NAPOLI, Jacopo
– Nacque a Napoli, il 26 agosto 1911 da Gennaro e da Dora Zampini.
Si formò nel Conservatorio S. Pietro a Majella di Napoli, studiando composizione sotto la guida del padre, pianoforte con Sigismondo Cesi e Luigi Finizio, organo con Franco Michele Napolitano. Dopo i premi ottenuti ai Littoriali nel 1934 col Quartetto per archi in Mi, e nel 1935 con l’Ouverture per la commedia di Shakespeare Pene d’amor perdute (diretta da Alfredo Casella a Napoli l’anno seguente), ricevette dal teatro di S. Carlo la commissione dell’opera Il malato immaginario, «commedia lirica» tratta da Molière, libretto di Mario Ghisalberti in due quadri e un intermezzo. Andata in scena nel febbraio 1939, ripresa poi alla Scala e in alcuni teatri tedeschi, l’opera conobbe un certo favore di pubblico e fu salutata positivamente dalla critica, che vi riconobbe un’efficace rielaborazione dello spirito dell’opera comica settecentesca napoletana, specialmente pergolesiana (Procida, 1939).
L’incoraggiante accoglienza lo spinse a concentrare le energie nel campo teatrale, rimasto da allora al centro del suo interesse. Sulle prime ritornò sulla fortunata formula d’esordio con Un curioso accidente, dalla commedia di Carlo Goldoni, ancora su libretto di Ghisalberti: pubblicata nel 1943, per le vicende belliche l’operaandò in scena soltanto nel 1950 al teatro delle Novità di Bergamo, senza grande risalto pubblico. Nel dopoguerra, abbandonata la sponda del neo-settecentismo alla Wolf-Ferrari, fu la volta di Miseria e nobiltà (Napoli, S. Carlo, 1946), adattamento della celebre commedia di Eduardo Scarpetta. Questo lavoro inaugurò un lungo periodo di stretta collaborazione con Vittorio Viviani, col quale Napoli venne fissando l’attenzione su temi e ambienti meridionali, in una drammaturgia d’impianto tendenzialmente verista. La tappa forse più ambiziosa di tale percorso fu costituita da Mas’Aniello, «tragedia popolare», seconda classificata nel concorso indetto dalla Scala per il cinquantenario della morte di Verdi (Igor Stravinskij, Arthur Honegger, Giorgio Federico Ghedini e Victor De Sabata in giuria) e lì rappresentata due anni dopo con esito alquanto contrastato. A essa fecero seguito I pescatori (1954, da Raffaele Viviani), Il tesoro (1958, da una commedia di Giovan Battista Salviati), Il rosario (1962, da Federico De Roberto), infine l’atto unico Il povero diavolo (Trieste, teatro Verdi, 1963) che Napoli stesso, scrivendo all’amico Mario Castelnuovo-Tedesco, definì «una feroce satira a Gounod, Berlioz, Boito, Busoni» (lettera del 5 novembre 1958 in Bardi, 2012, p. 260).
In tutte queste opere, pur entro un certo qual eclettismo stilistico, si mantenne strenuamente fedele al linguaggio tonale, convinto che esso assicurasse l’immediata comunicazione col pubblico, senza che peraltro tale prospettiva comportasse prese di posizione polemiche nei confronti del serialismo o delle avanguardie postweberniane. Sulle scelte di Napoli influì peraltro anche il forte vincolo di appartenenza alla cultura della città d’origine: tratto costitutivo del suo profilo di compositore, che si coglie in molte partiture, quali La festa di Anacapri (1940), Le stagioni napoletane su poesie anonime del Settecento (1967), Munasterio (1968, da Salvatore Di Giacomo); a questo tratto si accordò anche il lavoro di recupero dei canti popolari campani (trascrizioni per l’Antologia della canzone napoletana, Columbia-EMI, 1961: volume Grida di venditori napoletani, 1968) e la revisione di opere buffe di Domenico Cimarosa, Niccolò Piccinni e Giovanni Paisiello.
Il legame con la città d’origine rimase strettissimo anche quando, dopo aver avuto un incarico d’insegnamento nel liceo musicale di Cagliari e tenuto la direzione del Conservatorio S. Pietro a Majella (1955-1962), passò a guidare prima il Conservatorio di Milano (1962-71), indi quello di Roma (1972-75).Tornò infine a dirigere quello di Napoli per un solo anno (1978). Nella fase cruciale in cui, entrato in crisi il vecchio modello accademico elitario, i conservatori italiani si andavano trasformando in strutture di massa, Napoli si dimostrò dirigente equilibrato e lungimirante, pronto ad ampliare l’offerta didattica e a lavorare per l’aggiornamento dei metodi, dei programmi e dei repertori; seppe peraltro prescindere dalle personali propensioni di gusto, favorendo una maggiore presenza della musica contemporanea negli istituti da lui diretti.
Dalla seconda metà degli anni Sessanta, divenuto ormai figura istituzionale di spicco nel panorama italiano – accademico di S. Cecilia, membro del Consiglio superiore delle antichità e belle arti, per breve tempo anche direttore artistico dell’Opera di Roma (1975) e del S. Carlo (1978) – fu via via meno presente sui palcoscenici nazionali. Dopo aver saggiato strade diverse dal passato mediante l’avvicinamento ai testi di Aleksandr S. Puškin compiuto con Il barone avaro (1970) e Dubrowski II (1973), entrambi su libretti di Mario Pasi, la messinscena di A San Francisco, su un vecchio libretto di Vittorio Viviani ricavato dall’omonimo dramma di Salvatore Di Giacomo (S. Carlo, 1983), sancì un ritorno ai temi più amati.
Morì ad Ascea (Salerno) il 19 ottobre 1994.
Fonti e Bibl.: C. Schmidl, Dizionario universale dei musicisti, II, Milano 1938, p. 390; A. Procida, «Il Malato immaginario», musica di J. N., al S. Carlo di Napoli, in Musica d’oggi, XXI (1939), 2, pp. 60 s.; A. Longo, Opere e operisti napoletani dell’ultimo cinquantennio, in Cento anni di vita del Teatro di San Carlo, Napoli 1948, pp. 108 s.; A. della Corte, «Miseria e nobiltà» di J. N., in La Stampa, 27 marzo 1964; G. Vigolo, Il tesoro, in Mille e una sera all’opera e al concerto, Firenze 1971, pp. 391-393; F. Nicolodi, Musica e musicisti nel ventennio fascista, Fiesole 1984, pp. 20, 23, 284 s.; R. Zanetti, La musica italiana del Novecento, Milano 1985, pp. 145, 990; Milano e il suo Conservatorio, a cura di G. Salvetti, Milano 2003, passim; D. Tortora, Il Conservatorio S. Pietro a Majella: dal secondo dopoguerra alle soglie del nuovo millennio, in Percorsi della musica a Napoli nel Novecento, a cura di G. D’Agostino, in Meridione, V (2005), 2, pp. 54-82; A. Bardi, Mario Castelnuovo-Tedesco amico dei musicisti napoletani, in Musica e musicisti a Napoli nel primo Novecento, a cura di P.P. De Martino - D. Tortora, Napoli 2012, pp. 237-272; Enciclopedia dello spettacolo, VII, col. 1025; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti. Le biografie, V, pp. 324 s.; The new Grove dictionary of music and musicians (ed. 2001), XV, p. 633.