SOLDANI, Jacopo
– Nacque a Firenze il 1° ottobre 1579, primogenito di Bernardo e di Ginevra Aldobrandini.
Sin da giovanissimo fece il suo ingresso in vari sodalizi cittadini, dove ebbe modo di formare il suo gusto antibarocco fra scienza galileiana e culto della letteratura dei primi secoli: nel 1597 nell’Accademia fiorentina, presso la quale lesse una Lezione sopra il Brindisi e ricoprì nel 1607 la carica di console; nel 1599 in quella degli Alterati, ove tenne lezioni sulla Commedia e sul Decameron e assunse la carica di reggente dal 1604, pronunciandovi, il 25 giugno 1609, un discorso commemorativo per il granduca Ferdinando I; nel 1603 nell’accademia bucolica dei Pastori Antellesi, di cui fu tra i fondatori.
Grazie al sostegno dello zio Jacopo Aldobrandini, si laureò a Pisa in utroque iure e, dopo brevi soggiorni a Roma e a Napoli, sposò nel 1607 a Firenze Clarice Aldobrandini, dalla quale ebbe nove figli: sei femmine (di cui si conoscono però solo Lucrezia e Ginevra, che andò in sposa nel 1631 all’erudito Niccolò Panciatichi) e tre maschi (fra i quali si distinse Filippo, poi vescovo di Fiesole). Alla presenza nelle accademie e ai soggiorni presso le sue ville suburbane di Montisone e di San Donato in Collina, luoghi di ispirazione creativa, affiancò, dal 1610, la frequentazione della corte medicea, dove ricoprì ruoli importanti: prima, dal 1628, fu aio del futuro cardinale Leopoldo, il fondatore dell’Accademia del Cimento, di cui assecondò la passione collezionistica e fu consigliere di politica estera (ma fu molto vicino anche al fratello di costui, il principe Mattias); poi divenne maestro di camera del granduca Ferdinando II, da cui ricevette il titolo senatoriale il 14 giugno 1637 e con il quale intrecciò un significativo commercio epistolare. Forse alla sua competenza in materia giurisdizionale si deve la collaborazione, non sicura, al Parere sopra il ristretto delle rivoluzioni del Reame di Cipri (1633) di Gasparo Giannotti. Il contatto con la corte medicea gli stimolò anche la composizione dell’inedito Trattato sulle virtù morali (Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Magl. XXI 26 e 51), una sorta di speculum principis controriformistico con dedica al granduca di Toscana Ferdinando II, strutturato sulla base delle categorie dell’Etica aristotelica e sviluppato secondo un processo di concatenazione logica che ricorda il Convivio dantesco.
L’impegno a corte si spinse per Soldani sino all’età senile, come dimostrano i suoi frequenti spostamenti, fra il 1638 e la metà del 1640, a Pisa e a Siena, per curare i possedimenti del principe Leopoldo e per favorirne le ambizioni di collezionista. A corte Soldani intrecciò relazioni amicali e intellettuali con Galileo Galilei, Gabriello Chiabrera, Giambattista Strozzi, Giovanni Ciampoli, preso di mira come esponente del pindarismo in più luoghi delle Satire e anche nell’Ode pindarica, o vero ciampolica, sopra il giuoco del calcio (la cui paternità è però incerta). Si legò soprattutto a Michelangelo Buonarroti il Giovane, che gli dedicò una delle sue satire e al quale indirizzò, fra il 1596 e il 1639, 93 lettere.
Queste ultime compensano in parte la pressoché totale assenza di riferimenti autobiografici nelle otto Satire, tramandate da codici di epoca sei-settecentesca non autografi e interpolati, allestiti anche in conseguenza dell’interesse lessicografico che esse ingenerarono presso gli estensori della terza edizione del Vocabolario della Crusca. La circolazione manoscritta non riporta, tuttavia, i componimenti come un corpus unitario e probabilmente lo stesso Soldani non ebbe mai l’intenzione di farne una vera raccolta, avendoli concepiti singolarmente a uso interno dei circuiti accademici, alla stregua, del resto, di quasi tutta la sua restante produzione letteraria. L’ordinamento attuale delle satire, con l’eccezione della seconda e, in parte, della quarta, venute alla luce in tempi più recenti, si deve, invece, alla princeps del 1751, curata dall’etruscologo Anton Francesco Gori, che sarà di riferimento anche per le edizioni successive. Condizionata da scrupoli moralistici, già evidenti, del resto, nella traditio codicorum, questa edizione è corredata di un’importante Prefazione, nella quale si assume la Commedia ad archetipo del genere satirico.
Rispetto ai modelli giovenaliano e oraziano, dominanti nella satira primosecentesca, le poesie di Soldani si distinguono invece per una composita matrice letteraria: Dante Alighieri per l’appunto, la versificazione burlesca d’area toscana, recuperata anche come parametro stilistico-lessicale, Ludovico Ariosto e Aulo Persio Flacco, quest’ultimo di recente riscoperto, dal punto di vista critico-ecdotico, da Isaac Casaubon e da Francesco Stelluti. Si spiegano con tali precedenti anche il tono complessivamente misurato delle satire e il loro didascalismo di marca neostoica, che procurò a Soldani seguaci nella linea della cosiddetta Arcadia edificante (soprattutto il poeta satirico Benedetto Menzini). D’altronde, è rilevabile anche una loro significativa consonanza con la sincrona produzione satirica d’ambito fiorentino (Buonarroti) e romano (Lorenzo Azzolini), di cui condividono motivi poetico-ideologici (l’antimarinismo) e spunti tematici (la condanna del lusso). Composti probabilmente fra il 1612 e il 1637, gli otto ternari trattano temi morali con scarni appigli realistici, anche se non mancano citazioni di persone e di avvenimenti storicamente individuabili nelle dimensioni della corte, dell’accademia e della società fiorentina del tempo. Nelle satire prima e terza, che non a caso sono ricalcate su quelle omologhe di Ariosto per il fatto di prendere a bersaglio l’ipocrisia cortigiana ed ecclesiastica (quasi un controcanto ai coevi elogi della dissimulazione), l’autore si ritaglia anche spazi di riflessione metapoetica sulla funzione del «basso satiresco stile», offrendone un breve excursus storico e riconoscendone il valore di denuncia delle storture del suo tempo, ma non il potere correttivo.
Di particolare importanza risulta la satira quarta, inizialmente attribuita da Antonio Favaro allo stesso Galilei, forse per le sue tangenze con il capitolo galileiano Contro il portar la toga: si tratta di un’acre parodia del pedante aristotelico attraverso la maschera del dottor Bozio, sotto cui si cela probabilmente l’identità del filosofo Cesare Cremonini. Frutto della vicinanza di Soldani a Galilei e all’entourage galileiano presso l’Accademia fiorentina, dove egli ascoltò anche alcune lezioni di fisica dello scienziato pisano, il componimento rispecchia le tensioni seguite alla pubblicazione del Saggiatore (vi si nomina la recente elezione di Urbano VIII), nonché gli stessi interessi scientifici del suo autore, coltivati in modo dilettantesco presso quel sodalizio. Del resto, lo scrittore è frequentemente nominato dagli esponenti galileiani nelle corrispondenze con il loro caposcuola e fu anche un interlocutore diretto, seppur sporadico, dello stesso Galilei, soprattutto come intermediario del principe Leopoldo.
Generalmente, però, le satire di Soldani hanno la loro radice in un astratto moralismo ideologico, già percepibile dal Trattato sulle virtù morali, e in un’aspra critica sociale, come dimostra la satira quinta, un’invettiva antiaristocratica contro il lusso cittadino, cui si oppone la sanità della vita rustica, personalmente sperimentata da Soldani come ideale esistenziale e letterario nelle sue ville di campagna e fra i Pastori Antellesi. Un analogo slancio pauperistico si ravvisa nel ternario successivo, nel quale l’autore si scaglia contro alcuni simboli del potere magnatizio, come l’esibizione di lussuose carrozze e l’eleganza sofisticata delle dame. In continuità con le satire prima e terza si colloca invece la satira settima, nella quale gli elementi contestuali sono del tutto rarefatti, a parte un riferimento al galileiano trattato sui galleggianti, e il tema anticortigiano è sviluppato probabilmente in un’ottica extrafiorentina, e cioè in relazione alla curia papale, conosciuta direttamente dal poeta durante i suoi soggiorni del 1599 e del 1606. Riprendendo un motivo già svolto da alcuni poeti romani (Vinciolo Vincioli, Virginio Cesarini), cui Soldani è accostabile anche per l’individuazione del genere satirico come opzione antimarinista, il componimento appare rivelatore degli incroci fra aree geoculturali differenti nel campo della satira di inizio secolo. Inoltre, disvela le singolari alleanze che, nel condiviso programma di resistenza al barocco, si stabilirono tra la poesia satirica di Soldani e fronti culturali diversi, come quelli del classicismo barberiniano (l’affinità è però con Cesarini, e non con Ciampoli, come si è visto) e del movimento galileiano, già conscio, peraltro, delle potenziali contaminazioni fra il registro ironico-caricaturale e le tipologie di scrittura del dibattito scientifico.
Terminato il suo servizio presso il principe Leopoldo, Soldani si dovette ritirare a vita privata dopo il 26 maggio 1640, data dell’ultima lettera al suo protettore, sino a quando la morte non lo colse l’11 aprile 1641, dopo una breve agonia. La sua salma fu seppellita a Firenze, in Santa Croce.
Fonti e Bibl.: Dopo i repertori biobibliografici sei-ottocenteschi, fanno maggior luce sulla vita di Soldani: G. Bettini, Notizie intorno a Iacopo S. con una ode inedita, Firenze 1901; C. Casari, J. S. un satirico del Seicento, Lovere 1904; G.P. Meloni, Saggio critico-letterario sulla vita e sulle opere di J. S., Ostuni 1906. Delle Satire è disponibile l’edizione critica commentata a cura di S. Dardi (Firenze 2012), che supera quelle precedenti, parziali e inaffidabili. Sull’erronea attribuzione della satira quarta a Galilei, cfr. A. Favaro, Sopra un capitolo attribuito a Galilei Galilei, in Atti del R. Istituto Veneto di scienze lettere e arti, LI (1892-1893), 4, pp. 725-730. Per i riferimenti nell’epistolario galileiano, cfr. G. Galilei, Opere, Firenze 1890-1909, ad indicem. Annotazioni critico-interpretative sulle Satire sono in A. Belloni, Il Seicento, Milano 1929, pp. 288-291; B. Croce, Storia dell’età barocca in Italia, Bari 1929, pp. 412-414; V. Cian, La satira, Milano 1945, pp. 212-225; U. Limentani, La satira nel Seicento, Milano-Napoli 1961, pp. 30-65; M. Capucci - C. Jannaco, Il Seicento, Padova 1987, pp. 500-504; A. Corsaro, La regola e la licenza, Roma 1999, pp. 185-188; M. Arnaudo, Dante barocco, Ravenna 2013, pp. 93-96; P.G. Riga, La satira italiana nel Seicento, in La satira in versi, a cura di G. Alfano, Roma 2015, pp. 166 s.