PERI, Jacopo
PERI, Jacopo. – Nacque il 20 agosto 1561 (la data si desume da documenti fiorentini successivi, concernenti la sua eleggibilità in cariche pubbliche), in luogo non accertato: un testimone di metà Seicento riferì di avergli sentito dire ch’era nato in Roma (Stefano Rosselli; cfr. Ruspoli, 1882).
Discendente da un’antica famiglia di artigiani cuoiai fiorentini, in qualche caso investiti di offici pubblici nella Repubblica, vantava una condizione nobiliare, cui teneva moltissimo. Poco si sa del padre, Antonio (nato nel 1517), e della famiglia della madre, Felice di Paolo dei Redditi. Dal più antico documento di pugno di Peri a noi pervenuto (un libro di conti iniziato nel 1580) si apprende ch’egli visse con la madre almeno dal 1576 e che, pur non possedendo proprietà, era in condizione di pagare un affitto decoroso e di corrispondere un salario a una serva (cfr. Carter - Goldthwaite, 2013, p. 17). È dunque inattendibile la notizia, riferita da Rosselli, che Peri fosse cresciuto in un orfanotrofio.
La carriera musicale di Peri come cantante, suonatore e compositore si svolse pressoché per intero a Firenze. La prima documentazione riguarda il suo impiego come fanciullo nel canto delle laude all’organo della Ss. Annunziata dal 1° settembre 1573 al 30 settembre 1577: qui, per via della capigliatura fulva, gli fu affibbiato il soprannome ‘lo Zazzerino’, che gli rimase per tutta la vita. Studiò con Cristofano Malvezzi, maestro di cappella in Duomo e in S. Giovanni Battista, che incluse un brano strumentale di Peri nel suo Primo libro de ricercari a quattro voci (Perugia, Petrucci, 1577; ed. moderna in C. Malvezzi, Ensemble ricercars, a cura di M.A. Swenson, Madison 1978, pp. 36-39). Non è improbabile che Malvezzi abbia procurato a Peri i successivi impieghi, come organista nella Badia benedettina dal 1° febbraio 1579, ruolo che coprì fino all’aprile 1605, e come cantore nel coro di S. Giovanni Battista dal 28 agosto 1586 al 21 marzo 1590.
Da quel momento Peri frequentò i circoli della corte, ancora una volta grazie a Malvezzi. Da vecchio sostenne di aver insegnato musica alle principesse di casa Medici fin dal tempo della granduchessa Giovanna d’Austria (morta nel 1578); e nel 1583, con altri musicisti di corte, procurò le musiche per un intermedio destinato alla commedia Le due Persilie di Giovanni Fedini, recitata per le principesse il 1° febbraio. Le sue doti musicali risultano anche dal madrigale Caro dolce ben mio, perché fuggire incluso nel Primo libro delli madrigali a cinque voci di Malvezzi (Venezia, eredi Scotto, 1583; ed. moderna di questa come di tutte le musiche vocali non teatrali in J. Peri, “Le varie musiche” and other songs, a cura di T. Carter, Madison 1985). Le principesse medicee serbarono un buon ricordo di Peri: Eleonora lo invitò a Mantova poco dopo aver sposato il principe Vincenzo Gonzaga (1584); da Ferrara nel 1588 Virginia gli ordinò delle musiche; e nell’ottobre 1600 lo sposalizio fiorentino di Maria con Enrico IV di Francia fu condecorato dalle recite della sua Euridice.
Nel 1586 Malvezzi percepiva ancora un compenso granducale come insegnante di Peri, ma nel settembre 1588 il giovane musicista entrò nei ruoli di corte con un salario mensile di 6 fiorini, elevati a 9 il 21 settembre 1590: con questo salario tenne il posto tra i ‘musici’ fino alla morte. L’assunzione dovette essere facilitata da Emilio de’ Cavalieri, che il nuovo granduca, Ferdinando I, aveva chiamato da Roma per sovrintendere agli artisti di corte: e sembra che Peri abbia goduto della sua protezione almeno fino a quando non scoppiarono dei dissensi sulle celebrazioni del 1600. Peri si esibì negli splendidi intermedi della Pellegrina di Girolamo Bargagli per le nozze di Ferdinando con Cristina di Lorena nel maggio 1589, per i quali compose un artificioso madrigale in eco (ed. moderna in Musique des intermèdes de “La pellegrina”, a cura di D.P. Walker, Paris 1963, rist. 1986, pp. 98-106), da lui cantato impersonando la figura di Arione (così è effigiato in un famoso disegno della Biblioteca nazionale di Firenze; in Carter - Goldthwaite, 2013, pp. II, IV).
Peri ebbe una vita professionale ed economica assai attiva anche in campi diversi dalla musica. Già negli anni Ottanta acquistò qualche lotto di terreno e fece alcuni piccoli investimenti. Una figura chiave in queste prime speculazioni fu il banchiere più in vista in città, Giovambattista Michelozzi (non risulta ch’egli fosse un committente di musicisti), il quale, oltre a guidare Peri negli affari, procurò il suo primo matrimonio e ne portò al battesimo il primogenito; anche i padrini dei restanti figli furono attentamente selezionati in famiglie fiorentine di rango. Un’altra personalità eminente nella carriera giovanile di Peri fu Jacopo Corsi, ricco affarista e patrono di musicisti, che gli procurò importanti occasioni sia musicali sia mercantili.
La condizione economica di Peri migliorò grandemente nel decennio 1592-1602, in seguito alle doti incamerate in tre successivi matrimoni, con giovani donne tra i quattordici e i sedici anni. La prima moglie fu Caterina di Niccolò Fortunati, morta di parto nel 1598; la seconda fu Ginevra di Piero Casellesi, che sposò nel 1601 e che morì otto mesi più tardi, forse per complicanze nella gravidanza; la terza (sposata nel 1602) fu Alessandra di Dino Fortini (1586-1644), che sopravvisse al consorte. Le prime due doti gli procurarono rispettivamente 3200 e 2000 fiorini in contanti; la terza, un cospicuo e prospero podere del valore di 1600 fiorini, cui si aggiunsero svariate proprietà ereditate dalla consorte. Con siffatte risorse Peri divenne un investitore assai attivo. Acquistò una grande dimora a Firenze in via de’ Fossi, insieme ad altri due immobili da cedere in affitto, l’usufrutto di una villa e, per tre generazioni, di un podere; amministrò con oculatezza i suoi beni rurali; investì in lettere di cambio, in luoghi di monte (buoni di Stato) e in censi (ipoteche in cambio di vitalizi non vacabili); partecipò come socio di minoranza in compagnie di lanaioli e setaioli. Lavorò pure per un certo periodo come contabile nell’industria laniera e per l’Arte degli speziali (già medici e speziali; ora un consorzio di artigiani e bottegai), alla quale fu iscritto; la sua carriera in affari culminò nel 1618 con l’incarico di camerlengo (ossia tesoriere) nell’Arte della lana, la principale gilda industriale fiorentina, ch’egli tenne a tempo pieno per tutta la vita.
Peri accumulò una discreta fortuna, con un’entrata annua di un migliaio di fiorini, saldamente attestato in una classe media in ascesa, assai più su di tanti altri musicisti, artisti e artigiani, ancorché assai più in basso del ceto dei veri ricchi. Alla fine, ammontando il suo salario di musicista a un decimo circa del suo reddito totale annuo, Peri dovette vedere nella propria posizione a corte soprattutto un utile mezzo per tenersi in contatto con i centri del potere.
Il precoce rapporto con Jacopo Corsi determinò il coinvolgimento di Peri come compositore ed esecutore nelle prime ‘favole in musica’ (in termini moderni, melodrammi). Delle sue musiche per la Dafne di Ottavio Rinuccini (data nel carnevale 1598 in casa Corsi e ripresa a palazzo Pitti nel 1599, 1600 e 1604) rimangono soltanto pochi lacerti manoscritti (ed. moderna in Porter, 1965, pp. 176-183). Ma la partitura dell’Euridice, sempre su versi di Rinuccini (1600), fu stampata da Giorgio Marescotti ai primi del 1601 (ed. moderna a cura di H.M. Brown, Madison 1981). Corsi utilizzò le due favole per promuovere se stesso agli occhi dei Medici: Euridice venne data a Pitti il 28 maggio 1600 e ripetuta il 6 ottobre nell’ambito dei festeggiamenti nuziali Medici-Borbone. Che l’‘invenzione’ dell’opera in musica fosse intesa come un segno di prestigio risulta chiaramente dal riferimento, esplicito ancorché pretestuoso, con la restituzione del teatro e della musica dell’antichità classica, ed è confermato dalle contese tra i compositori fiorentini circa il merito spettante a ciascuno di loro.
Se Emilio de’ Cavalieri vantava una precedenza cronologica per via della Rappresentatione di Anima e di Corpo recitata in Roma nel febbraio 1600, Giulio Caccini sfruttò le feste fiorentine dell’autunno seguente per rientrare al servizio dei Medici (dai quali era stato congedato nel 1593 per intrighi di corte): di fatto, egli ebbe le mani in pasta nella recita dell’Euridice, giacché i cantanti della sua scuderia cantarono le parti composte da lui invece che da Peri; oltretutto Caccini diede alle stampe la propria Euridice (completa) prima di Peri, sebbene essa sia stata rappresentata per intero solo nel dicembre 1602.
Il contributo specifico dato da Peri consisté in uno stile di declamato musicale per voce sola e accompagnamento strumentale che, nelle sue parole, «pigliasse forma di cosa mezzana» tra il «parlare ordinario» e la «melodia del cantare» (Solerti, 1903, pp. 45 s.). Questo genere di recitativo copre gran parte dell’Euridice salvo i brevi cori e le pochissime arie strofiche. Claudio Monteverdi poté bensì disporre di più cori e arie nel comporre la prima sua opera, l’Orfeo di Alessandro Striggio dato a Mantova nel 1607, ma prese chiaramente Peri a modello del suo recitativo, pur cercando di superarlo. Peri estese questo stile di canto e di composizione anche al genere della musica vocale da camera: le sue Varie musiche (Firenze 1609, riedite nel 1619) includono quattro sonetti del Petrarca per voce sola e basso continuo, accanto a componimenti poetici più alla moda di Rinuccini, Gabriello Chiabrera e Battista Guarini.
La raccolta contiene varie ariette orecchiabili (accresciute nella riedizione del 1619), ma il maggior pregio spetta allo stile più sostenuto dei sonetti. Peraltro nel 1609 l’editore delle Musiche, Cristofano Marescotti, si sentì in dovere di avvertire il lettore che sarebbe stato «necessario sentirle sonare e cantare da lui medesimo per conoscere maggiormente la lor perfezione» (Carter - Goldthwaite, 2013, p. 305).
Peri, che sul frontespizio dell’Euridice si qualifica «nobil fiorentino», ci teneva a essere apostrofato come ‘signore’. Dovette forse considerare il nuovo stile recitativo come un ritrovato intrinsecamente ‘nobile’, ma altre sue incombenze a corte gli dovettero apparire meno lusinghiere. È probabile che Le varie musiche contengano composizioni collegate al suo servizio di direttore del «concerto de’ castrati» negli anni 1600-03 e di insegnante di una nuova nidiata di principesse Medici nonché (dalla fine del 1608) della sposa del principe Cosimo, l’arciduchessa Maria Maddalena d’Austria.
Altre attività di corte, come le musiche composte e concertate a varie riprese per la Settimana santa, hanno lasciato tracce più evanescenti. Compose la musica per un torneo a Pisa ai primi del 1605 e fu coinvolto nei festeggiamenti per lo sposalizio del 1608 (procurò un coro per un finale d’atto dello spettacolo principale, Il giudizio di Paride di Michelangelo Buonarroti il Giovane).
L’opera in musica ebbe alterne fortune a Firenze. A carnevale la corte preferiva i tornei, le feste da ballo, le veglie: dagli anni Dieci gli impegni teatrali di Peri si ridussero alla composizione di brevi recitativi o arie strofiche per tali intrattenimenti, cui concorrevano altri compositori specializzati in generi diversi, come Marco da Gagliano per i cori a più voci e Lorenzo Allegri per le danze. Queste musiche sono quasi tutte perdute: rimane qualcosa per un ballo dato il 14 febbraio 1611, ripreso con il titolo Mascherata di ninfe di Senna il 5 maggio 1613; per un torneo e una mascherata del 17 e 19 febbraio 1613; e per il balletto Marte ed Amore (9 febbraio 1614).
Più avanti nel decennio Peri collaborò ancora con l’amico e collega Marco da Gagliano, per esempio nell’opera Lo sposalizio di Medoro ed Angelica (25 settembre 1619, perduta), testo del nuovo poeta di corte, Andrea Salvadori. Negli anni Venti, ormai sessagenario, Peri compose ancora meno, spesso in collaborazione con Marco da Gagliano e con il di lui fratello, Giovanni Battista, con il quale contribuì a una serie di sacre rappresentazioni per la Compagnia dell’Arcangelo Raffaello (su testi di Jacopo Cicognini). Su versi di Salvadori musicò una Canzone delle lodi d’Austria eseguita in onore dell’arciduca Carlo I d’Austria (7 ottobre 1624) e il torneo La precedenza delle dame per la visita del principe Ladislao di Polonia (10 febbraio 1625); perdute le musiche.
L’ultima opera nota di Peri è un’altra collaborazione con Marco da Gagliano per Flora, o vero Il natal de’ fiori, data il 14 ottobre 1628 per le nozze di Margherita de’ Medici e Odoardo Farnese, apparsa poi a stampa (ed. moderna a cura di S. Court, Middleton 2011).
La carriera musicale di Peri esorbitò dalla Toscana in tre sole occasioni, una nel 1584 a Mantova e due nel 1616, a Bologna (per una recita dell’Euridice il 27 aprile), quindi a Roma, al seguito del cardinale Carlo de’ Medici. Ma come molti altri musicisti fiorentini fu in stretto contatto con il principe (poi cardinale e duca) Ferdinando Gonzaga di Mantova, al quale offrì recite delle sue opere (perdute) Le nozze di Peleo e Tetide nel 1607 (testo di Francesco Cini) e Adone nel 1611 (Jacopo Cicognini). Nel 1608-09 fece da consulente alla sua ex allieva Eleonora de’ Medici, duchessa di Mantova, per la selezione e l’addestramento di canterine destinate al servizio dei Gonzaga. Nel 1620 i contatti mantovani fruttarono la commissione di un ballo per il doppio genetliaco di Ferdinando e della consorte, Caterina de’ Medici (un’altra sua ex allieva), per il quale era prevista anche una ripresa dell’Arianna di Monteverdi: il ballo fu celebrato il 26 aprile e il 4 maggio, in assenza di Peri.
Peri, tenore, cantò le parti di Apollo nella Dafne e di Orfeo nell’Euridice. Pur non tenendo una scuola di canto, alla stregua del suo rivale Giulio Caccini, ebbe di sicuro vari allievi di talento, tra cui il lucchese Jacopo Giusti (che impersonò Dafne nell’Euridice), Antonio Cinatti del Frate e, forse, l’organista Tommaso Lapi; tenne in casa la giovane soprano Angelica Furini (Sciamerone), sua allieva, dal dicembre 1616 fino al settembre 1618, quando andò in sposa al musicista Domenico Belli. Gran parte delle musiche teatrali tardive di Peri saranno state concepite a intenzione dei propri allievi, e nel caso delle sacre rappresentazioni degli anni Venti per il suo terzo figlio, Alfonso (nato nel 1609), che partecipava alla Compagnia dell’Arcangelo Raffaello.
Il rango di Peri nella corte granducale gli procurò svariati incarichi in offici di Stato, di varia durata; dal 1596 impiegò circa un terzo del proprio tempo in questo o quell’officio, traendone ulteriori introiti. La sua carriera pubblica culminò nel 1621 con l’assunzione vitalizia nel Consiglio dei Duecento, ossia nell’organo consiliare di maggior prestigio dopo il Senato.
Peri, che dovette essere di complessione piuttosto cagionevole, afflitto dalle emicranie e da ingravescente sordità, morì il 10 agosto 1633; fu sepolto in S. Maria Novella nella tomba di famiglia della moglie (Fortini), che oggi non esiste più (il sito della sepoltura è indicato da una semplice placca moderna).
Nessuno dei figli delle prime due mogli – quattro della prima, una bimba nata morta della seconda – sopravvisse più di tre anni; la terza moglie ne mise alla luce sedici, di cui quattro figlie e sei figli erano in vita al momento della morte di Peri. Le figlie si monacarono, e quattro figli (uno prete, gli altri tre scapoli e impegnati in affari) morirono nel giro di un biennio (1635-37), forse di tifo o di tubercolosi. L’unico figlio assurto a un certo livello professionale fu Dino (1606-1640), studente e poi collega di Galileo Galilei; nel 1636 divenne professore di matematica nell’Università di Pisa. Dino ha un posto di spicco nei carteggi galileiani, dai quali si apprende che, se il padre dovette avere una certa familiarità con lo scienziato, a sua volta questi dimostrò un certo interesse per la sua musica. L’ultimo figlio, Alfonso, entrò tra i musici di corte dopo la morte del padre, con un salario più esiguo. Nel gennaio 1642 sposò Maddalena di Lorenzo Lioni, ma di lì a sei mesi la assassinò per sospetta infedeltà. Condannato, fuggì da Firenze per Roma, dove ebbe contatti con i padri dell’Oratorio; morì a Roma nel 1666. La condanna di Alfonso comportò la confisca delle sue proprietà, che consistevano del patrimonio, ancora intatto, ereditato dal padre.
Alla vedova, Alessandra Fortini, fu concesso di rimanere nella casa di Peri; aveva i suoi beni, ereditati da ambo i genitori in quanto unica figlia sopravvissuta (morì nel 1644).
I libri di conti e i ‘ricordi’ di Jacopo Peri (cfr. Carter - Goldthwaite, 2013) ne documentano la profonda fede religiosa e la dedizione alla famiglia sia stretta sia allargata, nonché la rete delle amicizie e i suoi rapporti con i vicini, ma non dicono nulla circa i suoi interessi intellettuali: non dovette però essere sprovvisto di una certa finezza culturale. A detta di osservatori come Pietro de’ Bardi, possedeva una «scienza» superiore a quella degli altri musicisti (Solerti, 1903, p. 146); e lo stesso Severo Bonini, un partigiano della fazione Caccini, ne parla come di un «cantore e compositor eruditissimo» (p. 137).
Fonti e Bibl.: G. Galilei, Le opere, Firenze 1890-1909 (rist. 1968), XIII-XVII, ad ind.; F. Ruspoli, Poesie... commentate da Stefano Rosselli, a cura di C. Arlìa, Livorno 1882, pp. 55-75; G.O. Corazzini, J. P. e la sua famiglia, in Atti dell’Accademia del Regio Istituto musicale di Firenze, XXXIII (1895), pp. 33-87; A. Solerti, Le origini del melodramma, Torino 1903, pp. 43-49, passim; W.V. Porter, P. and Corsi’s Dafne: some new discoveries and observations, in Journal of the American musicological society, XVIII (1965), pp. 170-196; N. Pirrotta, Li due Orfei: da Poliziano a Monteverdi, Torino 1975, pp. 276-310; T. Carter, J. P. (1561-1633): his life and works, New York-London 1989; W. Kirkendale, The court musicians in Florence during the principate of the Medici, Firenze 1993, pp. 189-243; P. Besutti, Variar «le prime 7 stanze della Luna»: ritrovati versi di ballo per J. P., in Studi musicali, XXXIV (2005), pp. 319-374; G. De Caro, “Euridice”: momenti dell’umanesimo civile fiorentino, Bologna 2006; T. Carter - R.A. Goldthwaite, Orpheus in the marketplace: J. P. and the economy of late Renaissance Florence, Cambridge (Mass.) 2013 (comprende l’esame analitico di molti documenti personali prima ignoti, il catalogo delle opere e delle edizioni moderne dei testi e delle musiche superstiti, l’edizione delle lettere).