JAHVÈ
. Nome proprio della divinità nel monoteismo ebraico. Si legge più di 6000 volte nella Bibbia e una volta nell'iscrizione di Mesha, re di Moab (sec. IX a. C.). Nell'originale scrittura semitica, che non segna le vocali, consta di quattro lettere (yōd, hē, wāw, hē) ed è perciò chiamato "nome tetragrammo". Per venerazione, non scevra di qualche superstizione, i Giudei già da più secoli a. C. schivavano di pronunciare quell'augusto nome e vi sostituivano, anche dove stava scritto nella Bibbia, i nomi comuni di Elohim (Dio) o, più spesso, Adonai (Signore); perciò anche nelle più antiche versioni greche (LXX) e latine (Volgata) fu tradotto κύριος, Dominus. Quando più tardi i masoreti (vedi VI, 887) vocalizzarono il sacro testo, alle consonanti del nome tetragrammo apposero le vocali appunto di Adonai, o, raramente, di Elohim.
Pronunzia. - Per queste abitudini cadde nell'oblio la vera pronunzia del sacro nome ed ebbe origine la falsa ibrida forma Jehova, che già s'incontra nel Pugio fidei di Raimondo Martini (1278): e dominò sino al secolo scorso; in Italia (dove naturalmente si trasformò anche in Geova) non penetrò nell'uso come in altre nazioni, ma ora quasi dappertutto è scomparsa. La pronunzia Jahvè, accreditata dagli ebraisti del sec. XIX, si fonda su due solide basi:1. la tradizione raccolta dai Padri greci sotto varie forme (dovute alla difficoltà di ranpresentare in greco il waw ebraico) che convergono nella dicitura Jave; 2. le forme più brevi Jahu e Jah attestate dalla Bibbia stessa e confermate dalle trascrizioni in cuneiforme specialmente nei nomi teofori come Jasha ‛jahu (Isaia) = salute è J.; ‛Azariah = aiuto è J., e nell'acclamazione allelujah = lodate J. Per la presente questione è indifferente che con la comune opinione si consideri Jahvè come forma originaria e le altre come derivate da essa per apocope (conforme alla fonetica ebraica), ovvero che si tenga con pochi moderni (Driver, Burkitt, Grimme) Ja, Jau come forma primitiva; e Iahvè derivata per prolungamento. Una conferma è la variante Jao, diffusa nel mondo ellenistico (Diodoro Sic., Bibliot., I, 94, 2; scritti gnostici e magici).
Etimologia e senso. - Meno accordo regna intorno all'etimologia e quindi al significato del nome Jahvè. Delle varie opinioni la più consona alla filologia, alla storia, e alla Bibbia stessa (Esodo, III, 14) è quella che lo deriva dal verbo sostantivo hāyah, arcaico hāwāh = essere, nella forma verbale che esprime l'azione duratura, continuata. Può rimaner dubbio però se sia alla voce semplice (kal dei grammatici) o alla causativa (hiphil). L'aspetto più ovvio è quello di un hiphil. Jahvè perciò verrebbe a significare "(Colui che) fa essere", quindi il Creatore, o il Realizzatore (delle sue promesse). Ma nella classe dei verbi a cui appartiene hāyàh-hàwàh con la voce causativa coincide spesso la semplice, nel nostro caso intransitiva; e in questo caso Jahvè varrebbe quanto "Colui che è", l'Esistente per eccellenza; e questa spiegazione, già supposta dal citato luogo di Esodo, è generalmente preferita anche dai moderni filologi.
Propagazione. - Fuori del popolo ebreo e della sfera di sua influenza non si banno prove d'un culto prestato a J. Nei documenti cuneiformi di varie epoche s'incontra, sia separato, sia in composizione, un elemento Jau, Jaum, Jamu, Jama, riferito alla divinità ed equivalente fonetico di Jahvè o Jāh. Ma fu riconosciuto ch'esso è piuttosto un elemento pronominale, possessivo (mio) o dimostrativo. Nulla di serio si può obiettare al celebre testo Esodo, VI, 3 (similmente III, 14) che ci presenta J. come nome divino riservato agli Ebrei dal tempo di Mosè in poi. L'uso di esso in concorrenza con Elohim fra gli stessi Ebrei e anche negli scrittori biblici, variò assai. Nei profeti prepondera di gran lunga J. e nelle Lamentazioni di Geremia non si trova mai Elohim;. l'Ecclesiaste invece mai non usa J., ma solo Elohim. Dei cinque libri dei Salmi il I, IV e V usano quasi esclusivamente J., il II e III quasi esclusivamente Elohim; ma si può provare che ivi Elohim per lo più non è primitivo, ma sostituito ovvero aggiunto all'originario J., ciò che sporadicamente si osserva anche altrove, ad es., in Gen., II e III Samuele. È noto che dal vario uso di questi due nomi divini si cominciarono a distinguere le varie fonti nel Pentateuco (v.) e quindi si parlò di "Jahvista" e di "Elohista". Ma quanto sia fallace arguire dallo stato attuale del testo alle origini si è visto or ora nei Salmi.
Bibl.: Didymi Taurinensis [Tomm. Valperga di Caluso], De pronunciatione divini nominis quattuor litterarum, Parma 1790; G. H. Dalman, Der Gottesname Adonai und seine Geschichte, Berlino 1889; S. R. Driver, Recent theories on the origin and nature of the Tetragrammaton, in Studia biblica, Oxford 1885, pp. 1-20; G. R. Driver, The original form of the name ‛Yahweh', in Zeitschrift für die alttest. Wissenschaft, XLVI [1928], pp. 7-25; J. Hen, Die biblische u. die babylon. Gottesidee, Lipsia 1913, pp. 213-250; W. W. Baudissin, Kyrios als Gottesname im Judentum, voll. 4, Giessen 1929; Dict. de la Bible, art. Jéhovah, III, coll. 1221-1234 e Suppl. I, col. 837; Realencykl. f. prot. Theol. u. Kirche, 3ª ed., VIII, art. Jahve; i commentarî biblici ad Esodo, III e VI.