MONROE, James
Quinto presidente degli Stati Uniti d'America nato il 28 aprile 1758 sulle rive del Monroe's Creek nella contea di Westmoreland (Virginia), morto a New York il 4 luglio 1831. Testimone, nella sua fanciullezza, delle prime manifestazioni di resistenza alle misure economiche e fiscali della madrepatria, abbandona al primo segnale di rivolta il College of William and Mary in cui studiava e, con un gruppo di condiscepoli e di maestri, raggiunge l'esercito degl'insorti. È ferito a Trenton, combatte a Monmouth, ottiene il grado di tenente colonnello distinguendosi per valore. Thomas Jefferson, allora governatore della Virginia, lo chiama presso di sé, lo inizia alla vita amministrativa e politica ed esercita sulle sue idee una decisiva influenza, legandosi con lui di un'amicizia troncata solo dalla morte.
Per 11 anni il M., come delegato all'assemblea e membro del consiglio esecutivo della Virginia, si dedica ai problemi di riforma economica amministrativa e legislativa del suo paese, acquistando nella trattazione degli affari quel senso di equilibrio e di prudenza, che, in difetto di qualità più brillanti, faranno di lui un esperto politico e un uomo di governo avveduto e sicuro. Il M. partecipò al quarto, quinto e sesto congresso della confederazione, mantenendosi in stretta corrispondenza con il Jefferson e James Madison e prendendo viva parte ai dibattiti, specialmente sulla questione dei poteri da attribuirsi al congresso per regolare il commercio e levare le imposte. Una delle questioni che maggiormente interessavano a quel tempo l'opinione pubblica, specialmente in uno stato rivierasco come la Virginia, era di assicurare al paese la libera navigazione sul Mississippi, alla quale si opponeva la Spagna, padrona del corso inferiore del fiume. Il M. fu tra i più decisi oppositori a ogni progetto di trattato che sanzionasse la rinunzia a un così importante diritto. La necessità di assicurare agli Stati Uniti tutto il hinterland del gran fiume fino al suo sbocco nel Golfo del Messico fu da allora una delle costanti direttive della sua vita, fino a che mediante fortunate trattative riuscì a fare di tale idea una felice realtà.
Nel 1788 fece parte della Convenzione della Virginia che adottò la costituzione degli Stati Uniti: ma egli fu tra gli oppositori, manifestando il timore che la costituzione non contenesse freni adeguati all'esercizio del potere esecutivo né escludesse la possibilità di conflitti tra il potere centrale e i diritti dei singoli stati. Non mancò tuttavia di dare la sua adesione alla ratifica, a condizione che gli emendamenti proposti dalla Virginia fossero accolti.
Il 6 dicembre 1790 lo stato di Virginia lo inviò al senato dove rimase fino al maggio 1794. La sua opposizione a G. Washington e ad A. Hamilton, ai quali rimproverava forme e ideali non rispondenti alla sua concezione democratica, tornò a far convergere su di lui l'attenzione dell'opinione pubblica. E così, per appianare i rapporti assai tesi con la Francia rivoluzionaria in seguito alle misure da questa prese contro le navi americane (v. stati uniti: Storia), il governo americano pensò di affidare al M. la rappresentanza diplomatica a Parigi al posto di G. Morris, nella fiducia che i suoi ben noti sentimenti di simpatia per la Francia gli avrebbero reso più facile di ricondurre i rapporti alla cordialità di una volta.
Arrivato a Parigi subito dopo la caduta di Robespierre, 15 agosto 1794, lesse nella Convenzione un acceso messaggio di simpatia. Il governo degli Stati Uniti dovette temperare lo zelo del M. per timore che l'intimità dei rapporti con la Francia esponesse il paese alla diffidenza dell'Inghilterra, con cui si stava trattando un accordo commerciale. Ignaro, a quanto sembra, della reale portata degli accordi in corso a Londra, il M. si sforzava di combattere le inquietudini francesi, dando assicurazioni che dovevano trovare, quando il testo del trattato fu noto, una completa smentita.
Richiamato in patria sul finire del 1796, il M. si trovò esposto ai più vivaci attacchi dei suoi avversarî politici, contro i quali pubblicò un'opera polemica di difesa, scatenando una tempesta che si calmò con il passaggio del M. al posto di governatore della Virginia. Jefferson, eletto presidente, volendo portare a rapida conclusione le trattative avviate da Robert R. Livingston per l'acquisto della Luisiana, mandò nel gennaio 1803 il M. a Parigi per precisare l'ammontare della somma da sborsare alla Francia. Fissata la somma di 80 milioni di franchi, il trattato fu concluso il 30 aprile 1803. Purtroppo al brillante successo dell'operazione seguì il fallimento delle trattative avviate dallo stesso M. a Madrid per l'acquisto della Florida e di quelle con l'Inghilterra per tutelare gl'interessi marittimi degli Stati Uniti esposti a tutti i danni del blocco e del diritto di visita. Con grande difficoltà fu possibile, verso la fine del 1806, accordarsi su un testo di trattato che fu trasmesso per l'approvazione al governo americano. Ma il presidente Jefferson, senza neanche interpellare il senato, ne rifiutò la ratifica perché la questione del reclutamento dei marinai non era stata regolata, né erano stati previsti compensi per i danni subiti da americani. Dopo di che le relazioni fra i due paesi peggiorarono di anno in anno.
Nel 1807 il M. tornò nel suo paese e presentò al Madison una dettagliata relazione sul suo operato. L'insuccesso di Londra diminuì il favore di cui godeva nel pubblico e nell'elezione alla presidenza del 1809 il Madison ebbe la preferenza su di lui. Il M. tornò al posto di governatore della Virginia. Nel 1811 fu chiamato dal Madison nel suo gabinetto come segretario di stato. Il M. era del gruppo di coloro che ritenevano la guerra con l'Inghilterra inevitabile e vi preparò il governo e l'opinione pubblica. La guerra incominciò il 18 giugno 1812 (v. americana, guerra). Per breve tempo al M. venne affidato anche il dipartimento della Guerra che tornò ad assumere dopo l'infelice battaglia di Bladensburg del 27 settembre 1814. Il M. ne approfittò per dare nuovo impulso alle operazioni militari e spinse l'opinione pubblica a una vigorosa continuazione della guerra.
Nel 1817, superando l'opposizione dei federalisti che proponevano Rufus King, il M. succedette al Madison nella presidenza. Il periodo del suo governo fu chiamato "l'era del buon accordo": con grande moderazione e prudenza egli fece infatti cessare la scissione tra repubblicani e federalisti.
Prima cura del M., istruito dall'esperienza della guerra, fu di provvedere all'organizzazione della difesa costiera e della frontiera terrestre. Al generale Th. J. Jackson affidò il comando di una spedizione contro gl'indiani Seminole, chiusasi con lo sconfinamento delle truppe americane nella Florida e con l'occupazione di un forte spagnolo che poco mancò non portasse il paese alla guerra con la Spagna. Ne derivò più tardi una lunga e incresciosa polemica sull'estensione dei poteri attribuiti al Jackson dal presidente. Nel 1819, col trattato di Washington del 2 febbraio, gli Stati Uniti acquistarono dalla Spagna la Florida assicurandosi il controllo della costa dell'Atlantico e del Golfo del Messico sino al fiume Sabine. Il più importante avvenimento di politica interna fu l'ammissione del Missouri tra gli stati della confederazione con un compromesso, per cui nel Missouri era ammessa la schiavitù, ma questa veniva proibita a nord di 36°30′ lat.; e a controbilanciare l'ammissione del nuovo stato "schiavista" si ammetteva contemporaneamente il Maine "libero", distaccato dal Massachusetts. Ma l'atto più importante della presidenza del M. fu l'enunciazione della famosa dottrina che da lui prese il nome (v. appresso).
Scaduto il termine della presidenza, il M. si ritirò a vita privata. Accettò il posto di rettore nell'università di Virginia, fondata dal Jefferson, collaborando ancora una volta con il Jefferson e il Madison. Fu membro della Convenzione costituzionale della Virginia e scrisse nella tranquillità del suo ritiro una storia filosofica sulle origini dei liberi governi. Gli ultimi giorni di Monroe furono angustiati da gravi strettezze economiche che diedero risalto alla sua esemplare onestà.
Bibl.: The writings of J. Monroe, a cura di S.M. Hamilton, voll. 7, New York 1898-1903; J. Quincy Adams, An Eulogy on the Life and Character of James Monroe Fifth President of the United States, Boston 1831; id., Lives of Celebrated Statesman, New York 1846; id., The lives of James Madison and James Monroe, Buffalo 1850; B. W. Bond, Monroe's Mission to France, 1794-96, Baltimore 1907; D. C. Gilman, James Monroe, in American Statesmen, Boston 1883; J. R. Ireland, History of the Life. Administration and Times of James Monroe, Chicago 1887; G. Morgan, The life of James Monroe, Boston 1921; J. Leavvett, The Administration of Monroe, in Harper's Monthly Magazine, XXIX, settembre 1864.
La dottrina di Monroe.
È l'enunciazione, fatta dal presidente Monroe, il 2 dicembre 1823, in un messaggio al Congresso degli Stati Uniti, di alcune fondamentali direttive della politica estera del suo paese. I principî in esso contenuti erano già stati, in occasioni non meno solenni, affermati dal governo e dalla diplomazia americana. Giorgio Washington, nel suo messaggio di addio, aveva ammonito i suoi concittadini a tenersi lontani dalle alleanze coi paesi d'Europa perché "con l'intrecciare il destino americano con quello europeo si facevano dipendere la pace e la prosperità americane dalle ambizioni, dalle rivalità, dagl'interessi, dagli umori e dai capricci dell'Europa". John Quincy Adams, nelle istruzioni trasmesse al rappresentante degli Stati Uniti a Londra, aveva già contrapposto nel 1818 il principio del non intervento al diritto d'intervenire nelle questioni interne di uno stato particolare, affermato dallo zar nel famoso messaggio in cui invitava l'Europa a unirsi contro gl'insorti americani. Quando, qualche anno dopo, sorse la contesa per l'Alasca, a seguito dell'ukaz dello zar Alessandro I che proibiva agli stranieri la navigazione e la pesca entro 100 miglia dalla costa nordamericana dallo stretto di Bering al 55° parallelo nord, l'Adams sostenne il principio che i continenti americani non erano più suscettibili di nuovi stabilimenti coloniali. La politica americana era su tali punti chiaramente definita. Ciò nonostante, il messaggio del M., che la confermava, acquistò particolare significato e decisiva importanza, nel momento speciale in cui venne emanato, perché segnò il termine della lotta d'influenza degli stati europei nei continenti americani e schiuse ai paesi del nuovo mondo l'era della rinascita al sicuro da ogni minaccia esteriore.
La dichiarazione mirava a colpire in pieno soprattutto i disegni, non ancora ben chiari, della Francia che, ristabilita in Spagna la monarchia assoluta di Ferdinando VII, sembrava vagheggiare l'idea di portare le armi vittoriose di là dall'Atlantico e, sotto il pretesto di ristabilire nelle antiche colonie spagnole il potere legittimo, tagliarsi un nuovo impero coloniale o assicurarsi dei vantaggi economici. L'atteggiamento degli Stati Uniti trasse incoraggiamento dalla nuova politica del gabinetto liberale inglese di G. Canning, contrario all'espansione francese, succeduto al governo tory del visconte Castlereagh.
Appunto nella discussione di una dichiarazione proposta dall'Inghilterra, soprattutto per l'insistenza di Adams, prevalse il principio di una condotta politica indipendente che fu espresso nei termini che "i continenti americani, a seguito della libera e indipendente condizione che hanno conseguito e conservato, non possono d'ora in poi essere considerati come oggetto di futura colonizzazione da parte di alcuna potenza europea"; e che, come gli Stati Uniti d'America rinunziavano a ogni intervento nelle questioni europee, così gli stati d'Europa dovevano astenersi da ogni intervento nelle questioni americane.
Nella dichiarazione di M. è l'eco della diffidenza, tramandata dalle prime generazioni d'immigrati, verso la politica assolutistica, la tortuosa diplomazia e gli apparati guerreschi delle potenze occidentali. Si afferma così la tendenza della democrazia americana a erigersi da pari a pari di fronte alla Santa Alleanza e a sbarrare il passo ai suoi principî, ai suoi piani, ai suoi metodi. All'assolutismo è contrapposta la libertà, alla legittimità del diritto monarchico, il diritto dei popoli di disporre di loro stessi. Sotto l'apparenza tuttavia delle due contrastanti teorie era, in fondo, lo stesso interesse alla libera e incontrollata espansione.
Dalla proclamazione infatti della dottrina di M. comincia per la repubblica nordamericana il periodo delle fortunate conquiste. Esclusa la concorrenza degli stati europei, libera da ogni impegno che vincoli la sua possibilità d'azione, in un mondo ancora caotico, ricco di risorse, l'iniziativa americana si svolge praticamente senza ostacoli e quasi senza contrasto. Nel 1848 è la guerra al Messico, con l'annessione del Texas, poi è l'acquisto dell'Alaska; seguono l'acquisto di Porto Rico e delle Filippine, l'occupazione di Cuba, il protettorato su Panamá, l'annessione delle Hawaii, l'intervento nel Nicaragua, a S. Domingo e Haiti. Con l'estendersi della sfera di azione, anche la dottrina di M. si sviluppa in una molteplicità d'interpretazioni e di applicazioni. La sua naturale plasticità le rende facile di adattarsi a ogni nuova situazione, di giustificare le successive fasi dell'imperialismo americano, deformandosi e allontanandosi dalle sue primitive finalità.
Originariamente la dottrina di M. comportava l'affermazione di due principî: diretti a) a escludere ogni ulteriore colonizzazione europea nel continente americano; b) a escludere ogni forma d'intervento americano in Europa ed europeo in America. Da queste premesse vengono derivate via via nuove conseguenze:
1. Gli Sfati Uniti si riservano il diritto di approvare il trasferìmento di una colonia americana da uno stato europeo a un altro. È il criterio al quale s'inspirò la dichiarazione del segretario di stato Henry Clay nel 1825 ai governi di Francia e d'Inghilterra per opporsi all'eventuale cessione di Cuba e di Portorico da parte della Spagna a una potenza europea. Non tarderà molto che dall'antica assicurazione di rispettare lo statu quo per quanto riguarda i possessi europei in America si passerà ad auspicare, con la dichiarazione del presidente U. S. Grant nel 1870 e del segretario di stato Hamilton Fish, il momento in cui tutto il continente americano sarà libero dal dominio di stati europei.
2. La politica nordamericana si dichiara contraria all'esercizio dell'arbitrato da parte di una potenza europea sulle controversie sudamericane. Le questioni americane devono essere riservate alla decisione americana. Conseguentemente gli Stati Uniti si rifiutano d'interporre la loro mediazione, insieme a quella della Francia e dell'Inghilterra, nella guerra fra Chile e Perù. Il 4 gennaio 1884 il segretatio di stato F. Th. Frelinghuysen dichiara che il Dipartimento di stato non avrebbe sanzionato alcun arbitrato da parte di stati europei nell'America Meridionale ancorché le parti interessate lo avessero accolto. Il senatore H.G. Lodge conferma il 28 febbraio 1919, in un discorso al senato, lo stesso principio.
3. L'applicazione della dottrina di M. va ancora più lontano. Il 2 agosto 1912 il senato degli Stati Uniti, aderendo alla proposta Lodge, vieta l'acquisto di terreni nella Magdalena Bay (Messico) da parte di un sindacato giapponese e adotta una deliberazione al riguardo per la quale "quando una baia o un posto qualunque dei continenti americani è situato in modo che la sua occupazione, per uno scopo navale o militare, potrebbe minacciare le comunicazioni o la sicurezza degli Stati Uniti, il governo degli Stati Uniti non potrebbe vedere senza una grave inquietudine il possesso di tale porto o posto, da parte di un'associazione o corporazione qualsivoglia che abbia rapporti tali con un governo non americano da dare praticamente a tale governo il potere o il controllo per fini navali o militari". In conformità a un principio analogo il presidente W. Wilson in un discorso del 27 ottobre 1923 critica le grandi concessioni fatte dagli stati latino-americani a sindacati stranieri e dichiara che gli Stati Uniti sono disposti a prestare il loro aiuto per mettere termine a tali oneri.
4. Si riconosce, è vero, che la dottrina di M. - come è precisato nelle istruzioni del segretario di stato Richard Olney all'ambasciatore F. Th. Bayard a Londra del 20 luglio 1895 - "non libera alcuno stato americano dalle sue obbligazioni, quali sono stabilite dal diritto internazionale, né impedisce a una potenza europea direttamente interessata d'imporre l'adempimento di tali obbligazioni o d'infliggere il meritato castigo per la violazione di esse". Quando si passa tuttavia all'applicazione integrale di tale principio si urta contro la pretesa degli Stati Uniti di esercitare un diritto di polizia sui minori stati americani. A questo proposito il presidente Th. Roosevelt nei messaggi del 15 febbraio e del 5 dicembre 1905 stabilì il principio che se uno stato "al sud" degli Stati Uniti incorre in un torto o non adempie un'obbligazione verso un governo estero, la dottrina di M. non implica che gli Stati Uniti debbano impedire la riparazione del torto. Poiché, però, non è opportuno autorizzare ogni potenza straniera a impossessarsi, sia pure temporaneamente, delle dogane di una repubblica americana per ottenere il pagamento dei proprî crediti, dato il pericolo che l'occupazione temporanea diventi permanente, non rimane altra alternativa che riconoscere la facoltà agli Stati Uniti di promuovere accordi che consentano di soddisfare le obbligazioni predette nei limiti del giusto. La prima applicazione di tale teoria ebbe luogo nei riguardi di S. Domingo.
5. Gli Stati Uniti si attribuiscono il diritto d'intervenire, al sorgere di un nuovo stato americano, per restringerne l'autonomia nel campo della politica estera (art. 3 della costituzione di Cuba che ammette il diritto d'intervento degli Stati Uniti per il mantenimento dell'ordine e art. 136 della costituzione di Panamá che riconosce agli Stati Uniti il diritto d'intervento per ristabilire l'ordine interno).
6. Infine l'esclusivo controllo delle vie marittime attraverso l'America Centrale è riservato agli Stati Uniti. "La politica di questo paese - disse il presidente R. B. Hayes l'8 marzo 1880 - è di avere un canale sotto il controllo americano".
Senza dubbio, non tutte le interpretazioni ed estensioni della dottrina di Monroe derivano logicamente dai principî contenuti nel famoso messaggio. In molti casi la dottrina è stata deformata in modo da servire a fini del tutto opposti a quelli considerati inizialmente. Già nel 1856 il senatore John Bell del Tennessee riconosceva che la dottrina di M. "era divenuta una dottrina di progressivo assorbimento, annessione e conquista dell'America spagnola". La contraddittorietà degli aspetti nei quali la dottrina di M. si presenta, ora come affermazione del principio del non intervento, ora come fondamento e giustificazione di atti d'intervento d'egemonia e di conquista, è una conseguenza del suo carattere politico volutamente impreciso.
La dottrina di M. non è una formulazione di principî giuridici, ma un orientamento politico, essa non trae la sua forza da un accordo internazionale che ne abbia definito l'oggetto, ma dalla volontà unilaterale della nazione che se l'è proposta come linea di condotta. La dottrina enuncia nei suoi fini e nei suoi motivi l'indirizzo del governo degli Stati Uniti, il quale riserva a sé solo il diritto di definirla, interpretarla e applicarla, con quella larghezza di limiti che le mutevoli esigenze di un paese in pieno sviluppo richiedono. Essa perciò non impegna in alcuna guisa di fronte ai terzi il governo e la nazione degli Stati Uniti. Tale carattere fu chiaramente precisato fin dagl'inizî. A Bernardino Rivadavia, presidente delle Provincie Unite del Rio della Plata, che chiedeva nel 1828 l'applicazione della dottrina, il segretario di stato Henry Clay rispose che: "la dichiarazione deve essere considerata come fatta volontariamente e non comporta perciò alcuna garanzia o obbligo del quale le altre nazioni abbiano il diritto di chiedere l'esecuzione".
Il governo nordamericano rimane solo giudice di decidere in ogni caso, a seconda delle circostanze e in considerazione del proprio interesse, se debba o no applicare i principî della dottrina di M. Talvolta esso è intervenuto senza esserne stato richiesto; talvolta, pur sollecitato ad agire, se ne è astenuto. Esso non intervenne ad esempio per sostenere gl'interessi del Guatemala minacciati dalla colonizzazione inglese nell'Honduras, né le pretese dell'Argentina sulle isole Falkland occupate dagl'Inglesi nel 1833, né si oppose all'intervento armato della Francia e dell'Inghilterra nel Rio della Plata a fianco del Brasile che sosteneva nel 1838 i diritti dell'Uruguay. Non solo: ma col trattato Clayton-Bulwer del 19 aprile 1850 gli Stati Uniti riconobbero il protettorato inglese sul territorio Mosquito e si associarono all'Inghilterra per la costruzione di un canale interoceanico. È noto infine che nessuna protesta fu inizialmente sollevata allo sbarco di truppe francesi nel Messico per stabilirvi l'impero di Massimiliano d'Austria.
Questa diversità di atteggiamenti è spiegata dal fatto che non sempre, nei confronti degli stati europei, l'applicazione della dottrina di M. è stata agevole. Benché fin dalla sua promulgazione l'opinione pubblica britannica accogliesse con le più vive simpatie il messaggio del presidente M., il governo di Londra trovò "straordinaria" la pretesa di escludere dalle Americhe la colonizzazione europea. Il contrasto più vivace tra gli Stati Uniti e l'Inghilterra, per l'applicazione della dottrina di M., si ebbe nella vertenza per le frontiere tra la Guiana Britannica e il Venezuela. In un'elaborata memoria, il segretario di stato R. Olney precisò i fini e l'oggetto della dottrina di M. Ad essa lord Salisbury rispose il 26 novembre 1895 osservando che il diritto internazionale era fondato sul consenso generale delle nazioni e che nessun uomo di stato, per quanto eminente, e nessuna nazione, per quanto forte, avevano competenza d'inserire nel codice del diritto internazionale un nuovo principio che non era stato mai riconosciuto prima e che non era stato accolto, poi, dal governo di alcun altro paese.
Bismarck qualificò la dottrina di M. "una specie di arroganza propria dell'America e del tutto inescusabile" e anche "un'impertinenza americana". All'inizio però della guerra mondiale la Germania riconobbe esplicitamente la dottrina di M. L'intervento nella guerra che s) combatteva in Eutopa, benché determinato da una necessità di legittima difesa contro la guerra sottomarina che ledeva gravemente gl'interessi marittimi e commerciali degli Stati Uniti, è sembrato a una parte dell'opinione pubblica nordamericana un allontanamento dai principî di M. E perciò con maggiore energia, nel dopoguerra, il governo di Washington ha confermato il principio del non intervento negli affari europei, opponendo una viva riluttanza a impegnarsi in una politica di collaborazione con le potenze occidentali, nonostante che gli accresciuti rapporti della vita internazionale accentuino la necessità di un'azione concorde.
Ben maggiore e diretta importanza ha avuto la dottrina di M. nei rapporti tra gli Stati Uniti e le repubbliche dell'America latina. Benché la lotta per l'indipendenza delle antiche colonie spagnole fosse ormai vittoriosa su tutti i punti, quando fu proclamato il messaggio, l'entusiasmo ch'esso sollevò nelle giovani repubbliche fu immenso. I principî del messaggio si ritrovano alla base di trattati, di decisioni parlamentari, di dichiarazioni di uomini politici. Ma l'esatta portata della dichiarazione non tardò a trapelare. La tendenza degli stati latino-americani e in particolare di Bolívar era di dare alla dottrina di M. un significato e uno scopo continentale con il cosciente e volontario consenso delle nuove nazionalità. In conformità a tali criterî, Bolivar convocò a Panamá nel 1825 un congresso delle potenze americane per addivenire a una confederazione che avesse a fondamento gli stessi principî contenuti nel messaggio di M. Le istruzioni date da J. Q. Adams ai delegati degli Stati Uniti furono di opporsi a ogni alleanza e di promuovere lo sviluppo dei principî enunciati da M. nel senso che ogni stato li assumesse come propria norma di condotta. Ciò che gli Stati Uniti non intendevano accettare era la reciprocità degl'impegni e delle garanzie, ben comprendendo che tale sistema avrebbe messo un termine alla loro espansione e fatto dipendere la loro iniziativa dal giuoco dei comuni interessi.
Si delinea da allora un contrasto di concezioni e di tendenze, appena percettibile all'inizio, ma che lo sviluppo della politica egemonica degli Stati Uniti approfondisce sempre più e che invano il panamericanismo cercherà di sanare. Molti uomini dell'America latina considerano che la dottrina di M. ha fatto il suo tempo e che i paesi più progrediti dell'America Meridionale non ne hanno bisogno. Soprattutto in Argentina e nel Chile si rimprovera agli Stati Uniti di essersi arrogato quello stesso diritto d'intervento che avevano negato alle potenze europee. In tal modo a un imperialismo se ne sarebbe sostituito un altro più pericoloso perché più vicino. Si protesta soprattutto contro gli arbitrarî limiti che segregano una dalle altre parti del mondo. La resistenza alla dottrina di M. è fieramente affermata nella stampa, nei parlamenti e nelle università.
L'opposizione dell'America latina a riconoseere la dottrina di M. come norma politica dei continenti americani ha indotto gli Stati Uniti a una più equanime valutazione dei reciproci diritti. Alle orgogliose affermazioni della fine del secolo XIX succedono interpretazioni moderate, ispirate a criterî di eguaglianza e di rispetto del diritto di ognuno. Lo sforzo di calmare le apprensioni delle repubbliche latine è evidente. In dichiarazioni famose il presidente Th. Roosevelt nel 1906 affermava: "Noi non pretendiamo né desideriamo alcun diritto, privilegio o potere che non concediamo amichevolmente a ogni repubblica americana". E il Wilson nell'indirizzo al Southern Commercial Congress in Mobile (Alabama) il 27 ottobre 1913 dichiarò: "Desidero approfittare di quest'occasione per dichiarare che gli Stati Uniti non cercheranno mai più un nuovo palmo di territorio per mezzo di conquista". Ma tali assicurazioni giungevano ormai troppo tardi. La eoscienza giuridica dei popoli latinoamericani, sotto la reazione alla dottrina di M., era stata addotta a considerare l'applicazione, non più su una base continentale, ma universale, del principio del non intervento e della garanzia reciproca. Si desiderava una dottrina di M. estesa a tutto il mondo. Il concetto fu ripreso da Wilson e posto a base della Società delle nazioni. Ma l'idea non trovò nell'America Settentrionale lo stesso consenso dell'America Meridionale dalla quale aveva preso le mosse.
L'opposizione degli Stati Uniti fu precisata nel discorso del senatore H.C. Lodge al senato il 28 febbraio 1919: "Dichiarare che si estende a tutto il mondo la dottrina di M. significa proclamare ch'essa ha cessato di esistere perché essa non è stata stabilita che per la protezione dell'emisfero americano".
L'opinione pubblica degli Stati Uniti reclama che un esplicito riconoscimento della dottrina di M. sia inserito nel patto della Società delle nazioni. Fra le varie formule presentate a tal fine prevale quella proposta dal House che con qualche leggiera variante è divenuta l'art. 21 del patto. Per esso "le intese regionali, come la dottrina di M., che assicurano il mantenimento della pace, non sono considerate incompatibili con alcuna delle disposizioni del patto". In tal modo la dottrina di M. è stata consacrata in un atto internazionale, nel più importante atto di questo secolo, destinato a dare al mondo un nuovo assetto giuridico. Un'esplicita riserva della dottrina di M. era stata fatta dagli Stati Uniti nel firmare le convenzioni dell'Aia del 1899 e del 1906. Ma non è senza difficoltà che un principio di larga portata si è introdotto in un sistema di diritto, giacché le reazioni sono sempre molteplici e in direzioni che non è possibile prevedere inizialmente.
Per primi gli stati dell'America latina hanno approfittato dell'articolo 21 del patto per disconoscere l'esistenza di un'intesa regionale basata sulla dottrina di M. Il giurista brasiliano Fernandes, nei dibattiti della seconda assemblea della Società delle nazioni, dichiarò che il patto "riconosce la dottrina di M. solo in quanto essa ha il valore di un'intesa". Anmra più esplicitamente, il delegato argentino Cantilo, in una seduta del Comitato di arbitrato e di sicurezza il 28 febbraio 1928, dichiarò: "Sarebbe inesatto, assolutamente inesatto, di dare, come fa l'art. 21, sia pure a titolo di esempio, il nome d'intesa regionale a una dichiarazione politica unilaterale, che non è stata mai, a quanto io sappia, esplicitamente approvata dagli altri paesi americani". Il Consiglio della Società delle nazioni, invitato dal governo di Costa Rica a dichiarare come interpretava la dottrina di M., si tirò d'imbarazzo affermando che il compito di definire tale dottrina "non riguarda che gli stati che hanno accettato inter se impegni di tal genere". Infine un'esplicita riserva analoga alla dottrina di M. è stata formulata anche dall'Inghilterra quando fu firmato il patto Briand-Kellogg, nel senso che "esistono alcune regioni del mondo" che hanno per essa un interesse vitale e nelle quali essa deve avere le mani libere.
Si affrontano così due tendenze, l'una in favore di una solidarietà internazionale basata sulla eguaglianza di tutti gli stati, l'altra sulla pretesa di speciali diritti in alcuni continenti o regioni del mondo. Ciò non è sfuggito ad alcune correnti d'opinione pubblica negli Stati Uniti, portate da ciò a riconoscere che l'area d'applicazione della dottrina di M. tende a restringersi alla zona dell'America Centrale e del Mare dei Caraibi dove si deve effettivamente riconoscere più vitale il complesso degl'interessi del loro paese.
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