MOSTACCI, Jacopo
– Non sono noti gli estremi biografici di questo poeta attivo nel sec. XIII, che appartiene al nucleo fondamentale della scuola siciliana. I suoi componimenti sono contenuti nei principali manoscritti della lirica italiana delle origini e da qui si sono mosse le ricerche per ricostruirne il profilo biografico.
I dati fondamentali sono le rubriche dei codici, dove egli è definito «Messer jacopo mostacci» (Città del Vaticano, Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat.,3793), «Messer jachomo mostacci» o «messer jacopo mostacci di pisa» (Firenze, Bibl. nazionale centrale, Banco Rari,217, già Palatino,418). A partire da questi dati gli studiosi hanno setacciato la documentazione d’archivio alla ricerca di un personaggio attivo alla corte di Federico II al quale si potessero ragionevolmente attribuire le poesie tràdite dai codici. I dati positivi sono estremamente ridotti. Le uniche evidenze documentarie sulle quali vi sia consenso partono dall’identificazione di Mostacci con un falconiere di Federico II del quale vi è traccia nei Registri della cancelleria: in una lettera datata 5 maggio 1240 da Foggia, nella quale Federico dà disposizioni sull’approvvigionamento di 18 falconieri recatisi a Malta per procurare rapaci da caccia, alla fine dell’elenco compare un «Jacobus Mustacius falconerius» che aveva diritto, come quasi tutti gli altri citati, fino al ritorno a Messina, «pro se, uno homine et duobus equis» (I registri…, 2002, pp. 915 s., n. 1048; Böhmer, 1881-1901, n. 3082; Huillard-Bréholles, 1895).
Nei Registri si fa menzione di circa 40 falconieri (alcuni dei quali detti «magistrii falconerii») ed è importante notare che la retribuzione era assimilata a quella dei familiares regis «extra Regnum» (I registri…, p. 919; Pasciuta, 2005, p. 574): ulteriore conferma, assieme al trattato De arte venandi, della considerazione in cui il sovrano teneva i propri falconieri. Un «Jacobo Mostacio» compare alla corte barcellonese di Giacomo d’Aragona nel 1260, tra gli ambasciatori che trattarono le nozze di Costanza, figlia di Manfredi, con l’erede al trono Pietro (Zurita, 1967; Miret i Sans, 2007), e poi, il 3 giugno 1262, a Montpellier, tra i testimoni dell’atto di celebrazione del matrimonio e di consegna della dote (Capasso, 2009, pp. 214 s., n. 369). Infine, un «dominus Iacobus Mustacius» riappare in documenti del 1275, 1276 e 1277, quale possessore di terre nel messinese e miles (Scandone, 1900, p. 14; Id., 1904, pp. 228 s.; Cesareo, 1924, p. 143; Fratta, 2005, p. 11; sulla famiglia «Mustacio» o «Mustaciis» a Messina, cfr. Marrone, 2006, pp. 302 s.).
Si dovrebbe quindi immaginare un falconiere (che nella lista del 1240 è uno fra i tanti di una piccola spedizione e non certo un personaggio di spicco) che alla corte di Federico e poi di Manfredi, in virtù del prestigio riconosciuto alla propria professione e, forse, per i meriti letterari, compie una decisa ascesa sociale fino a essere definito miles nei documenti e messere nelle rubriche (di qui l’idea della nobiltà di Mostacci in Folena, 1987, p. 307, e Varvaro, 1987, pp. 92 s.; «incerta o sconosciuta» l’identità sua e di altri siciliani per Bruni, 1990, p. 233). Una carriera di questo tipo, tuttavia, dev’essere valutata in rapporto alle disposizioni delle Costituzioni di Melfi, promulgate da Federico II nel 1231, che consentono l’accesso all’ordinem militarem, a meno di speciale licenza imperiale, ai soli figli dei milites (Stürner, 1996, pp. 430 s.). È quindi in teoria possibile che il falconiere, l’ambasciatore di Manfredi e il miles messinese siano tre individui distinti. Sembra debole l’ipotesi di Torraca, che rintracciava vari Mustacius, Mustaccius e Mustaczus nel leccese e reputava Mostacci di origine continentale (Torraca, 1902). Solitamente rifiutata è la pista indicata dalla rubrica del Banco Rari,217, che considera il poeta pisano: il codice, infatti, è di norma poco affidabile in materia di attribuzioni. Su queste incerte basi documentarie è forse eccessivo considerare l’ipotetica origine messinese come un’ulteriore conferma del «ruolo fondamentale avuto da Messina nella formazione dell’ideologia e del linguaggio poetici dell’epoca federiciana» (Fratta, 2005, p. 11), il «laboratorio messinese» di cui parlava Gianfranco Contini (Poeti del Duecento, I, 1960, p. 46). Il ruolo centrale di Messina sembrerebbe confermato da Giuseppina Brunetti (2008; cfr. anche Coluccia, 2010, p. 23).
A partire da Bruno Panvini il canone dei poeti federiciani si basa sulla testimonianza del Vat. lat.,3793, il cui ordinamento, all’interno di una distinzione di base per generi tra canzoni e sonetti, sembrerebbe rivelare un preciso progetto cronologico del compilatore. Secondo Contini sono infatti da ritenere siciliani i poeti, di qualsiasi regione, la cui produzione «occupa, genere per genere, il primo posto nella più estesa e organica silloge delle nostre origini» (Poeti del Duecento, I, 1960, p. 45). Il corpus così stabilito, accolto da Roberto Antonelli (1984, pp. XXII-XXVI) e sostanzialmente confermato dalla storiografia (Brugnolo, 1995, p. 286; Calenda, 2005, pp. 667 s.; ma si vedano le precisazioni di Carrai, 2009, in part. le pp. 467 s.), comprende 25 poeti che si presume abbiano fatto parte del gruppo più vicino alla corte di Federico II di Svevia (il canone è ipotetico e non è detto rispecchi la cronologia reale, che in molti casi, come accade con Mostacci, resta incerta). All’interno di tale ordinamento, le canzoni di Mostacci occupano il tredicesimo posto (cc. 11v-13r), e il settimo posto nel terzo fascicolo, che si apre con Rinaldo d’Aquino. Inoltre, se «nei più o meno cento testi tràditi nelle prime trenta carte [...], al corpus cospicuo dell’iniziatore di fascicolo seguono non più veri e propri corpora di autori quanto testi di fatto isolati o autori la cui produzione è costituita da un massimo di due componimenti» (Brunetti, 2000, p. 263), l’unica eccezione tra i poeti federiciani è costituita dai sei testi di Mostacci, che, dal punto di vista quantitativo, a parte Giacomo da Lentini, si colloca al terzo posto assieme a Mazzeo di Ricco, dopo Rinaldo d’Aquino (12 testi) e Giacomino Pugliese (7). Il Vat. lat.,3793 contiene tutte le sei canzoni a lui attribuite, la cui paternità è confermata dalla critica; nell’ordine: Allegramente canto; Amor, ben veio che mi fa tenere; A pena pare ch’io saccia cantare; Umile core e fino e amoroso; Di sì fina ragione; Mostrar voria in parvenza. Troviamo un solo testo, Allegramente, attribuito a Giacomo d’Aquino, nel codice Redi,9 (Firenze, Bibl. Medicea Laurenziana) e cinque nel Banco Rari 217, uno dei quali, Di sì fina ragione, attribuito a Ruggieri d’Amici, e un altro, Poi tanta caunoscenza, assegnato a Messer jacopo mostacci di pisa, che la critica, seguendo il Vat. lat.,3793, attribuisce concordemente a Piero della Vigna. Il settimo componimento attribuibile a Mostacci è nel Barb. lat.,3953 (Città del Vaticano, Bibl. apost. Vaticana), codice miscellaneo appartenuto a Nicolò de’ Rossi: qui si conservano, assieme a un gruppo di testi riconducibili alla scuola, tre sonetti attribuiti in rubrica rispettivamente a Jacopo mostaçço, Pietro da lauigna e al Notaro Jacopo da lentino, che fanno verosimilmente parte di una tenzone a tre voci sulla natura d’Amore iniziata da Mostacci col sonetto Solicitando un poco meo savere (I poeti della scuola …, 2008, I, pp. 387-411).
Tràdita nella veste linguistica trevigiana tipica dell’unico testimone (Barb. lat., 3953), la tenzone (che si legge toscanizzata in entrambe le versioni, toscana e veneta, nell’ultima ed. Antonelli; cfr. anche Coluccia, 2009, pp. 17-19) conferma il ruolo di primo piano di Mostacci: è lui a proporre l’argomento della disputa a due tra i personaggi principali della scuola. Sonetti di questo tipo, che si possono definire pseudo-filosofici, erano comuni in ambito federiciano e i ragionamenti sulla fisiologia e la fenomenologia d’amore erano già tipici della poesia trobadorica (De Lollis, 1920; Picone, 2003). Secondo Antonelli la tenzone sarebbe successiva a quella di Giacomo con l’Abate di Tivoli (I poeti della scuola…, 2008, I, pp. 349-385, 391, 395), dal momento che Mostacci replicherebbe alle posizioni espresse dall’Abate; l’ipotesi è onerosa, giacché le formule da lui utilizzate sono usuali: la cronologia relativa resta quindi indecidibile. Impossibile determinare dove la tenzone abbia avuto luogo: se non regge l’ipotesi di Monaci, che la reputava composta a Bologna, si può forse ritenere che si sia svolta «a corte» (Poeti del Duecento, 1960, I, p. 141; I poeti della scuola…, I, p. 392), tenendo per fermo il carattere itinerante della curia. La posizione espressa da Mostacci potrebbe essere definita «realistica»: si contesta l’idea che l’amore «à potere / e li coraggi distringe ad amare» (Solicitando, vv. 5 s.), replicando che esso «no parse ni pare» (v. 8), ossia non poté mai essere osservato nella realtà; l’unica qualità che vi si riconosce è «una amorositate / la quale par che nasca di piacere» (vv. 9 s.). Piero della Vigna (Però ch’Amore) replica mettendo anch’egli l’accento sull’invisibilità d’amore, mentre Giacomo (Amor è uno disio), seguendo Andrea Cappellano, spiega la genesi dell’innamoramento a partire dal fenomeno della vista.
Si segnala anche la canzone Umile core e fino e amoroso (I poeti della scuola…, II, pp. 408-18). Si tratta (con Madonna, dir vo voglio di Giacomo da Lentini e Poi li piace ch’avanzi suo valore di Rinaldo d’Aquino) di una delle tre traduzioni relativamente sicure da poesie provenzali realizzate nella scuola, prova materiale della trasformazione in atto dalle forme trobadoriche ai poeti federiciani (Folena, 1987, pp. 304 s.; Brugnolo, 1999; Santini, 2003).
Il modello è la canzone Longa sazon ai estat vas Amor (Pillet - Carstens, 1933, BdT,271.1), il cui assetto testuale e attributivo (tra i nove nomi offerti da 15 manoscritti) è incerto. Umile core va forse ritenuta l’unica chanson de change della scuola (Brugnolo, 1999), circostanza di per sé rilevante, poiché si ritiene sia un genere dalle marcate connotazioni feudali che costituirebbe un unicum anche per motivi storico-politici. Il ‘cambio’ di dama, infatti, è da alcuni ritenuto rappresentativo, in ambito trobadorico, del mutamento di servizio da un signore all’altro; un parallelismo che, nel contesto federiciano, sembrerebbe difficile da immaginare. Tuttavia, la tesi sociologica – e quindi la perfetta sovrapponibilità tra il piano dell’espressione poetica e quello della realtà storica e sociale – è lungi dall’essere universalmente accettata (Köhler, 1964; Krauss, 1982; di contro Beltrami, 2001; Giunta, 2008) e una chanson de change, alla corte di Federico, potrebbe pur sempre essere solo il segno di un amore realmente o programmaticamente mutato.
Aniello Fratta (I poeti della scuola…, II, p. 409) ha invece negato il problema puntualizzando come la signoria cui il poeta afferma di essersi servato sia quella di Amore. La canzone interessa anche per le modalità di traduzione: se per Madonna, dir vo voglio il modello è A vos, midons di Folchetto di Marsiglia (Pillet - Carstens, 1933, BdT, 155.4), unicum del codice Fr. 15211 Paris, Bibliothèque nationale, nel caso di Umile core siamo dinanzi a una tradizione complessa. Fratta ritiene che Mostacci abbia utilizzato un testo con varianti marginali o abbia collazionato diversi codici e proposto in alcuni punti soluzioni alternative. C’è un’altra possibilità: che egli abbia avuto dinanzi un codice molto diverso da quelli giunti fino a noi e che abbia tradotto con un certo grado di libertà. Non siamo in grado di determinare, infatti, quanti e di quale natura fossero i testi o i manoscritti provenzali a disposizione dei poeti della scuola siciliana.
Tra le altre composizioni spicca Allegramente canto, nella quale si troverebbe «riflessa [...] la poetica del nostro poeta» (Fratta, 2005, p. 11). I temi ricorrenti in Mostacci sono quelli classici della poesia trobadorica: la paura e il timore ritenuti indispensabili all’amore (Allegramente, vv. 1-3, 10-12, 13 s., 25 s.; Mostrar voria, vv. 1-3, 9 ecc.) e la conseguente necessità di tenerlo celato (Allegramente, vv. 4-6; Mostrar voria, vv. 10 s., 29 s.), affinché il canto si dispieghi gioiosamente (Allegramente canto, v. 1 s.; Amor, ben veio, vv. 18 s., 43 s.; A pena pare, vv. 12-14, 65-70 ecc.) per superare la gravanza (A pena pare, v. 40). Rare le apparizioni di personaggi tipici della lirica trobadorica, come i falsi (Di sì fina, vv. 5, 42) e i maldicenti (Amor, ben veio, v. 46). Di un certo interesse la personificazione di Amore accanto alla Donna (Amor, ben veio, vv. 37 s.), procedimento relativamente inconsueto nella scuola che avrà invece larga diffusione in Toscana.
Rimatore di «aspetto rigorosamente aulico, arcaico» (Poeti del Duecento, I, 1960, p. 141), «rappresentante dell’ortodossia cortese e dell’aulicità del discorso poetico [...]» (Brugnolo, 1995, p. 298), Mostacci viene tradizionalmente collocato in quella che si può definire la corrente manieristica della scuola (Poeti del Duecento, I, 1960, p. 49), che coesiste (anche dal punto di vista materiale, ossia all’interno dei codici) con quella che si è soliti chiamare popolareggiante, la quale, lungi dal costituire una tradizione separata, va ritenuta un «complemento della lirica aristocratizzante» (I poeti della scuola…, II, p. XC). In ogni caso, l’ipotetica collocazione sociale e le caratteristiche interne all’opera e alla tradizione manoscritta fanno di Mostacci un rappresentante eccellente di quel gruppo di amatori di poesia e letterati (notai, giuristi, falconieri) che alla corte di Federico II e poi di Manfredi, traducendo e aggiornando le rime più famose e «alla moda» dei trovatori, diedero vita a una scuola che già Dante (e forse il compilatore del Vat. lat.,3793) poteva identificare come un fenomeno unitario.
Opere: Le antiche rime volgari secondo la lezione del codice Vaticano 3793, pubblicate per cura di A. D’Ancona - D. Comparetti, Bologna 1875-88, I, pp. 124-141; V. Nannucci, Manuale della letteratura del primo secolo della lingua italiana, Firenze 1883, pp. 301-303; E. Monaci, Crestomazia italiana dei primi secoli, a cura di F. Arese, Roma-Napoli-Città di Castello 1955, pp. 90-92; B. Panvini, La scuola poetica siciliana. Le canzoni dei rimatori non siciliani, I-II, Firenze 1957-58, pp. 75-96; Id., Le rime della scuola siciliana, I, Introduzione, testo critico, note; II, Glossario, I, Firenze 1962-64, pp. 145-153, 419-423, 646 s.; Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, I, Milano - Napoli 1960, pp. 88 s., 141-144; La poesia lirica del Duecento, a cura di C. Salinari, Torino 1968, pp. 174-185; Giacomo da Lentini, Poesie, ed. critica a cura di R. Antonelli, I, Introduzione, testo, apparato, Roma 1979, pp. 271-276; Concordanze della lingua poetica italiana delle origini, a cura di d’A.S. Avalle, Milano-Napoli 1992; B. Panvini, Poeti italiani della corte di Federico II, Napoli 1994, pp. 209-221, 258; Scuola siciliana, a cura di L. Morini, in Antologia della poesia italiana, diretta da C. Segre - C. Ossola, I, Duecento-Trecento, Torino 1997, pp. 47-49. L’edizione di riferimento, da cui si cita, è: I poeti della scuola siciliana, I, Giacomo da Lentini, ed. critica a cura di R. Antonelli; II, Poeti della corte di Federico II, ed. dir. da C. Di Girolamo; III, Poeti siculo-toscani, ed. dir. da R. Coluccia, Milano 2008, I, pp. 387-397 (per la tenzone); II, pp. 377-434 (per le canzoni).
Fonti e Bibl.: J.-L.-A. Huillard-Bréholles, Historia diplomatica Friderici II, V, 2, Paris 1895, pp. 969 s.; J. Böhmer, Regesta Imperii. V. Die Regesten des Kaiserreichs unter Philipp, Otto IV, Friedrich II ...1198-1272, I-III, Innsbruck 1881-1901, n. 3082; A. Pillet - H. Carstens, Bibliographie der Trobadours (BdT), Halle 1933, 155.4, 271.1; J. Zurita, Anales de la Corona de Aragón…(1562-1569), a cura di A. Canellas López, Zaragoza 1967, p. 602; Monumenta Germaniae Historica, II suppl., Die Konstitutionen Friedrichs II. für das Königreich Sizilie, a cura di W. Stürner, Hannover 1996, pp. 403 s.; I registri della cancelleria di Federico II del 1239-1240, a cura di C. Carbonetti Venditelli, Roma 2002, pp. 915 s.; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana, 1282-1390, Palermo 2006, pp. 302 s.; J. Miret i Sans, Itinerari de Jaume I..., ed. anast., Barcelona 2007 (I ed. 1918), p. 303; B. Capasso, Historia diplomatica Regni Siciliae ab anno 1250 ad annum 1266, nuova ed. a cura di R. Pilone, Battipaglia 2009, pp. 214-224. Per la bibliografia si segnalano esclusivamente i contributi di interesse biografico e gli studi citati: F. Torraca, La scuola poetica siciliana, in Nuova Antologia, LIV (1894), pp. 235-250, 458-476; F. Scandone, Ricerche novissime sulla scuola poetica siciliana del sec. XIII ..., Avellino 1900, pp. 13-20; F. Torraca, Studi su la lirica italiana del Duecento, Bologna 1902, pp. 138 s., 214-219; F. Scandone, Notizie biografiche di rimatori della scuola siciliana con documenti, Napoli 1904, pp. 212-230; E. Monaci, Da Bologna a Palermo: primordi della scuola poetica siciliana, in Antologia della nostra critica letteraria moderna, compilata da L. Morandi, Città di Castello 1909, pp. 205-223; C. De Lollis, Poesie provenzali sulla origine e sulla natura d’amore, Roma 1920; G.A. Cesareo, Le origini della poesia lirica e la poesia siciliana sotto gli Svevi, II ed. accresciuta, Milano-Palermo-Napoli 1924, pp. 143 s.; S. Santangelo, Le tenzoni poetiche nella letteratura italiana delle origini, Genève 1928, pp. 188-195; Poeti del Duecento, cit., I, pp. 45-48; E. Köhler, Observations historiques et sociologiques sur la poésie des troubadours, in Cahiers de civilisation médiévale, VII (1964), pp. 27-51; H. Krauss, Sistema dei generi e scuola siciliana, in La pratica sociale del testo. Scritti ... in onore di Erich Köhler, Bologna 1982, pp. 123-158; R. Antonelli, Repertorio metrico della scuola poetica siciliana, Palermo 1984; G. Folena, Cultura e poesia dei siciliani, in Storia della letteratura italiana, I, Le origini e il Duecento, a cura di E. Cecchi - N. Sapegno, Milano 1987 (I ed. 1965), pp. 291-372; A. Varvaro, Il regno-normanno svevo, in Letteratu-ra italiana, storia e geografia, I, L’età medievale, Torino 1987, pp. 79-99; F. Bruni, La cultura alla corte di Federico II e la lirica siciliana, in Storia della civiltà letteraria italiana, I, Dalle origini al Trecento, Torino 1990, pp. 211-273; G. Inglese, I. M., in Letteratura italiana. Gli autori. Diz. bio-bibliografico..., Torino 1991, II, p. 993; R. Antonelli, Canzoniere Vaticano latino 3793, inLetteratura italiana. Le opere, I, Dalle origini al Cinquecento, Torino 1992, pp. 27-44; F. Brugnolo, La scuola poetica siciliana, in Storia della letteratura italiana, I, Dalle origini a Dante, Roma 1995, pp. 265-337; A. Fratta, Le fonti provenzali dei poeti della scuola poetica siciliana ..., Firenze 1996, pp. 55-59; F. Brugnolo, I siciliani e l’arte dell’imitazione: Giacomo da Lentini, Rinaldo d’Aquino e I. M. “traduttori”..., in La parola del testo, III (1999), pp. 45-74; G. Brunetti, Il frammento inedito «Resplendiente stella de albur» di Giacomino Pugliese e la poesia italiana delle origini, Tübingen 2000; P. Squillacioti, BdT 276,1 Longa sazon ai estat vas Amor, in Rivista di studi testuali, II (2000), pp. 185-215; R. Antonelli, Struttura materiale e disegno storiografico del canzoniere Vaticano, in I canzonieri della lirica italiana delle origini, IV, Studi critici, a cura di L. Leonardi, Firenze 2001, pp. 3-23; P.G. Beltrami, Giraut de Borneil “plan e clus”, in Interpretazioni dei trovatori. Atti del convegno ... 1999, a cura di A. Fassò - L. Formisano, Bologna 2001, pp. 7-43; S. Asperti, Le chansonnier provençal T et l’École Poétique sicilienne, in Revue des Langues Romanes, CVII (2003), pp. 49-77; M. Picone, La tenzone “de amore” fra I. M., Pier della Vigna e il Notaio (1999), in Id., Percorsi della lirica duecentesca ..., Fiesole 2003, pp. 47-67; G. Santini, La tradizione indiretta della lirica trobadorica. Le traduzioni siciliane ..., in Critica del testo, VI (2003), pp. 1051-1088; B. Pasciuta, Falconerius, in Federico II. Enciclopedia Fridericiana, Roma 2005, I, p. 574; A. Fratta, J. M., ibidem, II, pp. 11-13; C. Calenda, Scuola poetica siciliana, ibidem, II, pp. 658-672; G. Brunetti, Una carta autografa del poeta siciliano Mazzeo di Riccio, in L’Ellisse, III (2008), pp. 163-170; C. Giunta, Sulla ricezione e sull’interpretazione della poesia delle origini, in Comunicazione e propaganda nei secoli XII e XIII. Atti del convegno ... 2007, a cura di R. Castano et al., Roma 2008, pp. 31-48; S. Carrai, recens. a: I poeti della scuola, in Lettere italiane, LXI (2009), 3, pp. 466-475; R. Coluccia, Trasmissione del testo e variazione: qualche appunto sulla fenomenologia dei processi e sulle scelte degli editori, in Medioevo letterario d’Italia, VI (2009), pp. 9-24; R. Coluccia, I Poeti siculo-toscani. Rapporto da un’edizione (con qualche indicazione di lavoro ulteriore), in Storia della lingua italiana e filologia. Atti del VII convegno ASLI, Associazione per la storia della lingua italiana, Pisa-Firenze ... 2008, a cura di C. Ciociola, Firenze 2010, pp. 13-45.