MARIESCHI, Jacopo.
– Nacque a Venezia il 12 febbr. 1711, da Paolo e Paolina Tiozzi (Penzo, p. 207). Non si conoscono le modalità con cui venne avviato alla pittura; presto diventò allievo e prezioso collaboratore del bellunese G. Diziani, a tal punto che la critica ha faticato non poco a distinguere le opere del M. da quelle del maestro. Inoltre, soltanto all’inizio del Novecento si è potuto separare in modo netto la figura del M. da quella di un omonimo vedutista contemporaneo, Michele, con cui egli era stato confuso già dalla fine del Settecento.
Personalità di difficile definizione, il M. è stato rivalutato dalla critica negli ultimi decenni. In vita godé di considerazione (culminata nella nomina a presidente dell’Accademia di pittura nel 1776); ma almeno agli inizi della carriera egli sembra caratterizzarsi soltanto per una notevole capacità imitativa, attingendo al filone pittorico di S. Ricci e seguaci. A partire dal settimo decennio, invece, sembra muoversi con maggiore autonomia sul terreno del colore e della fattura veloce.
Il suo esordio – tenendo conto che già nel 1736, in occasione del battesimo del figlio, è definito «pittore» e che probabilmente in quegli anni era attivo al fianco di Diziani in Friuli – si può porre, sulla base delle opere conservate, al principio del quinto decennio. Nel 1743 era impegnato in due chiese veneziane. A S. Giovanni in Bragora dipinse due tele nella seconda cappella a destra: S. Giovanni Elemosinario dispensa le elemosine (altare) e La traslazione del corpo del santo (lunetta, parete sinistra).
L’ancona mostra caratteristiche consuete, con la figura centrale leggermente soprelevata e quelle di corredo poste intorno, a bilanciare la composizione. In alto a sinistra compare una base di colonna; il riferimento ai maestri del Cinquecento è piuttosto evidente, tuttavia inedita è la curvatura del basamento su cui poggia la membratura, che anima un contesto fin troppo gremito e statico. Completamente diversa è la Traslazione, giocata su una fortissima diagonale dal fondo al primo piano.
Il M. si rivela debitore di Diziani per alcuni dettagli compositivi, ma al tempo stesso attento alla pennellata di G. Guardi e alle scelte coloristiche di Ricci. Costoro vengono evocati anche in S. Maria delle Penitenti per la quale, tra l’agosto e il dicembre 1743, vennero licenziate due tele (Madonna e s. Lorenzo Giustiniani in gloria e la Ss. Trinità), originariamente collocate sul soffitto e oggi presso l’IRE (Istituzioni di ricovero e di educazione) in palazzo Contarini del Bovolo. È rimasta in chiesa, invece, la pala d’altare con Madonna in gloria e santi, che risale alla prima metà del 1744. Citato da Zanetti già nel 1771, questo trittico è stato riportato da Pilo a una corretta datazione, in base alle indicazioni dei pagamenti trovati.
La Madonna con s. Lorenzo Giustiniani è il soggetto costruito con maggiore arditezza, grazie a un potente scorcio scandito da piani inclinati che conducono fino al sommo; e il paragone più immediato è con la dizianesca Madonna del Carmelo per Borbiago. Più semplice è l’organizzazione della Ss. Trinità, in cui la figura di Dio Padre richiama ancora una volta soluzioni del maestro bellunese. Non fa eccezione nemmeno la pala d’altare: il tipo iconografico della Vergine e di s. Margherita da Cortona richiamano figure di Diziani contenute in opere friulane. Nonostante le citazioni dai predecessori, vanno riconosciute al M. alcune scelte personali: maggiore eleganza formale e uso più leggero del colore, la cui luminosità intensa coinvolge l’occhio dell’osservatore e rivela l’assimilazione della lezione di G. Pittoni e di Ricci. «Ne risulta un esito lievemente patetico, in bilico fra un barocchetto appena inclinante alla compostezza e l’immediatezza di una pittura di tocco densamente materica e carica di potenzialità espressive; che però si risolvono, come nel Ricci maturo, nelle capacità implicite nell’autonomia della materia medesima» (Pilo, 1982, p. 49).
Al quinto decennio probabilmente appartengono due serie di teleri che si evidenziano per vena narrativa: quattro Episodi di storia presso la curia vescovile di Vittorio Veneto (la cui datazione, normalmente proposta al 1740, andrà forse spostata in avanti) e le Storie di s. Romualdo, oggi in deposito presso la soprintendenza speciale per il Polo museale veneziano, realizzate per la chiesa di S. Clemente in Isola (1745-48). È documentata, invece, l’Immacolata Concezione e santi nella chiesa di S. Stefano, tra le sue opere più notevoli, il cui pregio è la brillante organizzazione della gamma cromatica e il tentativo di affrancarsi da Diziani in direzione dello stile di Ricci, come denunciano le fattezze di angeli e cherubini.
Nel 1755 il M. approdò all’Accademia di pittura che lo nominò professore; negli anni a venire sarà più volte confermato nell’incarico, talvolta anche come consigliere. Né si deve dimenticare che egli fu anche perito e restauratore di dipinti (Penzo, p. 209). Altre opere degli anni Cinquanta sono due stazioni della Via Crucis (Salita al Calvario e Seconda caduta sotto la Croce del 1755) per S. Maria del Giglio e alcune tele per il complesso di S. Giovanni Evangelista.
Se l’Ultima Cena e il successivo S. Giovanni Evangelista adorante la reliquia della Croce (1760) concepiti per la chiesa segnano la raggiunta maturità del pittore quanto a cromatismo, bilanciamento e composizione, il S. Giovanni Evangelista portato in cielo – che insieme con altri due episodi fu elaborato per l’annessa Scuola grande – lascia intendere l’imminente mutamento di stile nell’organizzazione delle figure, che ascendono verso il cielo con movimento guizzante in un tripudio di rossi, gialli, verdi e azzurri. A partire da questo momento il M. comporrà in maniera più libera e larga, affidandosi a un modellato pastoso e a sprazzi di illuminazione che ricordano Guardi e i pittori del rococò tedesco. Se ancora da documentare è il suo coinvolgimento nella decorazione interna di S. Maria del Carmelo, nonostante ipotesi plausibili (Rizzi; Piai), recenti ricerche hanno certificato che il Martirio di s. Bartolomeo per la chiesa di S. Francesco di Paola deve datarsi al 1764 (Penzo, p. 210); qui il pittore ha trasformato la scena cruenta in un’insolita tranche de vie – come conferma la presenza di un pescatore sdraiato nel primissimo piano – dominata dal rosso che si raggruma in piccole pozze di colore.
Verso la fine del decennio il M. partecipò anche al rinnovamento dell’atrio terreno della Scuola della Carità con tre soffitti: le Virtù teologali, la Madonna incoronata in cielo e la Divina Sapienza e Virtù teologali (Venezia, Gallerie dell’Accademia). All’inizio dell’ottavo decennio bisogna invece far risalire gli affreschi nella cappella della S. Casa di Loreto presso la chiesa di S. Giovanni Battista a Vescovana (edificio in cui si conserva anche una malconcia pala con santi, sul primo altare a sinistra), raffiguranti una Madonna con Bambino, sante ed angeli.
Il M. morì a Venezia nel 1794.
Fonti e Bibl.: A.M. Zanetti, Della pittura veneziana…, Venezia 1771, p. 481; G. Fogolari, Michele Marieschi, pittore prospettico veneziano, in Boll. d’arte, III (1909), 7, pp. 241-251; E. Bassi, La pala di J. M. per la chiesa delle penitenti, in Arte veneta, III (1949), pp. 167 s.; Id., La pala di J. M. per S. Francesco di Paola, ibid., VII (1953), p. 174; A. Rizzi, Schede venete: N. Frangipane, P. Malombra, J. M., in Antichità viva, XII (1973), 1, pp. 19-21; F. Valcanover, Una «copia» di J. M. da P. Longhi, in Arte veneta, XXXII (1978), pp. 437-440; E. Martini, La pittura del Settecento veneto, Udine 1982, pp. 109, 555, 890-895; G.M. Pilo, Lorenzo Giustiniani. Due imprese pittoriche fra Sei e Settecento a Venezia, S. Pietro di Castello e S. Maria delle Penitenti, Pordenone 1982, pp. 44-49; E. Martini, Problemi e precisazioni su dipinti e disegni di J. M., G. Diziani e N. Grassi, in Notizie da Palazzo Albani, 1984, n. 2, pp. 90-103; La pittura in Italia. Il Settecento, Milano 1990, I, ad ind.; II, pp. 782 s.; A. Piai, G. Diziani a San Gallo, con alcune osservazioni su J. M. (e B. Letterini), in Per l’arte da Venezia all’Europa. Studi in onore di G.M. Pilo, II, a cura di M. Piantoni - L. De Rossi, Monfalcone 2001, pp. 481-484; I. Penzo, J. M., pittore figurista e «accademico» veneziano del Settecento (con una restituzione per Giovanni Battista Canal), in Arte documento, 2002, n. 16, pp. 206-211.