Tobin, James
Economista statunitense (Urbana Champaign, Illinois, 1918 - New Haven, Connecticut, 2002). Fu uno degli esponenti più significativi e prestigiosi della teoria macroeconomica d’ispirazione keynesiana sin dagli anni 1960, assumendo in più occasioni la veste di autorevole difensore di tale approccio nei confronti degli attacchi e delle critiche provenienti dal monetarismo (➔) e dalla nuova macroeconomia classica (➔ macroeconomia p). Ha ottenuto la laurea e il PhD in economia a Harvard. Dal 1950 è stato docente di economia all’Università di Yale e, in due riprese (1955-61 e 1964-65), direttore della Cowles Foundation, importante centro di ricerca economica. Membro autorevole dell’Econometric Society e dell’American Economic Association, della quale è stato presidente nel 1971, ha ricevuto (1955) la John Bates Clark Medal ed è stato insignito (1981) del premio Nobel per l’economia per i suoi studi sui mercati finanziari e le loro relazioni con l’economia reale.
T. è notissimo negli ambienti accademici per essere stato precursore dei teoremi di separazione nella teoria del portafoglio (➔ p), e per l’indice q (➔ Tobin, q di), ma anche al grande pubblico come propugnatore di una tassa sulle transazioni finanziarie speculative di breve durata, detta appunto Tobin tax (➔), proposta (ma mai accolta) nel 1972 quale freno al disordine sui mercati valutari e ritornata di grande attualità come un possibile rimedio alla crisi economico-finanziaria di lunga durata iniziata nel 2007. Ha avuto per alcuni anni anche un ruolo di primo piano nel governo dell’economia americana, in qualità di consulente della Federal Reserve e del dipartimento del Tesoro, ma soprattutto come membro del presidente del Council of Economic Advisors (1961-62), durante l’amministrazione Kennedy. In questa veste è stato uno dei principali ispiratori della nuova economia, di derivazione keynesiana, in tempo di pace.
Pur consapevole dei problemi legati all’inflazione, T. si è espresso con molta decisione per il raggiungimento di un livello più accettabile di disoccupazione (il famoso 4%), da ottenere con un ampio spettro di strumenti di politica economica, ma soprattutto attraverso una più accorta e flessibile politica monetaria, con il controllo della quantità di moneta e delle condizioni in cui avviene l’intermediazione finanziaria. È proprio il campo della teoria monetaria che T. ha maggiormente curato e arricchito con successivi approfondimenti, studiando in particolare il collegamento fra i modelli di equilibrio sul mercato dei capitali (➔ CAPM) basati sulla teoria del portafoglio e le teorie sui tassi di interesse e la domanda di moneta. In tal modo, è riuscito nel dichiarato obiettivo di fornire robustezza scientifica a una delle fondamentali intuizioni keynesiane, cioè che le variazioni della quantità di moneta in circolazione dispiegano i loro effetti prevalentemente, se non esclusivamente, per il tramite della struttura dei tassi d’interesse (➔ interesse, struttura per scadenza dei tassi di p). Nello sviluppo di queste idee, ha avuto modo anche di perfezionare strumenti di analisi delle istituzioni e dei mercati finanziari, riflettendo in particolare sulle variabili esogene controllabili dall’autorità monetaria.
Tra le opere principali: Liquidity preference as behavior towards risk («Review of Economic Studies», 1958, 25, 2); A general equilibrium approach to monetary theory («Journal of Money, Credit and Banking», 1969, 1, 1); Inflation and unemployment, («American Economic Review», 1972, 62).