grifi, 1548), il G. dichiara che l'edizione del 1545 fu fatta a sua insaputa.
In questo dialogo il G. tratta dell'uso degli articoli, anche se afferma che le osservazioni su questa classe appartengono più all'ortografia che alla grammatica, indugia sulle particolarità dei pronomi, distingue i verbi in due coniugazioni, a seconda che la terza persona dell'indicativo presenti termini in -a o in -e, dedica poco spazio agli avverbi e alle preposizioni, analizza i nomi (sostantivi e aggettivi). Le Regole furono poi ristampate da F. Sansovino in Le osservationi della lingua volgare di diversi huomini illustri cioè del Bembo, del Gabriello, del Fortunio, dell'Acarisio et di altri scrittori (Venezia 1562). L'opera del Sansovino è un documento significativo per la storia della lingua italiana in quanto si propone di raccogliere le varie grammatiche per formare un corpus unico e completo, in grado di soddisfare al meglio le esigenze dei lettori. La finalità pratica e didattica della raccolta è evidente nei giudizi, premessi alle singole opere, che mostrano le differenze tra queste e l'opera del Bembo.
Nella premessa al dialogo del G. il Sansovino sottolinea il fatto che le Regole furono tratte "dalla viva voce di Messer Trifone. In questo dialogo adunque, voi havrete le regole medesime del Bembo, […], nelle quali si come troverete utili cose havrete anco diletto nel legger d'udir veramente M. Trifone, del quale io fui ascoltatore due anni, nei tempi giovanili" (pp. 295 s.).
Nel 1545 il G. pubblicò il Dialogo nel quale de la sphera et degli orti et occasi de le stelle minutamente si ragiona (Venezia, G. Farri), dialogo sull'astronomia, ambientato nella campagna veneta e dedicato al Bembo, tra l'autore, lo zio Trifone, il cugino Andrea, Marino Gradenigo e Bernardino Daniello.
Come il G. afferma nella dedica, datata 1° sett. 1544, l'opera contiene anche "la vita del Reverendo M. Triphon Cabriele mio Zio, da vostra Signoria Reverendissima, per sua infinita humanità, molto amato et havuto caro", già pubblicata nel 1543 con il titolo Vita di m. Triphone Gabriele a Bologna per B. Bonardo et M.A. Grossi. Mentre nell'edizione bolognese la narrazione è in prima persona, (e il Cicogna l'attribuisce infatti a Trifone stesso) nel dialogo il G. narra agli altri interlocutori la biografia dello zio, soffermandosi a spiegare le ragioni della scelta di una vita appartata, dedicata alla filosofia, "il cui fine è quello di conoscere la verità e l'ordine delle cose".
Il dialogo fu apprezzato e lodato dal Bembo nella già citata lettera del 25 sett. 1545: "hollo con singolar piacer mio letto e riletto, e veggovi non solamente eccellente astrologo divenuto ma insieme ancora maestro della toscana lingua, la quale a noi viniziani non è molto agevole ad apprender, si che si possa con essa bene e regolatamente scrivere" (pp. 767 s.).
Il G. ricoprì nel 1549 la carica di podestà e capitanio di Feltre, e sotto il suo governo fu edificato il nuovo palazzo del podestà. Morì, presumibilmente a Venezia, nell'agosto del 1550, lasciando "figliuoli ne quali continuò la sua discendenza" (Fontanini, p. 21).
Fonti e Bibl.: G. Bertondelli, Historia della città di Feltre, Venezia 1673, p. 256; Delle lettere di m. P. Bembo, Venezia 1743, II, pp. 33, 38; P. Bembo, Opere in volgare, a cura di M. Marti, Firenze 1961, pp. 767 s.; G. Fontanini, Biblioteca dell'eloquenza italiana, a cura di A. Zeno, Venezia 1753, t. I, p. 21; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Venezia 1772-1781, VII, pt. I, pp. 656 s.; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, III, Venezia 1830, pp. 218-224; C. Trabalza, Storia della grammatica italiana, Milano 1908, p. 123; F. Flamini, Il Cinquecento, Milano s.a., p. 137.