Tati, Jacques
Nome d'arte di Jacques Tatischeff, comico e attore cinematografico francese, nato a Pecq (Seine-et-Oise) il 9 ottobre 1908 e morto a Parigi il 4 novembre 1982. Erede della tradizione comica del muto, privilegiò sempre nei suoi film le gag visive contaminandole con suoni e rumori anziché con l'elemento verbale; i personaggi da lui interpretati infatti (Monsieur Hulot soprattutto, protagonista di quattro film), più vicini allo straniamento e all'immobilismo di Buster Keaton che all'esuberanza malinconica di Charlie Chaplin, non parlano quasi mai e risultano estranei al contesto sociale che li circonda, mantenendo l'imperturbabilità rispetto alle situazioni in cui si trovano coinvolti. Amato dai critici della Nouvelle vague, che hanno considerato la sua opera tra le più significative nell'ambito della loro politique des auteurs, nell'arco della sua carriera realizzò solo sei lungometraggi, con i quali però seppe rinnovare profondamente il genere rivolgendo una maniacale attenzione sia agli elementi sonori (più volte al centro degli studi critici di M. Chion) sia all'utilizzo del colore, e che hanno significativamente influenzato anche l'opera di Jerry Lewis, del primo Woody Allen e di Maurizio Nichetti. Con Mon oncle (1958; Mio zio) si aggiudicò il Premio speciale della giuria al Festival di Cannes e, nel 1959, l'Oscar come miglior film straniero.
Dopo aver svolto il servizio militare, giocò alla fine degli anni Venti nella squadra di rugby del Racing Club, prima di trasferirsi a Parigi per intraprendere la carriera di comico. Nel 1934 scrisse la sceneggiatura del cortometraggio On demande une brute (1934) di Charles Barrois, dove interpreta il ruolo di un pugile. Negli anni seguenti fu protagonista di altri corti come Gai dimanche (1935) di Jacques Berr e Soigne ton gauche (1938) di René Clément. Nel frattempo ottenne un enorme successo nei cabaret e nei music-hall, specializzandosi soprattutto nelle pantomime sportive. Venne poi arruolato dall'esercito francese durante la Seconda guerra mondiale al termine della quale partecipò, in parti di contorno, a due film di Claude Autant-Lara: Sylvie et le fantôme (1946) e Le diable au corps (1947; Il diavolo in corpo), dove fu rispettivamente un fantasma e uno dei soldati che celebra l'armistizio in un bar. Nel 1947 diresse inoltre L'école des facteurs, un cortometraggio di circa 18 minuti in cui interpretò per la prima volta il personaggio del postino François. Questa figura, con i suoi inconfondibili tratti comici (alto, allampanato, con il naso lungo, i baffi neri, la borsa a tracolla e la divisa troppo stretta), venne poi meglio definita nel suo primo lungometraggio, Jour de fête (1949; Giorno di festa), nel quale il postino si trova coinvolto nei preparativi di una festa in un villaggio e la cui vita tranquilla viene stravolta dalla proiezione di un documentario sulla velocità e l'efficienza dei portalettere statunitensi. Il film fu girato con due macchine da presa, una con la pellicola in bianco e nero e l'altra a colori. Il negativo a colori, ottenuto attraverso un procedimento detto Thomsoncolor, non poté mai essere sviluppato per la mancanza del laboratorio di stampa. T. però non si rassegnò mai al bianco e nero. Nel 1961 fece in modo che Jour de fête fosse colorato con un sistema artigianale chiamato au pouchoir che evidenziava alcuni oggetti come il fanalino della bicicletta di François o i palloni e le bandiere della festa. Nel 1994, grazie all'intervento della figlia Sophie Tatischieff e di François Ede, è stato stampato l'originale negativo a colori in modo da recuperare il film così come il regista l'aveva pensato. Attraverso la rappresentazione della vita del villaggio T. in Jour de fête mostra l'immagine di una Francia pre-industriale con uno stile che privilegia le inquadrature più ampie rispetto ai primi piani, permettendo allo spettatore di vedere il protagonista mentre interagisce all'interno dello stesso piano con gli altri personaggi, gli animali e gli oggetti. Nel film successivo, Les vacances de Monsieur Hulot (1953; Le vacanze di Monsieur Hulot), comparve il personaggio di Monsieur Hulot, cui il nome di T. viene con più frequenza associato. Rispetto alla fisicità nervosa di François, Hulot appare imperturbabile, con un'espressione spesso stralunata e una camminata saltellante, sempre vestito con un cappello a larghe falde e un paio di pantaloni alla caviglia, mentre la pipa che tiene in bocca rende incomprensibili le rarissime parole che pronuncia. A partire dal successivo Mon oncle il suo abbigliamento sarebbe stato arricchito da un impermeabile e da un cravattino a farfalla. Il film, in cui il protagonista provoca il caos in una località balneare, segnò un profondo rinnovamento del cinema comico, sottolineato anche in un importante saggio di André Bazin (1958), soprattutto nella continua interazione tra immagine e suono. La gag non è mai esaurita all'interno di una stessa situazione narrativa ma può essere anche ripetuta nel corso del film. Il successo fu tale che produttori francesi e statunitensi reclamarono nuove avventure di Hulot.
Nel 1956 T. aveva fondato la casa di produzione, Specta Alter Films prima di dirigere Mon oncle, suo primo film a colori, nel quale aggiunse come elemento narrativo la complicità tra Hulot e suo nipote, ma soprattutto sviluppò quella critica alla civiltà industriale già presente in alcuni momenti dell'opera precedente. T. mise in contrapposizione un quartiere antico (Saint-Maur dove abita lo stesso Hulot) con quello più moderno (Créteil in cui è situata la casa dei genitori del nipote di Hulot), caratterizzando il primo con colori più neutri e il secondo con altri più accesi. Perfezionò poi la cura dei dettagli sonori e di una comicità catastrofica dirompente: la straordinaria scena del disastro in giardino durante il garden party costituì una fonte di ispirazione per il Blake Edwards di The party (1968). Diversi anni dopo T. girò Playtime (1967; Playtime ‒ Tempo di divertimento), autentica opera teorica in cui la civiltà dei consumi appare aver completamente trasformato Parigi rendendola asettica, non distinguibile rispetto alle altre metropoli del mondo e riconoscibile parzialmente solo attraverso i riflessi di un vetro. Hulot ormai è sempre più relegato ai margini dell'inquadratura, confuso in una folla informe di personaggi che non comunicano più tra loro e che manifestano i segni della loro presenza solo attraverso i rumori (le poltrone da cui Hulot si alza e si siede, la camminata delle due suore nell'aeroporto di Orly). Per girare il film, in cui è racchiusa la visione del mondo del suo autore, T. fece costruire una città denominata Tativille, con quella magniloquenza scenografica così simile alle scelte di David W. Griffith per Intolerance (1916) e di Eric von Stroheim, che per Foolish wives (1921) ricostruì per intero il set della città di Montecarlo. Playtime fu realizzato in 70 mm, formato solitamente utilizzato per i grandi kolossal o i film di guerra. Opera grandiosa e ambiziosa, si rivelò un insuccesso e determinò il fallimento della casa di produzione oltre che la fine della carriera di Tati. Da questo momento in poi girò solo altri due film, Trafic (1971; Monsieur Hulot nel caos del traffico), piccolo e ancora geniale film nel quale Hulot vuole esporre il suo camping car pieno di gadget al Salone delle auto di Amsterdam ma resta imbottigliato nel traffico, e Parade (1974; Il circo di Tati) intenso e commosso omaggio al mondo del circo e del varietà realizzato per il secondo canale della televisione svedese.
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