Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Lasciata Roma nel 1527, dopo una proficua attività di scultore e architetto, Jacopo Sansovino diventa il principale protagonista della Venezia cinquecentesca. Responsabile degli episodi architettonici e urbanistici più importanti del periodo, egli introduce in laguna il linguaggio del Rinascimento maturo, elaborando una vasta gamma di soluzioni funzionali alle esigenze economiche, politiche e autocelebrative della Repubblica e del suo patriziato.
Gli anni della formazione tra Firenze e Roma
Figlio di un ebanista, Jacopo Tatti comincia la sua lunga attività nella bottega fiorentina di Andrea Sansovino, affermato scultore specialista nel trattamento dei marmi, di cui in seguito eredita il nome.
Seguendo il maestro come garzone, il giovane apprende i rudimenti del mestiere e assiste da un punto di vista privilegiato agli episodi salienti del mondo artistico del suo tempo. Formatosi tra Firenze e Roma nel corso del primo decennio del Cinquecento, Jacopo cresce a diretto contatto con le innovazioni culturali più aggiornate.
Se la città dei papi si avvia a diventare la capitale del Rinascimento maturo, non di meno nei primi anni del secolo il centro toscano svolge un ruolo di grande importanza per gli sviluppi artistici successivi, grazie alla presenza di Leonardo, Michelangelo e Raffaello. Quando Andrea Sansovino riceve la commissione di due monumenti sepolcrali per il coro di Santa Maria del Popolo, il giovane trascorre un fecondo soggiorno a Roma (1506-1510). Sotto la guida di Donato Bramante egli intraprende un’intensa attività di studio, disegnando e modellando sulla scorta dei prototipi antichi.
Anche se l’interesse di Sansovino è rivolto principalmente alla scultura, non è improbabile che fin da questi anni egli osservi con occhio attento le architetture romane antiche e moderne. Le prime opere documentate mostrano con quanta maturità Jacopo gestisca i nuovi insegnamenti: il bozzetto rappresentante La discesa dalla Croce, realizzato per il pittore Pietro Perugino, e il Bacco del Museo Nazionale del Bargello, commissionato dal nobiluomo fiorentino Giovanni Battista Bartolini. Quest’ultimo, ispirato all’omonima statua di Michelangelo, dimostra come il Sansovino si svincoli dalle statiche posture quattrocentesche, pervenendo a una nuova libertà di movimento.
Rientrato a Firenze, Jacopo riceve incarichi di un certo prestigio. Il San Giacomo della cattedrale di Santa Maria del Fiore rivela la volontà di mediare tra la tradizione scultorea fiorentina e le più aggiornate innovazioni introdotte dal Buonarroti. Le opere di questi anni presentano numerose affinità con l’attività dei pittori contemporanei; del resto Sansovino instaura un rapporto di profonda stima e collaborazione con Andrea del Sarto. I due lavorano insieme all’allestimento degli apparati effimeri per l’entrata di Leone X a Firenze nel 1515. Nell’ambito di questa commissione Jacopo realizza l’arco trionfale di Porta San Gallo e soprattutto la facciata provvisoria per la cattedrale di Santa Maria del Fiore, caratterizzata dall’integrazione di architettura, pittura e scultura. Forte del successo riscosso in questa occasione e potendo contare sull’appoggio che il papa Medici riserva agli artisti toscani, Jacopo Sansovino si trasferisce a Roma l’anno seguente.
Gli incarichi romani e la partenza per Venezia
Nel corso del secondo soggiorno romano Jacopo Sansovino consolida la sua fama di scultore, lavorando principalmente per la committenza privata. La cosiddetta Madonna del Parto (realizzata per l’incompiuto altare Martelli in Sant’Agostino) aderisce nel modellato ai modi di Michelangelo, manifestandogli così un esplicito consenso. In occasione della commissione per la facciata fiorentina di San Lorenzo (1516), Jacopo ha la possibilità di collaborare con Michelangelo stesso, ma il contraddittorio rapporto che lo lega al maestro esplode in tutta la sua conflittualità portando a una rottura.
All’attività di scultore Jacopo affianca in questi anni quella di architetto, ponendosi fra i continuatori della lezione bramantesca. Prima della partenza per Venezia, gli vengono affidati numerosi incarichi in questo ambito professionale, anche se solo alcune delle opere ricordate dalle fonti risultano oggi pienamente attribuibili a lui.
Nel 1518 egli partecipa al concorso per la chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, promosso da Leone X. Risultato vincitore, conduce i lavori fino al 1521 quando, accusato di appropriazione indebita e di imperizia tecnica, viene sostituito da Antonio da Sangallo il Giovane. La vicenda relativa alla chiesa di San Marcello al Corso segue un iter molto simile: chiamato a ricostruire l’edificio distrutto da un incendio nel 1519, a distanza di pochi anni è destituito dalla sua carica.
Quando nel 1527 arriva a Venezia, reduce dal sacco di Roma, Jacopo intende lasciare l’Italia per la raffinata corte francese di Francesco I. Ma grazie all’appoggio e alla stima del poeta Pietro Aretino, del nobile Vettor Grimani e del doge Andrea Gritti, egli viene coinvolto in un articolato progetto culturale finalizzato alla celebrazione della potenza della Serenissima. Il restauro delle cupole della chiesa di San Marco nel 1529 gli procura il prestigioso incarico di proto (cioè primo architetto) della Procuratia de Supra, a cui spetta la responsabilità della chiesa dedicata al santo patrono e della zona ad essa circostante.
Nonostante alcuni episodi negativi (come la carcerazione che gli viene inflitta nel 1547 per il crollo delle volte della Biblioteca Marciana allora in costruzione), a partire da queste date Jacopo Sansovino gode di un notevole prestigio. Amico di intellettuali e artisti della caratura di Tiziano Vecellio, Sebastiano Serlio e Lorenzo Lotto, egli diventa il principale punto di riferimento per la committenza pubblica e per quella privata.
Gli interventi in piazza San Marco
La ristrutturazione di piazza San Marco rappresenta l’impresa più impegnativa e certo più significativa di Sansovino.
Perseguendo l’intento di conferire nuova dignità al centro politico, religioso e culturale della città, il proto di San Marco diventa il regista assoluto del riassetto urbanistico della piazza. Per quanto dilazionati nel tempo e ultimati solo dopo la sua morte, i singoli interventi fanno parte di un unico progetto di riqualificazione. Il difficile compito di armonizzare il vecchio e il nuovo viene risolto da Jacopo Sansovino mediante la regolarizzazione geometrica degli spazi. Dopo aver smantellato le rivendite commerciali che ingombravano la piazza, egli predispone l’arretramento degli edifici che ne delimitavano il perimetro. Mediante un procedimento già sperimentato a Pienza e utilizzato negli stessi anni da Michelangelo (piazza del Campidoglio a Roma), la basilica di San Marco ritrova tutta la sua monumentale centralità e funge da scenografico fondale per le cerimonie della Repubblica.
Alla regolarizzazione geometrica, inoltre, è complementare l’unificazione visiva dei prospetti. Traendo ispirazione dalle ricostruzioni del foro antico e probabilmente dallo studio delle architetture già esistenti in loco, Jacopo affida al portico continuo il compito di conferire omogeneità agli edifici del complesso.
Oltre alla valorizzazione delle architetture preesistenti (la cattedrale, il campanile, il Palazzo Ducale e la Torre dell’Orologio), il programma prevede anche l’inserimento di nuove strutture pubbliche. Dal 1537 l’architetto è infatti impegnato nella realizzazione di un edificio di grande valore culturale. Destinata a custodire il ricco patrimonio bibliografico che il cardinal Bessarione aveva donato alla città di Venezia, la Libreria Marciana segna una tappa di grande importanza nella produzione artistica di Jacopo Sansovino.
Dotato di una non comune competenza progettuale, l’architetto adatta il rigoroso classicismo di matrice bramantesca alle esigenze lagunari; così il plasticismo delle architetture è arricchito da un fitto apparato scultoreo che media gradualmente il passaggio chiaroscurale tra i pieni degli edifici e le profonde aperture dei loggiati.
Nel nuovo assetto urbanistico, il campanile della chiesa viene ad assumere il ruolo chiave di cerniera visiva fra i due spazi trapezoidali in cui si articola la piazza, e l’architetto sottolinea questa funzione sostituendo alla vecchia loggia una struttura di mediazione, ispirata all’arco di trionfo romano. Se la Biblioteca è caratterizzata da un sostanziale equilibrio fra architettura e scultura, nella cosiddetta "Loggetta" i pannelli marmorei (rappresentanti Venere a Cipro, Giove a Creta e, al centro, Venezia nei panni della Giustizia) e le statue bronzee (Pallade, Apollo, Mercurio, La Pace) diventano i protagonisti della composizione.
Celebrato come il miglior scultore dei suoi tempi dopo Michelangelo Buonarroti, fin dai primi anni di permanenza in terra veneta, il fiorentino non trascura la sua principale attività. Oltre ai pannelli della Loggetta egli realizza infatti un nutrito gruppo di opere per San Marco, fra cui i rilievi con la vita del santo, la porta della sacrestia e i pannelli del pergolo del coro. Cimentandosi nella tecnica del bronzo, recupera la lezione di Donatello e Michelangelo, pervenendo a un risultato di grande impatto espressivo che influenzerà le drammatiche rappresentazioni di Jacopo Tintoretto.
Ancora su commissione pubblica, intorno alla metà del secolo Jacopo firma i cosiddetti Giganti. Poste all’inizio della scalinata di accesso al Palazzo Ducale, le due colossali statue di Nettuno e Marte dovevano rappresentare la forza politica e militare della Serenissima. Qualche decennio prima, Sansovino ha affrontato e risolto il medesimo tema in un’opera di differente natura, l’edificio della Zecca. Quest’ultimo rientra idealmente fra gli interventi della piazza, pur non prospettando direttamente su di essa. In qualità di proto della fabbrica, a partire dal 1537 Sansovino studia una razionale organizzazione planimetrica per le operazioni di conio delle monete e disegna un prospetto di grande forza plastica: gli elementi tratti dall’architettura fortificata devono ricordare l’inespugnabilità della fabbrica e dunque il prestigio militare della Repubblica veneziana.
Nel 1554 egli interviene anche sul quartiere di Rialto, il polo commerciale di Venezia, devastato da un incendio quattro decenni prima. Incaricato di trovare una sistemazione per i negozi distrutti, l’architetto progetta un edificio articolato su tre piani in cui, oltre alle botteghe da cedere ai privati, sono presenti diversi ambienti da affittare. Al classicismo "di rappresentanza" utilizzato in piazza San Marco, l’architetto sostituisce in questo caso un linguaggio austero e semplificato, evidentemente più consono a una architettura utilitaristica.
Le architetture private e religiose
Oltre a impostare i lavori di piazza San Marco, nel corso degli anni Trenta Jacopo Sansovino si dedica ad alcune delle sue opere più importanti in campo civile e religioso. Fra quelle di committenza privata vale la pena ricordare la Villa Garzoni di Pontecasale e il Palazzo Corner sul Canal Grande. Costruita per Alvise Garzoni fra il 1537 e il 1550, la villa di Pontecasale costituisce un importante precedente nella messa a punto della tipologia della villa veneta del XVI secolo, di cui Andrea Palladio sarà il principale interprete. Pur caratterizzato da una compatta volumetria, l’edificio intrattiene un rapporto molto stretto con i giardini circostanti, grazie all’arioso cortile pensile e ai loggiati aperti che caratterizzano la facciata principale e quella secondaria. Progettato fin dal 1535, ma realizzato solo a partire dal 1545 (probabilmente con notevoli varianti rispetto all’idea originaria), il Palazzo Corner di San Maurizio è contraddistinto da un classicismo molto vicino a quello della Libreria Marciana, a sottolineare l’elevata dignità gentilizia della famiglia committente. Affacciandosi sul canale principale della città, il palazzo svolge un ruolo "pubblico"; a differenza di quanto avviene nei palazzi veneziani precedenti, la facciata è strutturata in modo da non lasciare trasparire la suddivisione degli ambienti interni: essa si presenta come un’intelaiatura omogenea fortemente chiaroscurata.
Anche il progetto per la facciata della Scuola Grande della Misericordia – a cui Jacopo Sansovino lavora dal 1532 e purtroppo rimasto incompiuto – è ascrivibile allo stesso spirito che governa il complesso marciano. Scultura e architettura cooperano felicemente nella definizione di un prospetto classicamente connotato, articolato su due piani coronati da un frontone triangolare e scanditi da semicolonne. Se le opere di Sansovino costituiscono modelli di fondamentale importanza per gli sviluppi dell’architettura civile lagunare, per quanto concerne l’architettura religiosa non si assiste a una fortuna equivalente: in questo ambito saranno invece le creazioni di Andrea Palladio a esercitare un’influenza duratura.
Probabilmente condizionato dalla scarsa disponibilità economica, nei progetti per le chiese parrocchiali Jacopo Sansovino realizza una mediazione fra linguaggio moderno e tradizione locale. Sia la chiesa di San Martino (1540) che quella di San Giuliano (1553) si contraddistinguono per una semplicità strutturale che trova un corrispettivo solo nelle Fabbriche Nuove di Rialto. Nel disegno delle facciate l’architetto si mostra più aperto alla sperimentazione linguistica: nel prospetto di San Giuliano egli abbandona il rigore grammaticale della Biblioteca Marciana, per approdare a un risultato di sapore manieristico. La facciata di San Giuliano costituisce anche il più significativo esempio di monumento commemorativo, che merita di essere ricordato insieme alle sepolture di Livio Podocataro arcivescovo di Nicosia (nella chiesa di San Sebastiano) e a quella del doge Francesco Venier (in San Salvatore). Ma nessuno fra i committenti veneziani di Jacopo Sansovino supera Tommaso Rangone nella volontà di tramandare ai posteri la propria memoria; sfidando le contrarietà della Repubblica verso la celebrazione di singole personalità, egli finanzia la ricostruzione della chiesa e ottiene di collocare la propria immagine sopra l’ingresso della chiesa.