Kaminski, Janusz
Direttore della fotografia e regista cinematografico polacco, nato a Ziębice il 27 giugno 1959. Operatore di grande talento, attento alle suggestioni della fotografia come a quelle della pittura, K. ha legato il suo nome, a partire dagli anni Novanta, ai film di Steven Spielberg: la sua maestria tecnica e la sua sensibilità narrativa gli hanno consentito infatti di adattarsi con grande naturalezza al multiforme universo visivo del regista statunitense. A partire dai toni documentaristici del bianco e nero di Schindler's list (1993; Schindler's list ‒ La lista di Schindler) fino al bagliore scintillante di Catch me if you can (2002; Prova a prendermi), K. si è sempre dimostrato un fedele e rispettoso interprete delle visioni del regista, segnate da una ricerca formale sospesa tra classicismo e sperimentalismo. L'eccellenza raggiunta da questo sodalizio artistico è stata celebrata da numerosi premi, tra cui i due Oscar ottenuti da K. nel 1994 per Schindler's list e nel 1999 per Saving private Ryan (1998; Salvate il soldato Ryan).Arrivato negli Stati Uniti come rifugiato politico nel 1981, K. ha studiato al Columbia College di Chicago dove si è laureato in cinema nel 1987. Apprezzato per il suo lavoro svolto a Chicago, è stato quindi chiamato a Los Angeles dove ha potuto perfezionare la sua tecnica presso il prestigioso AFI (American Film Institute). Come molti suoi illustri colleghi ha esordito nel cinema con Roger Corman, produttore di The terror within II (1990) di Andrew Stevens, primo film di K. come capo operatore. Il successivo dramma Wildflower (1991), diretto per la televisione da Diane Keaton, ha segnato l'incontro con Spielberg che, impressionato dal lavoro di K., ha deciso di metterlo alla prova in un film bellico da lui prodotto sempre per la televisione, Class of '61 (1993) di Gregory Hoblit, nel quale ha confermato il suo talento. K. ha così ottenuto il prestigioso incarico di direttore della fotografia per il successivo progetto di Spielberg, il kolossal sulla Shoah Schindler's list. Deciso a rendere la tragicità della situazione attraverso atmosfere sempre in bilico tra documentarismo e suggestioni espressioniste, K. ha tratto ispirazione dal libro fotografico di R. Vishniac A vanished world, struggente testimonianza della vita degli ebrei polacchi prima dell'ascesa del nazismo. Girato in un delicato bianco e nero, il film si apre al colore all'inizio per sottolineare il rito dello Shabbāt, alla fine per far vedere la realtà delle nuove generazioni che il gesto di Schindler ha permesso, e nei momenti in cui compare il cappotto rosso di una bimba, innocente vittima e allo stesso tempo vano simbolo di speranza di fronte all'orrore, ma anche segnale che trascina il nazista Schindler nella Storia.
Consacrato a livello internazionale dal successo del film, K. si è in seguito concesso una 'pausa' lavorando al sentimentale How to make an American quilt (1995; Gli anni dei ricordi) di Jocelyn Moorhouse, per il quale ha 'guardato' ai colori della rivista "Life magazine" al fine di rendere il tono romantico e nostalgico della storia. L'anno successivo ha collaborato con Cameron Crowe, regista della commedia sentimentale Jerry Maguire, ambientata nel mondo dello sport, per la quale ha dichiarato invece di aver avuto come punto di riferimento costante l'illuminazione sottile creata da Giuseppe Rotunno per Carnal knowledge (1971) di Mike Nichols. Il sequel The lost world: Jurassic Park (1997; Il mondo perduto ‒ Jurassic Park), per il quale ha accentuato i toni scuri presenti nel primo capitolo della saga, ha quindi segnato il suo ritorno con Spielberg. Lo stesso anno ha realizzato, sempre insieme al regista, il kolossal sulla schiavitù Amistad, un'altra opera di grande suggestione visiva per la quale ha ottenuto la nomination all'Oscar nel 1998. Attento a non scadere nel facile sentimentalismo, K. ha colorato di realismo crudo e intenso la vicenda, con un occhio attento alle tele di F. Goya e un altro alla 'luce', resa da un suo illustre collega, Philippe Rousselot di La reine Margot (1994; La regina Margot) di Patrice Chéreau. L'opera più sperimentale del duo Spielberg-Kaminski è però il film bellico Saving private Ryan. Ispirandosi alle foto di Robert Capa e ai documentari dell'Army signal corps, K. ha utilizzato il costante ricorso alla camera a mano, l'apertura variabile dell'obiettivo e un particolare processo di saturazione dell'immagine in modo da poter restituire con grande forza evocativa la profonda tragicità della guerra.
Nel 2000 ha esordito nella regia con Lost souls (Lost souls ‒ La profezia), interessante thriller 'diabolico' in cui l'inquietudine del male è segnata da tonalità sospese tra il color seppia e il blu, ottenute grazie al contributo del suo operatore Mauro Fiore. Il ritorno con Spielberg ha quindi assunto i contorni fantascientifici di A.I. Artificial Intelligence (2001; A.I. Intelligenza artificiale) e Minority report (2002). Opere diverse tra loro che hanno segnato un'ulteriore evoluzione nel cammino artistico di K., capace di passare con mano sicura dai fasci bianchi di luce che rischiarano l'universo del primo, alla tetra e claustrofobica oscurità in cui è immerso il secondo. Le avventure del giovane truffatore Frank Abagnale Jr, protagonista di Catch me if you can, invece, sono state illuminate da K. con una luce dorata, legata all'immagine che del suo passato conserva lo stesso Frank, narratore, ormai ravvedutosi, della vicenda. Artista sempre molto attento al contesto storico, K. si è ispirato per questo film alle atmosfere di due celebri documentari dell'epoca, High school (1968) di Frederik Wiseman e Salesman (1969) di Albert e David Maysles.
P. Ettedgui, Les directeurs de la photo, Paris 1999, pp. 182-91.