Monroe, James
Politico statunitense (contea di Westmoreland, Virginia, 1758-New York 1831). Delegato all’assemblea della Virginia (1782), membro del Congresso della Confederazione (1783), entrò al Senato (1790-94) e fu il più valido luogotenente di T. Jefferson. La sua simpatia per la Francia rivoluzionaria gli procurò la designazione (1794) a rappresentante diplomatico a Parigi. Richiamato in patria nel 1796, dopo essere stato governatore della Virginia (1799-1802), fu mandato in Francia (1803) dal presidente Jefferson come inviato speciale per assistere R.R. Livingston nelle trattative per l’acquisto della Louisiana. Rieletto governatore della Virginia (genn.-nov. 1811), fu quindi segretario di Stato (1811-17). Presidente nel 1816, fu rieletto nel 1820. M. seppe guadagnare al suo governo la definizione di «era del buon accordo»; sotto la sua presidenza fu combattuta la prima guerra contro gli indiani seminole (1817-18), si giunse all’acquisizione della Florida dalla Spagna (1819), fu data con il compromesso del Missouri (1820) una sistemazione temporanea al dissidio tra Stati schiavisti e non furono riconosciute le nuove Repubbliche dell’America Latina (1822).
Con questo nome vengono indicati alcuni principi di politica estera, enunciati dal presidente M. nel 1823, in base ai quali si affermava che gli USA non avrebbero tollerato per l’avvenire alcun tentativo delle potenze europee di fondare colonie nel continente americano; che eventuali ingerenze dei governi europei negli affari interni delle nazioni americane sarebbero state considerate dagli USA come una minaccia alla loro sicurezza e alla pace; che a sua volta Washington si sarebbe astenuta dall’intervenire nelle questioni politiche e nei conflitti europei. Di fatto, erano state poste le premesse per affermare l’egemonia statunitense sull’intero continente. Ignorata per circa un ventennio, alla dottrina di M. si richiamò il presidente J.K. Polk nel 1845, contro gli intrighi diplomatici orditi da Francia e Gran Bretagna per impedire l’annessione agli USA del Texas, e nel 1848, per prevenire la costituzione di un protettorato britannico sullo Yucatan. Solo alla fine della guerra di Secessione Washington poté farla valere contro la Spagna, che aveva cercato di riprendersi la Repubblica dominicana (1861-65), e contro Napoleone III che aveva sostenuto (1864-67) l’impresa messicana di Massimiliano d’Asburgo. Da allora alla dottrina venne data un’interpretazione sempre più estensiva. Grazie al cosiddetto corollario Roosevelt (1904), la dottrina di M. si trasformò, da diffida rivolta alle potenze europee, in teorizzazione dell’intervento statunitense nell’emisfero occidentale, giustificandone così la politica imperialistica. Il corollario stabiliva che, in caso di violazione degli obblighi internazionali da parte di uno Stato americano (specie in materia di debiti con l’estero), sarebbe spettato agli USA esercitare un potere di polizia internazionale. Abbandonata nel suo aspetto isolazionista con l’ingresso nel primo conflitto mondiale, la dottrina M. riprese vigore quando il Senato statunitense non ratificò l’adesione al patto della Società delle Nazioni (1920). L’avvento alla presidenza del democratico F.D. Roosevelt portò poi alla «politica del buon vicinato». Dopo la Seconda guerra mondiale, pur in assenza di richiami espliciti da parte di Washington, alla dottrina di M., intesa in senso lato, sono stati ricondotti alcuni aspetti della politica degli USA in America Centrale (interventi militari nella Repubblica dominicana, 1965; a Grenada, 1983; a Panamá, 1989).