TATI, Jacques
(App. III, II, p. 900)
Regista, sceneggiatore e attore cinematografico francese, morto a Saint-Germain-en-Laye il 5 novembre 1982.
Dopo Mon oncle (1957) T. scrisse, sceneggiò, interpretò e diresse, come sempre, anche Playtime (Playtime. Tempo di divertimento, 1967), nel quale il personaggio di Hulot, già ridimensionato nel film precedente, riduce ancora la propria presenza a vantaggio di inquadrature entro cui si addensano miriadi di particolari, di figure umane, di oggetti, di architetture, di ambienti: quanto occorre per dire, in esatto opposto al titolo del film, l'angoscia dell'autore, propenso non già a divertirsi ma a esprimere il disagio di vivere in spazi e luoghi non più a misura d'uomo. Senza un punto di vista che indirizzasse e facesse lievitare gli umori anticonformistici, ma tutto intento a raggiungere un perfezionismo tecnico eccessivo ancorché mirabile, T. diluì i propri intendimenti ironici, lasciando così il pubblico disorientato e interdetto. Di qui l'insuccesso economico del film, in buona parte sopportato dallo stesso T., sicché occorsero quattro anni perché il regista potesse allestire un'altra opera, Trafic (Monsieur Hulot nel caos del traffico, 1971), che riproponeva il suo tema consueto: l'insostenibile convivenza dell'uomo con la società industriale. Simbolo è un'automobile inventata da Hulot per essere presentata al salone internazionale di Amsterdam, dove non giungerà mai per una serie di incidenti di traffico, con conseguente licenziamento del suo stesso inventore. Le meraviglie dell'auto in questione non sono né la velocità né la linea, bensì una surreale ed esilarante dotazione di accessori come, per es., un congegno cuoci-bistecca. La polemica di T., non nuova neppure rispetto all'emblema prescelto, rimase ancora una volta alla superficie, e l'assegnare un ruolo non marginale, ma di nuovo centrale, all'allampanata figura di monsieur Hulot fallì lo scopo di riottenere successo rivitalizzando l'umorismo di un personaggio anche qui soffocato da una meticolosità strutturale e formale troppo studiata. Nel 1974, su richiesta della televisione svedese, T. poté ancora realizzare un ultimo film intitolato Parade (Il circo di Tati), un coacervo di ''numeri'' legati tra loro dallo stesso T. (che vi ripresentò alcune pantomime tra le sue più popolari: il boxeur, il tennista, il vigile, ecc.), ma la cui accoglienza del pubblico − e stavolta, tranne poche eccezioni, anche della critica − non fu favorevole. Parade chiuse perciò la carriera cinematografica di Tati. Un risveglio d'interesse nei confronti della sua opera si ebbe tuttavia nel 1994, grazie alla nuova edizione di Giorni di festa.
Bibl.: B. Amengual, L'étrange comique de Monsieur Tati, in Cahiers du cinéma, 32 (febbraio 1954) e 34 (aprile 1954); J.-A. Cauliez, Jacques Tati, Parigi 1962; AA.VV., in Cahiers du cinéma, 199 (marzo 1968); R. Nepoti, Jacques Tati, Firenze 1979; A. Libertini, Jacques Tati, in Cinemasessanta, 139-41 (maggio-ottobre 1981); Hommage à Tati, in Cinéma 83 (gennaio 1983); F. Chevassu, La trajectoire Tati, in La revue du cinéma, 463 (settembre 1990).