Bossuet, Jacques-Benigne
Ecclesiastico, scrittore e oratore francese (Digione, Seine-et-Marne, 1627- Meaux, Seine-et-Marne, 1704). Arcidiacono di Sarrebourg presso la cattedrale di Metz, nel 1659 pronunciò a Parigi la prima delle sue grandi orazioni funebri; fu vescovo di Condom (1669) e nel 1670 diventò precettore del Delfino, per il quale scrisse diverse opere, fra cui La connaissance de Dieu et de soi-meme, la Logique (pubblicate postume nel sec. 18°) e il Discours sur l’histoire universelle (1681; trad. it. Discorso sopra la storia universale). B. conosce e utilizza la filosofia cartesiana, ed è al corrente degli sviluppi e dei dibattiti accesi dagli scritti di Malebranche, o dalla Logique di Port-Royal (1662; 5a ed. 1683) di Arnauld e Nicole, ma nei suoi scritti è forte e prevalente il ricorso ad Aristotele e Platone, come alla scolastica, secondo moduli che cercano di ricondurre nell’alveo della tradizione la nuova filosofia. La concezione dell’uomo presentata in De la connaissance è improntata a un cartesianismo illanguidito da forti motivi agostiniani, che mira ad attenuare il problema del dualismo delle sostanze. Nell’uomo vi sono «tre cose da considerare»: l’anima, «ciò che ci fa pensare, intendere, sentire, ragionare, volere, scegliere una cosa piuttosto che un’altra e un movimento piuttosto che un altro»; il corpo, «questa massa estesa in lunghezza, larghezza e profondità, che ci serve per esercitare le nostre operazioni»; «l’unione dell’uno e dell’altra» (Prefazione). Nel Discours sur l’histoire universelle, B. presenta un vigoroso quadro della storia, retta dalla tradizione e dalla Provvidenza, raccolta tutta intorno alle vicende del popolo ebraico per l’antichità e del cattolicesimo europeo per il Medioevo e l’età moderna. La storia, sia sacra sia profana, è manifestazione della provvidenza che la sorregge; entro tale prospettiva unificante, eventi epocali esemplari quali l’ascesa o il crollo degli imperi, sono ricondotti alle cause che li determinano, a fattori quali la «disposizione» e il «carattere» dei popoli, ma, al tempo stesso, sono collocati entro il disegno provvidenziale che orienta l’intreccio fra tali determinazioni e il piano divino. Il caso o la fortuna non hanno alcun ruolo nella vicenda provvidenziale, che si dipana mediante la storia e alla quale l’uomo è chiamato a prendere parte, in un orizzonte teologico-storico (i temi presenti nell’opera saranno ripresi criticamente da Montesquieu in L’esprit des lois e da Voltaire nell’Essai sur les moeurs). Il principio della tradizione, insieme struttura storiografica e motivo teologico, sorregge anche l’Histoire des variations des eglises protestantes (1688; trad. it. Storia delle variazioni delle Chiese protestanti). Scritta in polemica con P. Jurieu, l’opera presenta il tentativo d’intendere la storia in base alle ‘cause seconde’, alla volontà e al capriccio dell’uomo, il quale tuttavia non può aver successo ove non soccorrano cause più generali, ma pur sempre immanenti. Senza conciliare il contrasto, soltanto apparente, fra prescienza divina e libero arbitrio, B. accoglie nell’opera, oltre al disegno provvidenziale della grazia, anche i meriti del cristiano, concedendo spazio al ruolo attivo dell’uomo. Tale impostazione, tesa a rinnovare le conclusioni agostiniane sul libero arbitrio, impronta anche il Traite du libre arbitre (rimasto manoscritto e pubblicato postumo) dove, in riferimento al contrasto fra cartesiana «libertà d’indifferenza» e prescienza divina, B. scrive: «bisogna tenere i due estremi della catena». Accanto alla difesa del cattolicesimo, contro il quietismo e l’antiassolutismo aristocratico di Fénelon, si pongono la riflessione contro l’occasionalismo antiprovvidenzialistico di Malebranche, che sostituendo al ricorso all’autorità il libero esame autorizza la tolleranza e finanche il socinianismo, e la polemica contro la critica biblica di R. Simon, basata sulla storicità dei libri sacri. La difesa di posizioni conservatrici con un rigore intransigente che parve per un momento accostare B. ai giansenisti si manifestò, oltre che nel richiamo costante all’autorità e alla tradizione, nella rigorosa applicazione, entro la sua diocesi, del decreto di revoca dell’editto di Nantes, e nell’appoggio alla politica conservatrice e assolutistica incarnata da Luigi XIV. In tale prospettiva si colloca anche la posizione assunta nella prolungata discussione con Leibniz, circa il tentativo di riunione delle Chiese, che egli ritenne impraticabile (1699) per il rifiuto dei protestanti di riconoscere la tradizione e il concilio di Trento.