VIGNALI, Jacopo
VIGNALI, Jacopo. – Nacque a Pratovecchio in Casentino (Arezzo) il 5 settembre 1592 da Cosimo di Jacopo e da Giulia di Antonio del Medico, appartenenti ad antiche famiglie locali, e fu battezzato il giorno successivo alla nascita (Pagliarulo, 1986, p. 183). Il fratello minore Giovanni Antonio, mandato a studiare legge a Firenze sotto la guida dello zio sacerdote Evangelista Vignali, ricoprì il ruolo di cancelliere maggiore dell’arcivescovado fiorentino (Bartolozzi, 1753, p. VIII).
A Jacopo Vignali, personalità di primo piano nella pittura del Seicento a Firenze, Filippo Baldinucci (1681-1728) non dedicò una Vita pur nominandolo fra gli scolari di Matteo Rosselli e in veste di maestro del suo principale allievo Carlo Dolci. Alla mancanza di una Notizia baldinucciana supplisce la Vita di Jacopo Vignali pittor fiorentino che l’erudito Sebastiano Benedetto Bartolozzi pubblicò nel 1753 avendo potuto avvalersi del materiale di prima mano – lettere e registri di bottega – fornitogli da Luigi Vignali, nipote di Giovanni Antonio e suo successore nella carica all’arcivescovado (p. VIII). Benché povera di informazioni riguardanti l’attività professionale di Jacopo anteriore al 1623, la biografia settecentesca menziona un folto numero di opere autografe, spesso associate al rispettivo committente, da cui hanno preso avvio i pionieristici interventi sul pittore a firma di Carlo Del Bravo (1961, e 1964) e di Gerhard Ewald (1964), come pure la moderna ricostruzione del suo iter professionale attuata nel 1986 da Giovanni Pagliarulo e da lui integrata a più riprese con successive aggiunte al ricco catalogo dei dipinti, in larga parte firmati e datati (Pagliarulo, 1989a; 1989b; 1994; 2013). A questi studi si affiancano i recenti contributi dedicati a Vignali da Francesca Baldassari (2004; 2007; 2009, 2015a; 2015b; 2018).
Dopo un breve apprendistato presso un ignoto pittore di Pratovecchio, Vignali si trasferì a Firenze per frequentare la bottega di Matteo Rosselli forse già dall’età di tredici anni, come parrebbe suggerire una sua lettera inviata allo zio Evangelista nel 1605 per aggiornarlo dei progressi conseguiti nel disegno (Bartolozzi, 1753, pp. VIII s.; Del Bravo, 1961, p. 31). Tuttavia la prima notizia che accerti la presenza di Vignali a Firenze risale al 1614, anno in cui divenne confratello della compagnia di S. Benedetto Bianco (Bartolozzi, 1753, p. XXVIII), che contava all’epoca fra i suoi affiliati lo stesso Rosselli e Michelangelo il Giovane. Alla commissione di quest’ultimo si lega la documentata esecuzione nel 1616 di uno scomparto minore della galleria di Casa Buonarroti raffigurante l’Amore verso la Patria (Procacci, 1965, p. 177; Vliegenthart, 1976, pp. 181 s.), opera che segnò non solo l’inizio di un duraturo rapporto di committenza con Michelangelo il Giovane (protrattosi fino al 1628), ma anche l’esordio del ventitreenne Jacopo come pittore autonomo, immatricolato all’Accademia del disegno nello stesso anno (Gli Accademici..., 2000, p. 334) e autore, sempre nel 1616, della pala d’altare con la Madonna e santi (firmata e datata) nel santuario della Madonna delle Grazie al Sasso presso S. Brigida (Pagliarulo, 1986, p. 183, e 1994, pp. 138, 140). L’antico vincolo che collegava all’epoca il complesso della Madonna del Sasso alla basilica della SS. Annunziata di Firenze e la documentata attività di Rosselli nel convento fiorentino fra il 1614 e il 1618 per l’affrescatura di quattro lunette e alcuni ritratti di personalità illustri dell’ordine nel chiostro grande costituiscono gli antefatti che giustificano il favore accordato dai servi di Maria a Vignali agli albori del suo percorso artistico. Alla devozione servita si riferisce un’inedita copia su tela della sacra immagine della SS. Annunziata, rintracciata da chi scrive nel convento fiorentino di S. Maria Novella e prossima per dati di stile alla citata allegoria Buonarroti; seguono il ritratto di Frate Angelo Maria Montorsoli, affrescato intorno al 1618 nel chiostro grande della SS. Annunziata sotto l’egida di Rosselli (Fabbri, 2015c), e la pala con la Prima messa di s. Filippo Benizi nel vicino oratorio già in uso alla compagnia intitolata al santo (Firenze, S. Francesco Poverino; cfr. Sebregondi, 1991, pp. 141 s., fig. 19). Alla committenza dei servi di Maria si lega infine l’affresco con Gesù pellegrino in Emmaus eseguito nel convento di Montesenario (Vaglia) fra il secondo e il terzo decennio del Seicento, nel quale si avverte il chiaro rimando, nella resa delle fisionomie e nei vivaci accordi cromatici, ai contemporanei esiti pittorici del condiscepolo Giovanni da San Giovanni, la cui influenza appare più marcata nella serie di affreschi con Santi e beati di Toscana realizzati da Jacopo fra il 1621 e il 1622 nella camera degli angeli in Casa Buonarroti (Procacci, 1965, pp. 14, 34; Pagliarulo, 1986, p. 184).
Dagli inizi degli anni Venti la produzione di Vignali, densa di opere datate o documentate, si sviluppò lungo molteplici traiettorie stilistiche che denotano l’innata tendenza del pittore a sperimentare differenti linguaggi contemporaneamente, sempre alla ricerca di soluzioni alternative nella modulazione del colore e della luce. Se alcune sue opere licenziate nel 1621 – quali la Guarigione di Tobia (Figline Valdarno, Fondazione Giovanni Pratesi), Giobbe visitato dagli amici (Praga, Národní Galerie), i due ovali nel refettorio domenicano di S. Maria Novella o l’affresco con il Sogno di Giacobbe in Casa Buonarroti – presentano caratteri ancora rosselliani e a tratti debitori a Ludovico Cardi, detto il Cigoli, altri dipinti, invece, seppure coevi, tradiscono la conoscenza diretta del luminismo in chiaro di Orazio Gentileschi, del repertorio figurativo diffuso da Jacques Callot e da Filippo Napoletano e della pittura ‘a macchia’ di Guercino, come ben esemplificano, rispettivamente, la S. Cecilia di Dublino (National Gallery of Ireland), il Calendimaggio (Roma, Galleria nazionale d’arte antica di Palazzo Corsini) e la grande tela con la Vestizione di s. Benedetto (Firenze, seminario maggiore), facente parte in origine di un ciclo a più mani promosso dalla compagnia di S. Benedetto Bianco fra il 1620 e il 1621 (Pagliarulo, 1986, pp. 246 s., nn. 1.116-1.117). Tali richiami a pittori extra moenia hanno indotto a postulare che Jacopo avesse intrapreso un viaggio d’istruzione a Roma e in Italia settentrionale lungo il biennio 1617-19 (ibid., p. 184).
Nel 1622, anno della sua elezione ad accademico del disegno, Vignali affrescò sotto la direzione di Rosselli cinque lunette nella sala dedicata a Ferdinando I nel casino mediceo di S. Marco su commissione del cardinale Carlo de’ Medici (ibid.; Spinelli, 2005, p. 215), per la cui raccolta di quadri, all’epoca ospitata nell’edificio, siglò e datò nello stesso anno la tela con Tobiolo e l’Angelo (Lucca, Pinacoteca nazionale di Palazzo Mansi), replicata l’anno seguente nell’esemplare offerto in dono alla vicina spezieria di S. Marco (Pagliarulo, 1986, p. 184; Baldassari, 2015a). L’occasione di partecipare a un’altra impresa collettiva presieduta dal maestro si ripresentò nel 1623 con l’esecuzione nella villa medicea del Poggio Imperiale della lunetta raffigurante S. Lucia nella sala delle Vergini martiri (Pagliarulo, 1986, p. 184; Acanfora, 2005, p. 153). Ma l’opera cardine del terzo decennio, per intensità di afflato emotivo e sapiente azione della luce, è la pala d’altare, firmata e datata 1623, con Cristo che mostra le piaghe a s. Bernardo di Chiaravalle nella chiesa fiorentina dei Ss. Simone e Giuda. Di ascendenza caravaggesca mediata da Rutilio Manetti, questa pala condivide gli interessi luministici con il coevo S. Pietro che cura s. Agata, appartenente alla serie di tele dedicate alla farmacopea già nella spezieria di S. Marco – da mettere in relazione con l’epidemia di tifo riaccesasi a Firenze nel 1622 (Pagliarulo, 1994, p. 142) – della quale fanno parte il citato Tobiolo e l’Angelo, il Battesimo di Costantino e il più tardo Buon Samaritano, siglato e datato nel 1630 (Firenze, Museo di S. Marco; Pagliarulo, 1986, p. 184; 2010, pp. 312 s., nn. 95-96). Il caldo cromatismo e gli intensi contrasti di luce riappaiono in Ciparisso (Strasburgo, Musée des beaux-arts), vertice della poetica degli ‘affetti’ secondo Vignali in un tempo oscillante fra il 1623 e il 1625 (Pagliarulo, 1986, pp. 251 s., n. 1.119).
Nel 1625, coincidente con il documentato viaggio a Roma in occasione del Giubileo, Vignali inaugurò la propria bottega in via della Crocetta e vi accolse l’allievo Carlo Dolci (Baldinucci, 1681-1728, V, 1847). In quest’anno datò la Natività della Vergine in S. Agostino a Sansepolcro, dipinta su commissione di Remigio Cantagallina (Bartolozzi, 1753, p. XII; Pagliarulo, 1986, p. 184; Maggini, 2016, pp. 107 s.), e il quadro da sala con il Ritrovamento di Mosè, apparso di recente sul mercato fiorentino (Novanta anni di aste, 2014) e citato dal biografo Bartolozzi (1753) come opera ordinata al pittore dal «balì Pucci», identificabile con il senatore Giulio di Niccolò Pucci (p. XII; Pagliarulo, 1986, p. 184, e 2013, p. 16). Nel Cristo confortato dall’angelo in S. Lucia alla Castellina, risalente al 1626, Vignali elaborò invece, muovendo dagli esempi di Francesco Curradi, un’immagine dolente e di forte impatto emotivo che lascia già presagire la pittura devota di Dolci (Del Bravo, 1961, p. 33; Meloni, 1967; Pagliarulo, 1994, p. 170), ponendosi in aperto contrasto con l’atmosfera feriale, vivida di colore, che pervade il quadro da sala con Rebecca ed Eleazaro al pozzo (Vicenza, Banca Popolare), siglato e datato nel 1627 (Bellesi, 2009, I, p. 271, III, fig. 1668). Un accentuato misticismo intriso di luce riaffiora tuttavia nella monumentale Comunione della beata Chiara di Montefalco, firmata e datata nel 1629 per l’altare Bardi di Vernio in S. Spirito a Firenze, la cui composizione di respiro barocco appare debitrice allo stile di Giovanni Lanfranco, assimilato a Roma e tramite l’amichevole frequentazione a Pisa di Orazio Riminaldi, da poco rientrato dal lungo soggiorno nell’Urbe (Bartolozzi, 1753, p. XI; Pagliarulo, 1986, p. 185, e 1994, pp. 143, 189).
Con il diffondersi dell’epidemia di peste in Toscana Vignali seppe farsi interprete delle crescenti istanze devozionali licenziando, a partire dal 1630, un alto numero di dipinti di destinazione pubblica e privata, oggetto di uno studio specifico da parte di Pagliarulo (1994). Fra quelli esaminati dallo studioso si segnalano il S. Bruno nella certosa pisana di Calci, siglato e datato nel 1630, il coevo Mosè e il serpente di bronzo (Firenze, collezione privata) dipinto per Giovanni Buonaccorsi (Bartolozzi, 1753, p. XVII), il citato Buon Samaritano già nella spezieria di S. Marco (Firenze, Museo di S. Marco), la tela con Suor Domenica del Paradiso (Firenze, depositi di S. Salvi), donata nel 1631 alla granduchessa Cristina di Lorena dalle monache del monastero della Crocetta, e infine la Madonna e santi nella badia di Ripoli, datata nel medesimo anno. Dal 1632 in poi le commissioni a Vignali e il numero dei suoi committenti registrarono una brusca impennata. Rientrano in questa fase di febbrile attività le note decorazioni ad affresco e su tela della cappella Bonsi ai Ss. Michele e Gaetano di Firenze, documentate al 1632 (Pagliarulo, 1982, pp. 20, 29 s.; Chini, 1984, pp. 110 s.), e la tela con Piramo e Tisbe (Londra, collezione privata), siglata e datata nello stesso anno, richiesta al pittore da Cosimo e Gabriello Riccardi per il casino di Valfonda (Baldassari, 2009a, pp. 107 s., tav. 1). Nell’anno seguente cade la sua partecipazione con S. Paolo guarisce gli storpi (Firenze, collezione privata) al documentato ciclo a più mani dedicato al santo titolare dalla compagnia di S. Paolo di Notte (Pagliarulo, 1989a).
Capolavoro indiscusso della metà del quarto decennio è la pala con la Vergine e cinque santi destinata da Alessandro Medici alla sagrestia della Madonna alla SS. Annunziata, opera nella quale Vignali tese a recuperare il clima sereno delle opere giovanili guardando, nel contempo, ai coevi esiti pittorici di Dolci (Pagliarulo, 1986, p. 186, e 1994, pp. 184 s.). Cadono in questa fase due soggetti cavallereschi ispirati a Vignali da poemi di Torquato Tasso e Ludovico Ariosto: Armida incatena Rinaldo (già Vienna, mercato antiquario), eseguito nel 1634 per Benedetto Dragomanni (Bartolozzi, 1753, p. XX; Baldassari, 2018), e Ruggero soccorso da Leone e Melissa (Firenze, Galleria Palatina), dipinto su commissione del cardinale Carlo de’ Medici nel 1636 (Fumagalli, 2001, p. 222, n. 86). Al 1637 risale la tela già Da Filicaia con Il profeta Eliseo richiama in vita il figlio della Sunammita (Milano, collezione Giorgio Baratti; Baldassari, 2009a, pp. 108 s., tav. 4), siglata e datata in quell’anno e in coppia con un secondo dipinto di soggetto biblico ascritto a Domenico Pugliani, condiscepolo di Vignali alla scuola di Rosselli. All’aprirsi degli anni Quaranta, densi di opere e coincidenti con la fornitura dei cartoni all’arazzeria medicea per i quattro arazzi delle Stagioni (Pagliarulo, 1986, p. 186; Meoni, 2018, pp. 164 s.), spicca l’intervento del pittore nella cappella Accolti alla SS. Annunziata, consistente nell’esecuzione degli Arcangeli ad affresco nella calotta e delle due tele laterali con Maddalena e S. Margherita di Antiochia, nelle quali ricompare la pittura ‘a macchia’ di ricordo guercinesco. Analoghi caratteri stilistici caratterizzano la pala con la Liberazione delle anime dal Purgatorio e le altre tele di pertinenza della cappella Mazzei ai Ss. Michele e Gaetano, documentate nel 1642 (Chini, 1984, pp. 134 s.; Pagliarulo, 1996, pp. 164 s., 174 s.). Nella pala con il Martirio di s. Lucia, capolavoro della maturità eseguito nel 1649 per la cappella Colloredo alla SS. Annunziata, Vignali non si mostrò insensibile ai coevi esiti pittorici di Felice Ficherelli e Salvator Rosa (Pagliarulo, 1986, p. 187; Fabbri, 1990, pp. 90 s.). Di qualità non certo inferiore appare la Madonna e s. Liborio in S. Jacopo sopr’Arno, collocabile nei tardi anni Cinquanta.
Vignali morì a Firenze il 3 agosto 1664 in seguito ai postumi di un colpo apoplettico avvenuto nell’aprile dell’anno precedente. Fu sepolto in S. Michele Visdomini (Pagliarulo, 1986, p. 187).
Non avendo formato una propria famiglia, la sua eredità pervenne ai nipoti per parte fraterna.
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