Harrington, James
Nato a Upton nel gennaio del 1611, si formò presso il Trinity College di Oxford, ma senza concludere gli studi. Dopo avere lungamente viaggiato in molti Paesi d’Europa – Olanda, Danimarca, Germania, Italia e Francia – ritornò in Inghilterra e nella guerra civile si schierò a fianco dei ‘parlamentari’. Autorevole esponente del pensiero repubblicano, fu però assai vicino al re Carlo I nella parte finale della sua vita, rimanendogli sempre fedele. A causa di questi suoi atteggiamenti, il manoscritto della sua opera più importante, The Commonwealth of Oceana, fu sequestrato prima di essere pubblicato a Londra nel 1656. In seguito a tale pubblicazione, fu coinvolto in molte polemiche politiche e filosofiche generate dai suoi lavori successivi, sempre accompagnati da un impegno politico attivo nel Club Rota. Nel dicembre del 1661 fu arrestato e imprigionato a Londra e poi confinato nell’isola di St. Nicholas e a Plymouth. Venne liberato nel settembre dell’anno successivo per le sue condizioni fisiche assai precarie e visse a Londra fino alla morte, avvenuta l’11 settembre 1677.
Tra le sue opere, accanto a Oceana vanno ricordate Pian Piano, The prerogative of popular government, Politicaster, The art of lawgiving, The Rota, Aphorisms political, tutte pubblicate fra il 1656 e il 1660.
In Oceana H. si confronta in luoghi cruciali con il pensiero di M., sia con il Principe sia con i Discorsi, riprendendo e svolgendo in modo originale (è stato considerato da Giuliano Procacci il «maggiore e più acuto fra gli interpreti di Machiavelli di tutti i tempi», in Machiavelli nella cultura europea dell’età moderna, 1995, p. 235) un interesse per il Segretario fiorentino che già si era ampiamente dispiegato in Inghilterra lungo il Cinquecento e aveva trovato un punto di approdo assai importante nell’opera di Francis Bacon (→); con Bacon le ricerche su M. si liberano dal tono spesso pregiudizialmente critico e si pongono su un terreno di carattere strettamente storico e scientifico. Fra l’altro Bacon nel De augmentis mostra di comprendere anche il valore dello ‘stile’ utilizzato da M. nei Discorsi:
una forma di componimento – scrive – che è stata usata da uomini saggi e gravi, e in cui è raccolta sparsamente la storia di quelle azioni che all’autore sono parse degne di ricordo insieme con i relativi discorsi e osservazioni politiche non incorporate nella storia ma a sé stanti, come parte fondamentale nell’intenzione dell’autore stesso (La dignità e il progresso del sapere divino ed umano, in Scritti filosofici, a cura di P. Rossi, 1975, pp. 212-13).
Si è citato Bacon perché, a differenza di quanto era accaduto nel 16° sec. – quando la fortuna di M. si era intrecciata a motivazioni di carattere religioso, specialmente di matrice puritana –, nel Seicento, riprendendo anche la linea di ricerca sviluppata dal lord cancelliere, gli studi su M. scendono sul terreno della storia politica, con particolare riferimento a quella inglese, e riflettono nel loro sviluppo i dibattiti talvolta anche aspri che accompagnano i momenti salienti di quella storia – dalla decapitazione del re all’istituzione della repubblica fino alla restaurazione e alla ‘gloriosa Rivoluzione’.
È in questo contesto, distinto da accese discussioni politiche, che si situano gli scritti su M. di H., il quale in tutte le sue opere e in particolare in Oceana discute e cita M., talvolta anche nell’originale italiano, interrogando il Principe e i Discorsi alla luce dei problemi economici, politici e istituzionali che travagliano il suo Paese e che H. si propone di superare individuando, anche attraverso M., soluzioni politiche all’altezza della situazione. Ma, come tutte le grandi opere, Oceana, pur nascendo in una situazione storica precisa, individua problemi di ordine generale, trattandoli secondo la tradizione repubblicana di matrice democratica di cui per molti aspetti costituisce uno dei vertici. Se si volesse individuare il punto di maggiore vicinanza teorica tra M. e H., esso andrebbe visto nel principio di eguaglianza che, centrale in M., è decisivo anche nel pensiero di Harrington.
Il rapporto di H. con M. è fondamentale, ma comprende anche motivi di importante dissenso su punti rilevanti, come avviene, per esempio, nel giudizio su Venezia. I dissensi non sono però circoscrivibili a un singolo punto, perché derivano da un elemento fondamentale che distingue la posizione di H. da quella di Machiavelli. Al centro della riflessione di H. c’è infatti il concetto di balance, interpretato come principio costitutivo delle forme politiche e della loro evoluzione, crisi e degenerazione. I temi sono tipicamente machiavelliani. Ma per H., se esiste un rapporto organico tra materia e forma, occorre, volta per volta, comprendere in che modo esso si configuri; cioè in concreto quali siano i caratteri della balance of property («l’equilibrio della proprietà») perché empire follows the nature of property («l’impero segue la natura della proprietà»).
H. sposta dunque, rispetto a M., l’analisi dal piano strettamente politico a quello economico e sociale, considerando la balance come la forma in cui è ripartita la proprietà. Così intesa, essa si configura a livello politico come fondamento e causa delle forme di governo che possono essere comprese solo in questa luce, a cominciare da quella repubblicana rispetto a quella monarchica: «perché dove c’è uguaglianza di proprietà vi è necessariamente uguaglianza di potere, e dove è uguaglianza di potere non può esserci monarchia». Allo stesso modo, «dove c’è ineguaglianza di proprietà c’è necessariamente ineguaglianza di potere, e dove c’è ineguaglianza di potere non ci può essere repubblica» (La repubblica di Oceana, in Costituzionalisti inglesi, a cura di N. Matteucci, 1982, pp. 113, 117).
Sono battute che echeggiano direttamente la posizione di M. nei Discorsi. Ma, come si è detto, in H. il discorso assume una curvatura più nettamente economica e sociale: la repubblica c’è quando la ricchezza è distribuita in una numerosa classe di piccoli proprietari. Essa, da un punto di vista istituzionale, «consiste di un senato che propone, di un popolo che delibera edi un magistrato che eseguisce». È precisamente in questo quadro teorico assai complesso e articolato che si situa il giudizio di H. su Venezia – differente, si è già detto, da quello di Machiavelli. Essa infatti è the most equal Commonwealth («la comunità statale più equa»; cfr. G. Procacci, Machiavelli nella cultura europea dell’età moderna, cit., p. 244), e proprio per questo poteva ambire alla immortalità.
Simmetricamente, da questa prospettiva deriva, per due motivi, il dissenso con M. quando sostiene, nei Discorsi, che «un popolo corrotto non è in grado di ordinarsi in repubblica» (cfr. La repubblica di Oceana, cit., p. 118). Il primo: come avviene in natura, la corruzione di un governo è la generazione di un altro. E questo significa che «se il regime muti, e cada la monarchia, la corruzione del popolo è proprio quella che lo pone in grado di ordinarsi in repubblica» (p. 118). Il secondo: la corruzione dei costumi dipende dal regime. Di conseguenza, quando la balance da monarchica inclina verso quella popolare,
il popolo per tale mutamento è così lontano da quella corruzione di costumi che dovrebbe renderlo incapace di ordinarsi in repubblica, che necessariamente deve in conseguenza contrarre una tale riforma di costumi da non tollerare un diverso genere di governo (p. 118).
Infatti, «mutandosi la balance di Oceana in modo affatto opposto a quello di Roma i costumi del popolo non ne furono di conseguenza corrotti, anzi al contrario si addicevano a un buon ordinamento politico» (p. 119).
Su due punti cruciali la posizione di M. viene dunque ripresa, rielaborata e, in effetti, rovesciata, alla luce della teoria della balance. Gli elementi di differenza, pur significativi, si situano però in una prospettiva in cui le sintonie predominano ampiamente sulle differenze, esibendo un punto di vista comune su motivi centrali sia per M. sia per H., dalla concezione della legge a quella del ‘principe nuovo’, per fare solamente due esempi.
«“Dateci buoni ordinamenti, e essi ci daranno buoni uomini” è la massima di un vero legislatore, e la più infallibile in politica», scrive H. citando esplicitamente M., sia pure in modo impreciso. E insistendo su questo punto, ribatte:
la santità di un popolo, quanto a governo, consiste nell’eleggere dei magistrati che abbiano timore di Dio e che odino la cupidigia, e non nel ridursi o nel venire ridotti a uomini di questo o quel partito o professione di fede. Consiste nel fare la scelta più saggia e rigorosa che possa fare, ma non nell’affidarsi a uomini bensì, dopo che a Dio, ai loro ordinamenti (p. 122).
È a questa stregua che si misurano la felicità di una repubblica e la capacità di un legislatore. Come aveva spiegato infatti M.: «felice si può chiamare quella repubblica la quale sortisce uno uomo sì prudente che gli dia leggi ordinate in modo che, sanza avere bisogno di ricorreggerle, possa vivere sicuramente [nella libertà] sotto quelle» (p. 126; H. cita M., Discorsi I ii).
È qui che si apre la strada al secondo motivo sopra citato, quello del legislatore e ‘principe nuovo’, altrettanto, e forse più cruciale del primo, tenendo conto della situazione dell’Inghilterra. H. prende le mosse dalla «ferma opinione» alla quale era pervenuto Olphaus Megaletor, cioè Oliver Cromwell, interrogandosi sui modi con cui mettere fine alla miseria nella quale era precipitata la nazione con la sua vittoria: «i più grandi vantaggi di una repubblica sono, prima di tutto, che il legislatore sia un solo uomo e, secondo, che il governo venga fatto tutto d’un pezzo o in una sola volta» (p. 126). E illustra, e chiarisce, questa «ferma opinione» di Cromwell con due citazioni di M.: la prima – Discorsi I ii –, la si è appena vista; la seconda – Discorsi I ix – è questa: «mai o rado occorre che alcuna repubblica o regno sia da principio ordinato bene, […] se non è ordinato da uno». «Per il qual motivo – continua H. – un saggio legislatore, la cui mente sia volta non all’interesse privato ma a quello pubblico, non alla sua discendenza ma al suo paese, può a buon diritto sforzarsi di raccogliere il potere sovrano nelle sue mani» (La repubblica di Oceana, cit., p. 126). Ma – e qui torniamo alla prima citazione –, per compiere la propria opera, il legislatore e fondatore di un nuovo Stato deve procedere «at once», cioè d’un tratto, d’acchito («at once», come nota Procacci in Machiavelli nella cultura europea dell’età moderna, p. 246, è inserzione di H. nel testo di M., a conferma dell’importanza che egli attribuiva a questo concetto): «Poiché una repubblica, costruita tutta in una volta, […] prende subito l’avvio nell’impero delle leggi; ed essendo ben ordinata costringe i costumi dei suoi cittadini al suo imperio» (La repubblica di Oceana, cit., p. 127). Infatti, «gli errori del popolo – e su questo H. non si stanca di insistere – sono generati dai suoi governanti» (pp. 123 e 125).
E con questa osservazione il ragionamento si chiude, dopo aver intrecciato in un nodo solo – nel nome e sulle orme di M. – primato della legge, caratteri e funzione del buon legislatore, costumi dei cittadini.
Ma, come si è detto, M. attraversa tutte le pagine di Oceana, a cominciare dalla ripresa esplicita del cap. iv del Principe, di cui si è già sottolineato il rilievo sia per il Cabinet-Council sia per Walter Raleigh, e che è citato in modo esplicito a proposito dell’azione politica di Panurgo, cioè di Enrico VIII. In accordo con M., questi ritenne infatti che «un trono sostenuto dalla nobiltà non è tanto difficile da scalare quanto da mantener saldo» (La repubblica di Oceana, cit., p. 110); e operò di conseguenza, abbattendo il potere della nobiltà, facendo, di fatto, cadere il potere nelle mani del popolo e aprendo «quelle cateratte che da quel tempo in poi hanno sommerso non solo il Re, ma anche il trono» (p. 110). Della qual cosa fu pienamente consapevole la regina Parthenia, cioè Elisabetta, che «trascurò completamente la nobiltà», con tutte le conseguenze che si videro dopo, perché «senza nobiltà o un esercito […] non ci può essere monarchia» (pp. 112-13).
Il cap. iv del Principe è utilizzato da H. anche per togliere di mezzo l’ipotesi di una monarchia assoluta in Inghilterra: perché, come fu notato anche in questo caso da M.,
tale è la natura della monarchia turca, che se voi la sconfiggete in due battaglie, ne avrete distrutto l’intero esercito, ed essendo il resto della popolazione composto di schiavi, ve ne impadronirete senza incontrare ulteriore resistenza. Onde la costituzione di una monarchia assoluta in Oceana, o in qualunque terra che non sia di essa più grande, è assolutamente impossibile senza per questo farne una sicura preda per il primo invasore (p. 115).
Ma per H. – e ciò risulta tanto più interessante se si pensa alle critiche del periodo elisabettiano – M., oltre a essere un maestro di politica, è stato anche un maestro di vita morale: «prendete un imbroglione ed elogiatene a più non posso i trucchi: se così facendo però li mettete in mostra, lo rovinerete» (Un sistema di politica delineato in brevi e semplici aforismi, in E. Nuzzo, La superiorità degli stati liberi. I Repubblicani inglesi, 1649-1722, 1984, p. 194). È quel che ha fatto M., come è stato riconosciuto e si deve riconoscere. M., del resto, ha preso atto dello stato delle cose, e invece di criticarlo occorre imparare da lui questo metodo. E dunque
bisogna leggere e riflettere sulla corruzione del governo come viene trattata da Machiavelli allo stesso modo in cui bisogna leggere e riflettere sulle malattie del corpo umano come vengono trattate da Ippocrate (p. 194).
Dal punto di vista scientifico, infatti, non esiste differenza tra il medico del corpo politico e il medico del corpo umano:
non sono stati Ippocrate e Machiavelli a introdurre le malattie del corpo umano e la corruzione nel governo, le quali esistevano prima dei loro tempi; ma visto che essi non hanno fatto altro che scoprirle, si deve riconoscere che tutto quello che hanno fatto tende non ad aumentarle ma a guarirle, che è il vero fine di questi due autori (p. 194).
È in queste battute, seguendo la linea del lord cancelliere, che viene definitivamente dissolto il paradigma moralistico che aveva connotato la fortuna di M. nel Cinquecento, specie in epoca elisabettiana, a opera dei puritani. Con Bacone prima, e H. poi, comincia un’altra storia.
Bibliografia: La repubblica di Oceana, in Costituzionalisti inglesi, a cura di N. Matteucci, Bologna 1962, pp. 101-30; Un sistema di politica delineato in brevi e semplici aforismi, in E. Nuzzo, La superiorità degli stati liberi. I Repubblicani inglesi, 1649-1722, Napoli 1984, pp. 163-94.