JASMIN, Jacques Boé, detto
Poeta provenzale della Guascogna, nato il 6 marzo 1798 ad Agen, dove morì il 4 ottobre 1864. I "felibristi" lo considerarono loro diretto precursore, per quanto egli, tutto compreso della sua missione umanitaria oltre che letteraria e sempre fedele al suo genio istintivo, non intendesse i giovani e disdegnasse poi i loro principi: accolse senza garbo il Roumanille (1848), aderì a malincuore alla sua prima raccolta poetica (Li Prouvençalo, 1852), rifiutandosi di partecipare alla seconda del 1853, e lasciò senza risposta un omaggio poetico del quindicenne Mistral. Questo atteggiamento, rozzo e superbo, è consono, del resto, alla sua condizione di poeta autodidatta, ignaro di cultura, umilissimo per natali e per ambiente.
E la sua poesia pare, infatti, sorgere per spontanea rivelazione. Dai primi sporadici tentativi in versi francesi e provenzali (popolare era diventata una romanza melodica: Fidelitat ageneso, 1822), si affermava con un poemetto eroicomico (Lou Chalibary, Agen 1825), in cui la malizia mordace, piccante, libera, sembra generarsi dallo stesso dialetto. Nei versi autobiografici (Mous Soubenis, 1830; inferiore la seconda parte: Mous nonbels soubenis, 1863) rivelava un temperamento lirico più complesso, che, nei toni di sana malinconia e di gioiosa fiducia, rievocava la sua giovinezza povera, laboriosa e ispirata, elevata a simbolo della fatica e della fede del suo popolo. E a questo egli recitava le sue composizioni, peregrinando nelle città e nei villaggi, fine dicitore e mirabile interprete di sé stesso, assegnando i molti guadagni a opere di beneficenza e di pietà. Le sue poesie, riunite in quattro raccolte (Las Papillotos, Agen 1835,1842,1851,1863: alcune sono di squisita fattura, come l'Abuglo de Castel Cullié, 1836, che gli valse i primi grandi riconoscimenti della critica parigina, Françouneto, 1840-42, che drammatizza i contrasti e gli abbandoni dell'amore, Maltro l'innoucento, 1847, l'idillio che è considerato il capolavoro per la cristallina perfezione formale), sono il migliore antecedente della lirica felibrista. Celebre in tutto il Mezzogiomo della Francia, esaltato nella capitale (1840), premiato dall'Académie Francaise (1851), circondato da un'aureola di apostolato, J. rimase sempre a contatto con la più schietta anima popolare, a cui misurò la sua arte, realistica e concreta, ma nello stesso tempo delicata, armoniosa, trepida di ideali sentimentali, religiosi, etici.
Bibl.: J. Andrieu, J. et son oeuvre, Agen 1882; Ch.-A. Sainte-Beuve, Porraits contemporains, IV, Parigi 1881-82; F. Donnadieu, Les précurseurs des Félibres (1800-1855), Parigi 1887; É. Riepert, La Renaissance provençale, Parigi 1918, e Le Félibrige, Parigi 1924.