NECKER, Jacques
Finanziere e uomo politico, nato a Ginevra il 30 settembre 1732, morto a Coppet il 9 aprile 1804. Di famiglia originaria della Pomerania, fu dal padre, Carlo Federico, professore di diritto, inviato giovanissimo a Parigi, dove s'iniziò alla carriera bancaria presso il suo compatriota Vernet. Le sue notevoli capacità tecniche gli spianarono la via e nel 1762, con l'aiuto finanziario dello stesso Vernet, s'associò ai Thellusson, con i quali diede vita a quella banca Thellusson-Necker, subito affermatasi come la prima di Francia. Fortunate speculazioni granarie e audaci operazioni di banca resero in breve assai ricchi i due titolari.
Il N., con il favore del re e del Choiseul, tentò anche di risollevare le sorti della compagnia francese delle Indie, che difese dagli attacchi cui era fatta segno (Réponse au mémoire de M. l'abbé Morellet, 1769). Ma il momento non era propizio e l'accentuata decadenza coloniale della Francia rese vano ogni suo sforzo. Intanto il matrimonio con Suzanne Curchod (1764), donna intelligente, colta e letterata, rendeva alla moda il salone di casa N., per il quale passavano gli esponenti più illustri del pensiero, della politica, della finanza contemporanea. E la fama del banchiere ginevrino, che nel 1772 abbandonava ufficialmente gli affari, si consolidava in altri campi. Nel 1773 l'Académie gli premiava l'Éloge de J.-B. Colbert, nel quale egli aveva tracciato un ritratto ideale del perfetto ministro delle finanze; nel 1775 prendeva posizione contro il liberismo economico del Turgot a proposito del commercio dei grani (Essai sur la législation et le commerce des grains).
Si cominciarono ora a vedere gli effetti del "salon Necker". Mecenate di filosofi e di riformatori, il finanziere ginevrino, abile, fortunato, onesto, era stato promosso dai suoi ammiratori al compito di uomo di stato. Il suo ideale era, in fondo, abbastanza limitato e semplicistico: governo paternalistico e amministrazione onesta. Un buon re e un ottimo ministro delle finanze: il buon re c'era già, l'ottimo ministro era pronto. E così, per ispirazione del Maurepas, il N. fu nominato direttore del tesoro reale (1776) e poco dopo (29 giugno 1777) direttore generale delle finanze. Di fatto era ministro delle finanze, ma non di diritto, perché l'essere protestante gli aveva impedito l'ingresso ufficiale nel consiglio del re.
Il suo passaggio per l'amministrazione delle finanze non fu senza utilità per la Francia, poiché molte opportune riforme furono compiute o suggerite e molte tasse mitigate; si stabilirono i monti di pietà; si tentò una ridotta applicazione degli ordinamenti provinciali del Turgot, ecc. Ma non era l'uomo di stato che gli amici avevano esaltato e si ostinavano a esaltare. "Illuminato", pieno di amore per l'umanità, ordinato, economo, buon amministratore in tempi normali, mancava delle qualità necessarie in momenti difficili, quali già si rivelavano in Francia. Rimaneva, sostanzialmente, un buono, un ottimo banchiere, non appariva un economista e, tanto meno, un politico.
Atto clamoroso della sua gestione il Compte rendu au roi (1781), in cui svelava la paurosa situazione delle finanze francesi e non senza certo dottrinario demagogismo indicava con la cruda e un po' semplicistica realtà delle cifre i colpevoli. Gli accusati reagirono. Già antipatico ai privilegiati e alla corte, fu costretto a ritirarsi davanti all'imperiosa levata di scudi della nobiltà (maggio 1781). La disgrazia del N. ebbe per effetto di accrescerne la popolarità. L'opinione pubblica gli restò fedele: la sua caduta fu paragonata a quella del Turgot. Una certa aureola di martirio gl'incoronò la testa pensosa: tutti lodavano le riforme introdotte e quelle fatte sperare; la pubblicazione del grosso lavoro De l'administration des finances de la France (voll. 3, 1784) confermò gli ammiratori nella loro ammirazione e nel loro rimpianto. Un suo attacco contro la politica del Calonne (Mémoire en réponse au discours prononcé par M. de Calonne) gli procurò nel 1787 un breve esilio da Parigi e più vive simpatie.
Grande l'entusiasmo popolare quando il 26 agosto 1788 fu nuovamente nominato direttore generale delle finanze e ammesso al consiglio, sotto la pressione dell'opinione pubblica. Egli avrebbe ben saputo arrestare il deficit. E l'entusiasmo s'accrebbe alla notizia che aveva prestato due milioni al tesoro, dando un esempio che fu seguito da altri. Ancora una volta propose utili cose, suggerì opportune riforme, e molte tentò di attuare. Ma i difetti dell'uomo non si potevano sopprimere: indeciso, dottrinario, insofferente delle opposizioni, ancora una volta apparve più banchiere che politico. Preoccupato della crisi finanziaria, non s'accorgeva dell'avanzarsi della rivoluzione. "Orologio in ritardo" lo definiva Mirabeau. Suo merito la richiesta di convocazione degli Stati generali, ma anche qui con l'illusione che bastasse risanare le finanze, fare qualche utile riforma parziale e nulla più.
La crisi politica rivelò le sue insufficienze. Già alla seduta d'apertura degli Stati generali (5 maggio 1789) il suo discorso riuscì inferiore all'attesa: due ore di faticosa prosa tutta cifre; un sermone da pastore protestante senza la luce di una speranza. Della freddezza popolare profittò la corte, che, durante la crisi susseguita al giuramento del Jeu de paume, lo fece congedare (11 luglio). E il conte d'Artois poté insultarlo pubblicamente e il re intimargli l'esilio dalla Francia. Ma la sua disgrazia gli giovò di nuovo e fece precipitare l'esplosione popolare fino allora contenuta. Il popolo si commosse; l'assemblea protestò; Camille Desmoulins accese gli animi: il 12 il busto di N. fu portato in trionfo con quello del duca d'Orléans. La caduta della Bastiglia spianò la strada al suo ritorno. E N. fu di nuovo trionfalmente accolto a Parigi, dove il 6 agosto divenne "primo ministro delle finanze". Gli nocque ora la sua stessa popolarità. Avversi a lui il re, la regina, la corte, Mirabeau; incontentabili i suoi partigiani, gli riuscì difficile mantenersi. Anche l'assemblea finì con l'abbandonarlo e il 18 settembre 1790 egli si dimise in mezzo a un' indifferenza che contrastava con gli entusiasmi d'un tempo. Lasciò subito Parigi e dopo un viaggio avventuroso si ritirò a Coppet, dove visse con la moglie (morta nel 1794), con la figlia M. me de Staël, e la nipote, dimenticato dai contemporanei, ai quali cercò invano di ricordarsi con opere di economia e di politica (Sur l'administration de M. Necker, par lui même, 1791; Du pouvoir exécutif dans les grands états, voll. 2, 1792; De la révolution française, 4 voll., 1797, ecc.).
Bibl.: Oltre le opere generali sulla rivoluzione e M. Marion, Hist. financière de la France depuis 1715, II, Parigi 1919, ved. O. d'Haussonville, Le salon de M.me Necker, voll. 2, Parigi 1882; J. Flammermont, Le second ministère N., in Revue historique, XLVI (1891), pp. 1-67 (ma si arresta ai preparativi per la seduta reale del 23 giugno 1789); E. Lavaquery, Necker fourrier de la révolution, Parigi 1934.