VRCHLICKÝ, Jaroslav (pseud. di Emil Frida)
Poeta cèco, nato il 17 febbraio 1853 a Louny, morto a Domažlice il 9 settembre 1912. Ebbe un'infanzia serena - a Ovčáry presso Kolín, da uno zio parroco -, compì gli studi secondarî nel 1872, e s'iscrisse poi, dopo aver seguito per un semestre gli studî teologici, alla facoltà di filosofia di Praga, dedicandovisi soprattutto alla storia e alle letterature moderne. Nel 1875, per "inebbriarsi del cielo italiano e delle bellezze della sua arte", ma non meno per uscire dalle ristrettezze finanziarie, accettò il posto di precettore presso la famiglia del conte Montecuccoli Laderchi presso Vignola e a Livorno, studiando l'italiano, traducendo Leopardi (Básně G. Leopardiho, 1876). Ritornato a Praga, ottenne nel 1877 il posto di segretario del Politecnico cèco, e lo conservò fino al 1893, quando fu nominato professore di letteratura universale all'università cèca di Praga. Non soltanto la posizione preminente che nella letteratura patria si era acquistata con la sua ricchissima produzione poetica gli aveva valso tale nomina, ma anche la sua infaticabile attività di interprete (traduttore, e, in misura minore, illustratore) delle più svariate letterature. Nel 1908 fu colpito da una malattia mentale dalla quale non si riebbe più.
V. è il poeta più fecondo di tutto il sec. XIX. Formalmente impeccabile, la sua opera poetica, pur senza recare mai l'impronta di un vero genio, è tutta di buona lega. Ad un'enorme ampiezza di temi e inarrivabile dovizia di forme, fa però riscontro, in essa, una certa uniformità di ritmi interiori. Non di rado schiettamente soggettiva e personale, essa procede soprattutto da bisogni e aspirazioni culturali, e trova in essi, con un atteggiamento fondamentalmente ottimistico, il suo naturale appagamento. Ed è questo suo carattere, unitamente alla sua impareggiabile ricchezza (84 raccolte di poesie, 40 opere drammatiche, 114 volumi di traduzioni, ecc.), che ne rende difficile la valutazione e la sistemazione critica. È chiaro tuttavia che V. ha riposto le sue maggiori ambizioni nel ritrarre poeticamente le vicende salienti della storia dello spirito umano; donde una lunga serie di "frammenti di epopea" che va dalle Epické basně (Canti epici, tre serie, 1876, 1881, 1907) e dalle importanti raccolte Duch a svět (Spirito e mondo, 1878), Mythy (due cicli, 1879, 1880), attraverso Staré zvěstí (Echi antichi, 1884), Perspektivy (1884), il poema faustiano Twardowski (1885), Zlomky epopeje (Frammenti di epopea, voll. 2, 1886, 1895), Fresky a gobeliny (1891), al grande affresco che epicamente ritrae la lotta degli Ebrei contro Roma Bar Kochba (1897) e ad una serie di raccolte successive (Bozi a lidé, Dei e uomini, 1899; Votivní desky, Tavole votive, 1902, ecc.), che segnano quasi la parabola discendente di questa poderosa visione della "leggenda dei secoli". Ma V. non è soltanto un poeta epico; e mentre anche in questa "visione" si insinuano sovente elementi lirici, più o meno schiettamente liriche sono numerosissime sue raccolte di versi. E la loro gamma d'ispirazione, la loro varietà di forma e contenuto, è, naturalmente, ancora più ricca: ai canti d'amore (Sny o štěstí, Sogni di felicità, 1876; Eklogy a písně, Egloghe e canti, 1879; Pouti k Eldoradu, Le vie verso l'Eldorado, 1882; Okna v bouři, Finestre nella tempesta, 1894, ecc.), si appaiano poesie riflessive (Z hlubin, De profundis, 1878; Vittoria Colonna, 1877; Symfonie, 1878; Sfinx, 1883; Život a smrt, Vita e morte, 1883; Písně poutníka, 1898 ecc.), e impressionistiehe (Rok na jihu, Un anno nel sud, 1876; Co život dal, Ciò che la vita ha dato, 1883; Hořka jadra, Noccioli amari, 1889; Napadlo rosy, È caduta la rugiada, 1896; Strom života, L'albero della vita, 1910 ecc.) e non poche raccolte nelle quali prevale la gioia di conquiste puramente formali (circa un migliaio di sonetti uniti sopra tutto nelle quattro serie dei Sonety samotáře, Sonetti del solitario, 1885, 1891, 1896, 1904; Dojmy a rozmary, Impressioni e capricci, 1880; Zlatýprach, Polvere d'oro, 1887).
Grande varietà tematica, ma scarso talento drammatico rivelano le tragedie e commedie (Noc na Karlštejně, Notte al K., 1885) del V., nelle quali prevalgono di nuovo interessi storici (alcuni argomenti sono tolti dall'antichità classica, altri ritraggono figure del Rinascimento).
Ma forse il merito principale del V., ove se ne inquadri l'attività nella storia della cultura cèca, sta nelle sue traduzioni. Sorprendente è infatti non solo la quantità delle sue versioni, ma la diversità di epoche e letterature dei testi prescelti e la cura formale che V. vi pone, pur non riuscendo che raramente a cogliere l'intima essenza delle opere tradotte.
Fra gli autori da lui tradotti rileviamo Victor Hugo (spiritualmente e formalmente il poeta più affine al V.), A. de Vigny, Leconte de Lisle, Byron, Shelley, Goethe (Faust), Mickiewicz; ma soprattutto è uno dei più grandi meriti del V. di aver fatto conoscere ai Cèchi quasi tutti i capolavori della letteratura italiana: dalla Divina Commedia (1878-1882) e dalla Vita nuova (1890), attraverso la Gerusalemme Liberata (1889), l'Orlando furioso (1893), le Poesie di Michelangelo (1889), e il Giorno del Parini (1909) fino a tre volumi di poesie del Carducci (1890, 1904), per il quale V. aveva una grande ammirazione, alla Lirica di A. Vivanti (1905) e al Conte Rosso del Giacosa (1900): senza contare parecchie antologie di poesie italiane di tutti i tempi.
Di fronte all'importanza di queste versioni meritano appena una menzione generica i diversi saggi critici (fra l'altro su Leopardi, Parini e Carducci) con i quali V., con scarsa originalità di vedute, integrava le sue fatiche di traduttore.
Resta quale merito principale del V. di aver arricchito da solo la letteratura cèca di un'infinità di nuovi temi e di nuove forme; di averla sganciata dal prepotente influsso tedesco e avvicinata alle letterature neolatine e di averle fornito, con un'opera che altrove è stata compiuta da generazioni intiere, una più ampia e più sicura base culturale. E lo stesso disorientamento e la reazione che, dopo un periodo dì ammirazione, suscitarono via via le sue troppo numerose raccolte di versi, furono salutari, per il forte impulso che ne ricevette, alla cultura cèca.
Ediz.: V. stesso ha curato un'ampia antologia delle sue poesie Antologie básní J. Vrchlického (voll. 2, 1894, 1903). Fra le altre antologie citiamo quella tedesca di F. Adler, Gedichte von Jar. V., Lipsia 1895, 2ª ed. 1925. Per l'epistolario è importante soprattutto il volume Dopisy J. Vrchlického se Sofii Podlipskou z let 1875-76 (Corrisp. di J. V. con S. P. degli anni 1875-76, a cura di V. Brtník, con introd. di F. X. Šalda).
Bibl.: La "Società J. V." pubblica dal 1915 lo Sborník (Miscellaneas společnosti J. V), ricco di materiale documentario e critico. Ed. Albert, J. V. Připrava k budoucím studiím jeho lyriky a epiky (J. V., Avviamento agli studi futuri della sua lirica ed epica), Praga 1893; A. Jensen, J. V. En litterär studie, Stoccolma 1904; J. Borecky, J. V. Pokus o studium jeho díla (J. V. Saggio di uno studio della sua opera), Praga 1906; F. X. Šalda, Saggio sintetico in Duše a dílo (Anima e opera), Praga 1913; Fr. V. Krejčí, J. V., ivi 1913; M. Weingart, J. V. ivi 1920; G. Maver, V. e Leopardi, in Riv. ital. di Praga, 1929 (contiene l'elenco degli articoli dedicati al V. da E. Teza).