KASPROWICZ, Jan
Poeta polacco, nato a Szymborze il 12 dicembre 1860, morto a Poronin presso Zakopane, il 2 agosto 1926. Figlio di contadini ebbe l'adolescenza travagliata dalla povertà. Tuttavia i genitori lo mandarono a frequentare il ginnasio tedesco nella vicina Inowraclaw, ove non fece che lenti progressi, un po' per il tardo sviluppo del suo ingegno, e molto per le precarie condizioni materiali, per la sua resistenza a un'educazione snazionalizzatrice e per il suo spirito ribelle. Nel 1880 ne fu espulso per indisciplinatezza, e si recò a continuare gli studî in altre città vicine, mal tollerato ovunque per il suo inflessibile carattere polacco, finché nel 1887 ottenne a Poznań il diploma di maturità. Non condusse invece a termine gli studî universitarî, iniziati a Lipsia e Breslavia: una zona ove l'operaio e il contadino polacco erano soggetti a una duplice oppressione. Nel 1888 sconta a Breslavia una condanna a sei mesi di prigione. Nel 1889, ottenuto dopo molte difficoltà il permesso di soggiorno, si stabilisce definitivdmente a Leopoli, ove sempre più si dedica alla letteratura, pur continuando, come giornalista, la sua attività politica. Fu ripetutamente in Italia, e dal 1906, preferì al soggiorno di Leopoli quello a Poronin, ai piedi dei Tatra che egli, nato in pianura, amò sempre più sino a farne oggetto di un vero culto. Nel 1909, per i suoi meriti letterarî e per la sua cultura che nel frattempo era diventata vastissima, ottenne all'università di Leopoli la cattedra di letteratura comparata. Due anni dopo, diviso da lungo tempo dalla moglie ch'era passata a nozze col suo amico St. Przybyszewski, sposò Maria Bunin, una russa che gli fu devota compagna negli anni della guerra e della lunga malattia.
I primi tentativi poetici di K. (prima raccolta: Poezje, Leopoli 1889) palesano una spiccata tendenza sociale. In quadri suggestivi e in riflessioni piene di ribelle tristezza, egli ritrae la vita degli umili, poggiando su un'ideologia democratica, antiromantica, che ha però sin da principio uno sfondo di religiosità che col tempo diventa sempre più intensa. Irruenta e spesso contraddittoria è la sua presa di contatto col mondo, di fronte al quale egli assume ora atteggiamenti di umiltà e ora di superiorità prometeica (poema Chrystus, 1894). Dall'intrusione di elementi stranieri, o comunque a lui estranei, egli si libera non tanto con originalità di espressione (a quest'originalità giungerà solo più tardi), quanto con un'istintiva intransigente robustezza della propria personalità e il continuo affluirvi di un'effervescente pienezza di vita. Da qui anche il superamento del dolore (Anima lachrymans, 1894) che in lui non è tanto riflesso del temperamento, ricco di energia creativa, né della concezione della vita, essenzialmente ottimistica, ma piuttosto della difficoltà di armonizzare le varie tendenze del suo spirito: la fede in Dio e la riluttanza ad ammettere la creazione, e la profonda convinzione che la sofferenza e il sacrifizio sono in questo mondo indispensabili. L'urto decisivo degli elementi contrastanti, ritardato dal duplice farmaco che gli offrono l'amore e la sempre più intima convivenza con la natura (Miłość, Amore, 1895; Krzak dzikiej roży, Il roveto della rosa selvatica, 1898), scoppia con veemenza elementare nel poema Na wzgórzu śmierci (Sull'altura della morte, 1897) e in una serie di Inni (riuniti più tardi, assieme al poema, nel volume Ginacemu śńwiatu, Al mondo morente, 1902). Nei primi quattro (Dies Irae; Salome; Swity Boże, Santo Iddio; Moja pieśńwieczorna, Il mio canto serotino), che rappresentano appunto la crisi della fede e della vita, tutto è fermento e tumulto, desiderio di riposo e lotta senza tregua. Ma già negli ultimi di questi inni - che indicano il punto più alto che la parabola della sua vita abbia raggiunto, anche se, per la loro troppo continua tensione patetica e la loro prolissità, non segnano il punto culminante della sua poesia - sugli urli di protesta e di bestemmia cominciano a prevalere la calma della preghiera e l'amore conforto, l'amore nostalgia dell'infinito (Salve Regina, Hymm Sw. Franciszka z Assyżu). Dopo il tempestoso periodo degli Inni, il poeta si riavvicina alla vita quotidiana, ora con accorato umorismo (serie di brevi componimenti in prosa O bohaterskim koniu i walâcym sié domu, 1906), ora con accenti popolareggianti (Ballada o sloneczniku, Ballata del girasole, 1908). In questo volume hanno un posto a parte i due ampî componimenti Pieśńo Waligorze, Canto del W., che riprende ancora una volta la lotta prometeica con Dio, e Sawitri, ove la leggenda indiana, nella smaterializzazione di ogni contatto col mondo, assurge a simbolo universale, ora infine ritraendo "momenti" (Chwile, 1911) della vita che volge verso l'autunno. Pieno di matura sapienza è il "mistero tragicomico" Marcholt gruby a sprośny (M. rozzo e zotico), scritto nel 1913, pubblicato nel 1920, in cui è ritratto simbolicamente il rapporto del poeta col mondo. Ma appena nella mirabile Ksiéga ubogich (Biblia pauperum, 1916) il poeta è giunto alla meta del suo lottare e vagare: qui, nel posato, eppure appassionato, conversare con Dio e con gli uomini fratelli, suggerito dai campi e dai monti, i cui canti riecheggiano nel suo animo con cristallina immediatezza, il poeta si è definitivamente placato; a tutto egli ha ormai rinunziato fuorché al grande amore per tutto il creato e alla grande ricchezza che, di fronte alla morte, è nella rinunzia stessa. In questa completa unione con l'universo, ogni posizione di attualità è superata: il poeta, umile e "povero", è simbolo, di per sé stesso, dell'umanità che giunge all'apice della saggezza e dell'armonia, attraverso una lunga e travagliata ricerca di Dio. Pochi elementi nuovi contiene la continuazione, dal punto di vista formale e sostanziale, della Biblia pauperum: Mój świat (Il mio mondo, 1926), scritto durante la malattia, ove sono già palesi i segni della decadenza e della senilità.
Ediz.: Dziela poetyckie (Opere poetiche), a cura di L. Bernacki, voll. 6, Leopoli 1912; Dziela, a cura di St. Kolaczkowski, voll. 22, Cracovia 1930. Segue a questa ediz. completa delle opere originali, quella d'una serie di traduzioni (Eschilo, Euripide) a cura di B. Butrymowicz (1931), finora incompiuta. K. ha tradotto, oltreché poeti greci, molti scrittori moderni: inglesi soprattutto (Poeci angielscy, Leopoli 1907), ma anche francesi (Maeterlinck, Rostand), tedeschi (Hauptmann) e italiani (D'Annunzio). Fra i traduttori di K. menzioniamo St. Przybyszewski, Mein Abendlied Hymnen, Monaco 1912; E. Lo Gatto, Inno di San Francesco d'Assisi; E. Damiani, Santo Dio! Santo possente!; Cl. Garosci, Liriche varie; J. Gromska, Sui laghi italiani, in Riv. lett. slave, I, 1926; altre poesie trad. da P. E. Pavolini e Cl. Garosci in I nostri quaderni, V (1928), Lanciano.
Bibl.: St. Przybyszewski, Z glebi kujawskiej (Dalla gleba della Kuiavia), Varsavia 1902; Z. Wasilewski, J. K., Varsavia 1923; St. Kołaczkowski, Twórczošč J. Kasprowicza, Cracovia 1924; K. Górski, Tatry i Podhale w twórczości J. K. (I T. e il P. nell'opera di J. K.), Zakopane 1926; M. J. Kasprowiczowa, Dziennik (Dario), Varsavia 1932; Z. Wasilewski, J. K., osservazioni psicologiche, in Riv. lett. slave, I (1926); E. Lo Gatto, Gli Inni di J. K e la loro genesi, ibid.; W. Borowy, K., in Slavonic Review, X (1931).