JAZZ
(XVIII, p. 662; App. III, I, p. 822)
Nel corso degli anni Cinquanta il quadro jazzistico internazionale era caratterizzato da una straordinaria pluralità di correnti e di stili, spesso antitetici tra loro. La spinta innovativa del be bop venne progressivamente esaurendosi dopo la scomparsa (1955) di Charlie Parker e di altri capiscuola, come il trombettista Fats Navarro (1923-1950) e il sassofonista Wardell Gray (1921-1955), il declino del pianista Bud Powell (1924-1966) e il trasferimento in Europa del batterista Kenny Clarke (1914-1985) e di Oscar Pettiford (1922-1960), che contribuì in maniera decisiva all'evoluzione solistica del contrabbasso iniziata da Jimmy Blanton (1921-1942). Tuttavia, le grandi conquiste tecniche dei boppers, elaborate fin dal 1941 nelle storiche jam sessions al Minton's e alla Monroe's Uptown House di New York, con l'apporto determinante del chitarrista Charlie Christian (1916-1942) e del pianista-compositore Thelonious Monk (1917-1982), autore di capolavori quali 'Round midnight, Ruby my dear, Pannonica e Crepuscule with Nellie, sarebbero state alla base di tutto il j. successivo.
Tali innovazioni erano costituite dall'adozione di armonie dissonanti, di intervalli di quinta diminuita, di frequenti salti d'ottava, di temi spigolosi, di un discorso solistico brusco e spezzettato, dall'eliminazione quasi totale del vibrato nei fiati e da una scansione ritmica che, pur non prescindendo dal canonico 4/4 in levare, appariva comunque assai più libera e variamente accentata. Inoltre, l'avvento del microsolco permetteva la registrazione di brani più lunghi, ben al di là dei tre minuti consentiti dal 78 giri.
Continuavano lo stile be bop, con risultati artistici elevati, Dizzy Gillespie innanzitutto; e quindi il trombettista Howard McGhee (1918-1987); i trombonisti Jay Jay Johnson, Kai Winding (1922-1983, nato in Danimarca), Earl Swope (1922-1968) e Benny Green (1923-1977); i sassofonisti Cecil Payne (n. 1922), Dexter Gordon (1923-1990), Sonny Stitt (1924-1982), Gene Ammons (1925-1974), Leo Parker (1925-1962), James Moody (n. 1925), Lou Donaldson (n. 1926), Sonny Criss (1927-1977), Allen Eager (n. 1927) e Gene Quill (1927-1989); il clarinettista Buddy De Franco (n. 1923); i pianisti Herbie Nichols (1919-1963), Duke Jordan (n. 1922), Elmo Hope (1923-1967), Al Haig (1924-1982), George Wallington (n. 1924) e Dodo Marmarosa (n. 1925); il chitarrista Barney Kessel (n. 1923); il contrabbassista Ray Brown (n. 1926); il batterista Max Roach (n. 1925); e gli arrangiatori Tadd Dameron (1917-1965) e Gil Fuller (n. 1920).
Assai attivi risultavano gli esponenti del cool jazz, che orientarono il be bop in una direzione estetizzante e cerebrale, sotto l'influsso della musica europea contemporanea (Debussy, Stravinskij e Ravel, in particolare); i coolsters adottarono sonorità diafane e ovattate, un fraseggio distaccato, ritmi rilassati. Caposcuola di questa corrente fu il pianista Lennie Tristano (1919-1978), che, dopo aver inciso nel 1949, con la collaborazione dei sassofonisti Lee Konitz e Warne Marsh (1927-1987) e del chitarrista Billy Bauer (n. 1915), i celebri brani per la Prestige e per la Capitol, realizzò per la Atlantic due dischi (Tristano del 1955 e The new Tristano del 1962), in cui utilizzava la tecnica di sovrapporre più parti di piano da lui eseguite in fasi differenti.
L'arrangiatore canadese Gil Evans (1912-1988), che aveva creato un sound particolare fin dai tempi della sua milizia (1941-48) nell'orchestra di Claude Thornill (1909-1965), mediante l'impiego del corno francese e del basso tuba, fusi con i sassofoni, incise nel 1949 per la Capitol Birth of the cool, che influenzò profondamente il j. degli anni Cinquanta e primi Sessanta; a fianco di Evans erano, tra gli altri, il trombettista Miles Davis (m. 1991), a nome del quale uscì il disco, i sassofonisti Lee Konitz e Gerry Mulligan, e il pianista John Lewis.
Nell'area del cool jazz operavano altri strumentisti: il trombettista Tony Fruscella (1927-1969); i clarinettisti John La Porta (n. 1920) e Bill Smith (n. 1926); i sassofonisti Dave Van Kriedt (n. 1922) e Hal McKusick (n. 1924); i chitarristi Tal Farlow (n. 1921), Johnny Smith (n. 1922) e Jimmy Raney (n. 1927); il contrabbassista Arnold Fiskhin (n. 1919); e i batteristi Denzil Best (1917-1965) e Tiny Kahn (1924-1953). Grande popolarità raggiungevano, nel frattempo, alcuni complessi ispirati al cool jazz: il quintetto del pianista inglese George Shearing (n. 1919), il trio del vibrafonista Red Norvo (n. 1908) e soprattutto il quartetto del pianista Dave Brubeck (n. 1921) − i cui elementi più rappresentativi furono il raffinato sassofonista Paul Desmond (1924-1977) e il batterista Joe Morello (n. 1928) − e il Modern Jazz Quartet, formato dal pianista John Lewis, dal vibrafonista Milt Jackson (n. 1923), dal contrabbassista Percy Heath (n. 1923) e dal batterista Kenny Clarke, poi sostituito da Connie Kay (n. 1927). Sia Brubeck, già allievo di D. Milhaud e fondatore di un ottetto sperimentale, che Lewis avevano una solida preparazione accademica; in particolare Lewis, utilizzando elementi della musica barocca come fughe e contrappunto, creò un j. ''da camera'' e più tardi, con il compositore Gunther Schuller (n. 1925), fece esperimenti di j. sinfonico, in ciò preceduto dall'orchestra del sassofonista Boyd Raeburn (1913-1966) del 1944-47, che si era giovato degli avanzati arrangiamenti di George Handy (n. 1920).
Il principale responsabile dell'orientamento del j. nella direzione cool fu, tuttavia, l'esponente più geniale della scuola swing di Kansas City: il tenorsassofonista Lester Young (1909-1959), membro dell'orchestra di Count Basie tra il 1934 e il 1944. La sua sonorità esile e un po' nasale, assolutamente priva di vibrato, e il suo fraseggio semplice e rilassato, agli antipodi dello stile poderoso e irruente di Coleman Hawkins, esercitarono un influsso indelebile su tenorsassofonisti come Brew Moore (1924-1972), Zoot Sims (1925-1985), Al Cohn (1925-1987) e Stan Getz (1927-1991), nonché sul baritonista Mulligan. E infatti, quando nell'autunno del 1947 il direttore d'orchestra Woody Herman (1913-1987) allestì il suo second herd, impiegando, oltre a Getz e a Sims, un terzo tenorsassofonista, Herbie Steward (n. 1926), e il baritonista Serge Chaloff (1923-1957) − i cosiddetti Four brothers-, il loro sound, creato dall'arrangiatore Gene Roland (1921-1982), non fu altro che la traduzione orchestrale dello stile di Young.
Il grosso pubblico, che non aveva aderito al j. moderno a causa delle sue complessità armonico-melodiche, contribuì al rilancio del j. tradizionale, che venne favorito anche dai concerti delle All Stars di Louis Armstrong (1900-1971), comprendenti, tra gli altri, il trombonista Jack Teagarden (1905-1964), il clarinettista Barney Bigard (1906-1980) e il pianista Earl Hines (1905-1983). Il movimento del New Orleans Revival, sorto nel 1938 per opera del critico francese Hugues Panassié, che organizzò sedute d'incisione per la Victor con i veterani di New Orleans, conobbe una rinnovata fortuna specie per l'attività del clarinettista George Lewis (1900-1968) e influenzò i musicisti della scuola di San Francisco: i trombettisti Lu Watters (n. 1911) e Bob Scobey (1916-1963), il trombonista Turk Murphy (1915-1987), il banjoista-cantante Clancy Hayes (1908-1972) e il popolare gruppo dei Firehouse Five plus Two.
Anche i musicisti dello stile Dixieland-Chicago parteciparono attivamente al rilancio del j. tradizionale: i trombettisti Muggsy Spanier (1906-1967), Wild Bill Davison (1906-1988), Jimmy McPartland (1907-1991), Max Kaminsky (n. 1908), Bobby Hackett (1915-1976) − il miglior continuatore della corrente che faceva capo a Bix Beiderbecke e a Bunny Berigan (1908-1942) − e Billy Butterfield (1917-1988); il trombonista Miff Mole (1898-1961); i clarinettisti Pee Wee Russell (1906-1969), Matty Matlock (1907-1978), Irving Fazola (1912-1949) e Peanuts Hucko (n. 1918); i sassofonisti Bud Freeman (1906-1991), Eddie Miller (n. 1911) ed Ernie Caceres (1911-1971); i pianisti Jess Stacy (n. 1904) e Joe Sullivan (1906-1971); i chitarristi Eddie Condon (1905-1973), Carl Kress (1907-1965), George Van Eps (n. 1913) e George Barnes (1921-1977); i batteristi George Wettling (1907-1968), Dave Tough (1908-1948), Ray Bauduc (1909-1988) e Gene Krupa (1909-1973); e il violinista Joe Venuti (1908-1979). Notevole successo ebbero i Dukes of Dixieland dei fratelli Assunto e il complesso del clarinettista Pete Fountain (n. 1930).
In Europa, l'arrivo delle truppe americane alla fine della seconda guerra mondiale, i concerti di Armstrong e il trasferimento in Francia del clarinettista e sopranista creolo Sidney Bechet (1897-1959), che acquisì una popolarità immensa prima nei circoli esistenzialisti e quindi presso un pubblico vastissimo (particolarmente con Petite fleur), favorirono la formazione di complessi di j. tradizionale di buon livello, come quelli dei clarinettisti francesi Claude Luter (n. 1923) e André Reweliotty (1929-1962), dei trombettisti inglesi Humphrey Lyttelton (n. 1921) e Alex Welsh (n. 1929, che ebbe il merito di lanciare solisti quali il trombonista Roy Williams e il baritonista Johnny Barnes), del trombonista inglese Chris Barber (n. 1930), come la Dutch Swing College Band, olandese, e l'italiana Roman New Orleans Jazz Band, fondata nel 1949 da un gruppo di musicisti operanti a Roma (Giovanni Borghi, Luciano Fineschi, Marcello Riccio, Ivan Vandor, Giorgio Zinzi, Bruno Perris, Pino Liberati e Peppino D'Intino).
Permaneva inoltre, più che mai vitale, la lezione dei grandi solisti della swing era, alcuni dei quali − come il trombettista Roy Eldridge (1911-1989), i sassofonisti Don Byas (1912-1972), Lucky Thompson (n. 1924) e soprattutto Coleman Hawkins (1904-1969), che nel 1948 aveva registrato senza accompagnamento il brano Picasso, anticipando una tendenza che si sarebbe affermata col j. d'avanguardia − si accostarono in parte al be bop. Incisioni di alto livello furono realizzate dai trombettisti Rex Stewart (1907-1967), Henry Red Allen (1908-1967), Jonah Jones (n. 1908), Cootie Williams (1910-1985), Buck Clayton (n. 1911), Ray Nance (1913-1976), Harry Edison (n. 1915), Charlie Shavers (1917-1971), Clark Terry (n. 1920) e Joe Newman (n. 1922); dai trombonisti Lawrence Brown (1905-1988), Vic Dickenson (1906-1984), J. C. Higginbothan (1906-1973), Bennie Morton (1907-1985), Dickie Wells (1907-1985) e Trummy Young (1912-1984); dai clarinettisti Edmond Hall (1901-1967) e Buster Bailey (1902-1967); dai sassofonisti Johnny Hodges (1906-1970), Benny Carter (n. 1907), Ben Webster (1909-1973), Willie Smith (1910-1967), Harry Carney (1910-1974), Buddy Tate (n. 1914), Paul Gonsalves (1920-1974), Jimmy Forrest (1920-1980), Illinois Jacquet (n. 1922), Eddie Lockjaw Davis (1922-1986), Frank Wess (n. 1922) e Frank Foster (n. 1928); dal vibrafonista Lionel Hampton (n. 1913); dai violinisti Eddie South (1904-1962) e Stuff Smith (1909-1965); dai bassisti Milt Hinton (n. 1910) e George Duvivier (1920-1985); dai batteristi Cozy Cole (1909-1981), Sidney Catlett (1910-1951) e Jo Jones (1911-1985); e dai pianisti Mary Lou Williams (1910-1981), Teddy Wilson (1912-1986) e Art Tatum (1910-1956), il più virtuoso pianista di j., ispiratore del canadese Oscar Peterson (n. 1925). Tra i musicisti di mainstream bianco si segnalavano il trombettista Sonny Berman (1924-1947); i trombonisti Bill Harris (1916-1973), Eddie Bert (n. 1922) e Urbie Green (n. 1926); i sassofonisti Vido Musso (1913-1982), Flip Phillips (n. 1915), Charlie Ventura (1916-1979) e George Auld (1919-1990); i contrabbassisti Eddie Safranski (1918-1974) e Chubby Jackson (n. 1918); e il batterista Don Lamond (n. 1920).
Il canto nel j. subì una trasformazione profonda per opera di Billie Holiday (1915-1959) dallo stile espressionistico e trasgressivo, influenzato in parte dalla cantante di blues Bessie Smith (1894-1937); con la Holiday la voce umana si trasformò in strumento vero e proprio. Altri cantanti assai rappresentativi furono Jimmy Rushing (1903-1972), Mildred Bailey (1907-1951), Helen Humes (1913-1981), Billy Eckstine (n. 1914), Joe Williams (n. 1918), Anita O' Day (n. 1919) − la più grande cantante bianca di j. − e soprattutto Ella Fitzgerald (n. 1918), che era stata lanciata nel 1935 dal batterista Chick Webb. In seguito s'imposero Carmen McRae (n. 1922), Dinah Washington (1924-1963); Sarah Vaughan (1924-1990), che esordì nel 1945 con Parker e Gillespie; June Christy (1925-1990), Mel Tormé (n. 1925), Helen Merrill (n. 1930) e vari complessi vocali (i Four Freshmen, il trio Lambert-Hendricks-Ross, gli Swingle Singers e i Double Six, entrambi francesi). Un posto a parte occupano Mahalia Jackson (1911-1972) − la massima interprete della musica gospel - e Ray Charles (n. 1932), che fuse in uno stile personale, solo in parte influenzato da Armstrong, le tradizioni del blues e dello spiritual. Una piega sempre più commerciale prendevano invece Frank Sinatra (n. 1915) e Nat King Cole (1917-1965), già leader, come pianista-cantante, di un trio di alta classe, in cui si era affermato il chitarrista Oscar Moore (1916-1981).
Le grandi orchestre, dopo la crisi protrattasi tra il 1943 e il 1946 che causò lo scioglimento della formazione di Jimmy Lunceford (1902-1947), godettero di un periodo di prosperità. Duke Ellington (m. 1974), che aveva riscosso un trionfo al festival di Newport del 1956, si cimentò, con la collaborazione dell'arrangiatore Billy Strayhorn (1915-1967), nella composizione di impegnative suites come A drum is a woman (1956), Such sweet thunder (1957) e New Orleans suite (1970), che approfondivano il discorso iniziato nel 1943 con Black, brown and beige, il suo capolavoro. Count Basie (1904-1984), pur distaccandosi in parte dalla tipica maniera di Kansas City, che aveva caratterizzato la sua orchestra negli anni Trenta e Quaranta, continuò ad adottare partiture non complesse e a fare ricorso ai caratteristici riffs, brevi frasi fortemente ritmate reiterate ostinatamente, adattissime per ''lanciare'' i solisti; perno della sezione ritmica, di proverbiale fluidità, permaneva il chitarrista Freddie Green (1911-1987). Tra gli esempi più felici del nuovo stile basiano, che molto si giovò degli arrangiamenti di Neal Hefti (n. 1922) e di Ernie Wilkins (n. 1922), vanno segnalati Lil' darlin', Splanky, April in Paris, Two franks e Shiny stockings.
Fra le orchestre bianche, dopo la morte di Glenn Miller (1904-1944), perito in Europa durante il secondo conflitto mondiale, e la riduzione dell'attività da parte di Benny Goodman (1909-1986), del trombonista Tommy Dorsey (1905-1956) e dei clarinettisti Artie Shaw (n. 1910) e Charlie Barnet (1913-1991), il ruolo di maggiore spicco fu rivestito dalle formazioni del clarinettista Woody Herman − autore di incisioni di grande rilievo (At the woodchopper's ball, Bijou, Summer sequence, Four brothers, Early autumn), molte delle quali composte da Ralph Burns (n. 1922) −, e del pianista Stan Kenton (1912-1979), il quale, dopo un periodo di esperimenti di j. sinfonico (il cosiddetto progressive jazz o third stream), segnato dagli arrangiamenti di Johnny Richards (1911-1968), Pete Rugolo (n. 1915) e di Bob Graettinger (1923-1957) − si pensi a composizioni come Abstraction, Somnambulism, The city of glass e Mirage −, tornò a una maniera più autenticamente jazzistica fin dal 1952.
Proprio dall'orchestra di Kenton dovevano uscire i musicisti che diedero vita al West coast jazz, il cui manifesto è rappresentato dal disco Modern sounds, inciso il 10 agosto 1951 dai Giants del trombettista-arrangiatore Shorty Rogers (n. 1924), un ottetto che fin nell'organico (comprendeva un corno francese e un basso tuba) si riallacciava direttamente al complesso di Miles Davis e Gil Evans che due anni prima aveva realizzato Birth of the cool. Lo stile dei californiani, brioso e piacevole, era il risultato della sapiente fusione di elementi disparati; si trattava, in sostanza, di un be bop riletto attraverso la rigorosa lezione dei coolsters, ma reso meno intellettualistico grazie al recupero di stilemi dello swing di Kansas City: in questo senso l'influsso di Lester Young risultava determinante. Il successo fu immediato: vennero fondate due case discografiche − la Pacific Jazz e la Contemporary − che incisero una quantità di dischi che servirono ad accostare il pubblico al j. moderno.
Centro propulsore della nuova musica fu il Lighthouse di Hermosa Beach, presso Los Angeles, un locale diretto dal contrabbassista Howard Rumsey (n. 1917), leader delle Lighthouse All Stars. Gli altri complessi che concorsero al trionfo del j. californiano in tutto il mondo furono il quartetto del sassofonista Art Pepper (1925-1982), il quintetto dei sassofonisti Bob Cooper (n. 1925) e Bud Shank (n. 1926), i Men del batterista Shelly Manne (1920-1984), l'ottetto del clarinettista Dave Pell (n. 1925) e il quintetto dei sassofonisti Jack Montrose (n. 1928) e Bob Gordon (1928-1955). Un ruolo centrale fu rivestito dal clarinettista, sassofonista e arrangiatore Jimmy Giuffre (n. 1921), il quale, dopo aver realizzato lo sperimentale Tangents in jazz (1955), formò un trio senza batteria col chitarrista Jim Hall (n. 1930) e il contrabbassista Ralph Peña (1927-1969), che incise autentici capolavori quali The J. Giuffre 3 (1956) e 7 Pieces (1959).
I principali esponenti del West coast jazz, oltre ai precedenti, furono i trombettisti Conte Candoli (n. 1927), Maynard Ferguson (n. 1928), Jack Sheldon (n. 1931) e Stu Williamson (n. 1933); i trombonisti Bob Enevoldsen (n. 1920), Frank Rosolino (1926-1978), Milt Bernhart (n. 1926) e Carl Fontana (n. 1928); il cornista John Graas (1924-1962); i sassofonisti Charlie Mariano (n. 1923), Bill Perkins (n. 1924), Herb Geller (n. 1928), Lennie Niehaus (n. 1929), Gabe Baltazar (n. 1929), Richie Kamuca (1930-1977) e Joe Maini (1930-1964); i pianisti Russ Freeman (n. 1926), Claude Williamson (n. 1926), Carl Perkins (1928-1958), Hampton Hawes (1928-1977), Lou Levy (n. 1928) e Pete Jolly (n. 1932); i vibrafonisti Terry Gibbs (n. 1924) e Teddy Charles (n. 1928); il chitarrista Joe Pass (n. 1929); i contrabbassisti Joe Mondragon (n. 1920), Curtis Counce (1926-1963), Red Mitchell (n. 1927), Leroy Vinnegar (n. 1928), Max Bennett (n. 1928) e Monty Budwig (n. 1929); e i batteristi Stan Levey (n. 1925), Frank Butler (1928-1984) e Chuck Flores (n. 1935).
Nel j. californiano un ruolo fondamentale ebbero gli arrangiamenti, che vennero curati da Giuffre, da Rogers, da Graas e dai vari Lyle Murphy (n. 1908), Manny Albam (n. 1922), Marty Paich (n. 1925), Johnny Mandel (n. 1925), Bill Holman (n. 1927), Duane Tatro (n. 1927) e Bill Russo (n. 1928).
Impulso decisivo all'affermazione del j. californiano fu dato dal quartetto senza pianoforte di Gerry Mulligan, che, pur non appartenendo strettamente a questa scuola, comprendeva alcuni esponenti del West coast, quali il trombettista-cantante Chet Baker (1929-1988), poi sostituito dal trombonista Bob Brookmeyer (n. 1928), i contrabbassisti Carson Smith (n. 1931) e Bob Whitlock (n. 1931), e i batteristi Frank Isola (n. 1925), Larry Bunker (n. 1928) e Chico Hamilton (n. 1921), che fondò a sua volta un quintetto col violoncellista Fred Katz (n. 1919) e il sassofonista Buddy Collette (n. 1921).
In contrasto con le sofisticate atmosfere del j. californiano, che fu essenzialmente un j. ''bianco'', dalla metà degli anni Cinquanta si sviluppò sulla East coast, ad opera di musicisti prevalentemente neri, uno stile che si richiamava direttamente a quello dei boppers e che venne denominato hard bop. Si trattava di un bop armonicamente semplificato, più aggressivo, dal ritmo martellante, lontanissimo dalle preziosità timbriche dei californiani, che prediligeva, per contro, sonorità grevi (donde il nome di funky jazz, dato a una corrente dell'hard bop) ed era fondato soprattutto sul blues. La nuova scuola si affermò rapidamente anche grazie all'attività di due case discografiche: la Riverside e la Blue Note. I complessi più rappresentativi dell'hard bop furono il quintetto diretto dal trombettista Clifford Brown (1930-1956) e dal batterista Max Roach, i Jazz Messengers del batterista Art Blakey (1919-1990), il quintetto del pianista Horace Silver (n. 1928), che, utilizzando parzialmente elementi della musica gospel, dette vita a uno stile definito soul jazz, il Jazztet del trombettista Art Farmer (n. 1928) e del sassofonista Benny Golson (n. 1929) e il sestetto del sassofonista Cannonball Adderley (1928-1975). L'orchestra migliore fu quella di Quincy Jones (n. 1933) del 1959-61.
Gli hardboppers più significativi furono i trombettisti Kenny Dorham (1924-1972), Joe Gordon (1928-1963), Blue Mitchell (1930-1979), Nat Adderley (n. 1931), Donald Byrd (n. 1932), Bill Hardman (1933-1990), Carmell Jones (n. 1936), Lee Morgan (1938-1972) e Freddie Hubbard (n. 1938); i trombonisti Jimmy Cleveland (n. 1926), Slide Hampton (n. 1932), Curtis Fuller (n. 1934) e Julian Priester (n. 1935); il cornista Julius Watkins (1921-1977); i sassofonisti Jerome Richardson (n. 1920), Yusef Lateef (n. 1921), Charlie Rouse (1924-1988), Sahib Shihab (1925-1989), Ernie Henry (1926-1957), Teddy Edwards (n. 1926), Gigi Gryce (1927-1983), J.R. Monterose (n. 1927), Harold Land (n. 1928), Johnny Griffin (n. 1928), Hank Mobley (1930-1986), Pepper Adams (1930-1986), Clifford Jordan (n. 1931), Jackie McLean (n. 1932), Stanley Turrentine (n. 1934) e Charlie McPherson (n. 1939); i pianisti Junior Mance (n. 1928), Kenny Drew (n. 1928), Barry Harris (n. 1929), Sonny Clark (1931-1963), Horance Parlan (n. 1931), Ray Bryant (n. 1931), Cedar Walton (n. 1934) e Bobby Timmons (1935-1974); l'organista Jimmy Smith (n. 1925); i chitarristi Wes Montgomery (1925-1968), Grant Green (1931-1978) e Kenny Burrell (n. 1931); i contrabbassisti Wilbur Ware (1923-1979), Sam Jones (1924-1981), Jymie Merrit (n. 1926), Richard Davis (n. 1930), Doug Watkins (1934-1962) e Reggie Workman (n. 1937); i batteristi Roy Haynes (n. 1926), Art Taylor (n. 1929) e Louis Hayes (n. 1937); il suonatore di basso tuba Ray Draper (1940-1982), e l'arrangiatore-sassofonista Oliver Nelson (1932-1975).
Nell'area post-bop si muovevano altri musicisti di altissimo livello artistico, che non possono essere catalogati come hardboppers e che sfuggono a una caratterizzazione stilistica precisa: il clarinettista Tony Scott (n. 1921), l'altosassofonista Phil Woods (n. 1931), il tenorsassofonista Sonny Rollins (n. 1929) − autore di capolavori quali Saxophone colossus (1956), The bridge (1961), Our man in jazz (1964) e East Broadway run down (1966) −, i pianisti Hank Jones (n. 1918), Erroll Garner (1921-1977), Randy Weston (n. 1926), Eddie Costa (1930-1962), Ahmad Jamal (n. 1930), Tommy Flanagan (n. 1930), Phineas Newborn (1941-1989) e soprattutto il trombettista Miles Davis. Questi, dopo essere passato attraverso le esperienze del be bop e del cool jazz, costituì nel 1956 un formidabile quintetto, divenuto sestetto nel 1958, che vedeva alternarsi i più avanzati musicisti del momento: il sassofonista John Coltrane (1926-1967), i pianisti Red Garland (1923-1983), Bill Evans (1929-1980) e Wynton Kelly (1931-1971), il contrabbassista Paul Chambers (1935-1969) e i batteristi Philly Joe Jones (1923-1985) e Jimmy Cobb (n. 1929). La sonorità esile, quasi ipnotica, della tromba di Davis, agli antipodi di quella aggressiva di Clifford Brown o di quella pirotecnica di Gillespie, contrastava efficacemente con lo stile irruento di Coltrane, che, parzialmente influenzato dai sassofonisti di scuola texana, prediligeva lunghe frasi eseguite con tale rapidità da fondersi completamente tra loro (le cosiddette sheets of sound, ''pareti di suono''). Davis registrò dischi memorabili per la Prestige e, nel 1959, per la Columbia Kind of blue, che segnò una tappa fondamentale nell'evoluzione del j., in quanto vi figuravano i primi esempi di improvvisazione modale, basata, cioè, non più sugli accordi di un brano, ma sui diversi tipi di scale o modi.
La diffusione del j. moderno in Europa, favorita dalla circolazione dei dischi e dai concerti di jazzisti americani (particolarmente importanti quelli organizzati dall'impresario Norman Granz sotto il nome di Jazz at the Philarmonic), provocò l'affermazione delle nuove correnti in Europa, che nell'anteguerra − a parte l'attività dell'arrangiatore inglese Spike Hughes (n. 1908) − aveva visto un solo complesso di livello internazionale: il Quintette du Hot Club de France, diretto da Django Reinhardt (1910-1953), uno zingaro belga, eccezionale chitarrista, col quale collaborò il violinista francese Stéphane Grappelly (n. 1908). Le incisioni di Reinhardt (Daphné, Nuages, Diangology, Mélodie au crépuscule, Porto Cabello, ecc.) sono le più alte realizzazioni del j. europeo, totalmente originali, in quanto indipendenti dal modello americano.
Tra i musicisti europei più significativi del dopoguerra vanno menzionati gli svedesi Stan Hasselgard (1922-1948, clarinetto), Rolf Ericson (n. 1922, tromba), Arne Domnerus (n. 1924, sax contralto), Ake Persson (1932-1975, trombone), Bengt Hallberg (n. 1932, piano) e Lars Gullin (1928-1976), il massimo sassofonista europeo; i danesi Svend Asmussen (n. 1916, violino), Kai Winding e Niels-Henning Orsted Pedersen (n. 1946, contrabbasso); gli inglesi Tony Crombie (n. 1925, batteria), George Shearing, Ronnie Ball (1927-1984, piano), Ronnie Scott (n. 1927, sax tenore), Peter Ind (n. 1928, contrabbasso), Ronnie Ross (n. nel 1933 a Calcutta, sax baritono), Victor Feldman (19341987, vibrafono e piano), Tubby Hayes (1935-1973, sax tenore) e Dave Holland (n. 1946, contrabbasso); i francesi Martial Solal (n. nel 1927 ad Algeri, piano), Pierre Michelot (n. 1928, contrabbasso), Barney Wilen (n. 1937, sax tenore) e Michel Petrucciani (n. 1963, piano); i belgi Toots Thielemans (n. 1922, armonica a bocca e chitarra), Bobby Jaspar (1926-1963, sax tenore e flauto) e René Thomas (1927-1975, chitarra); gli svizzeri Flavio Ambrosetti (n. 1919, sax contralto), George Gruntz (n. 1932, piano), Daniel Humair (n. 1938, batteria) e Franco Ambrosetti (n. 1941); i tedeschi Hans Koller (n. 1921, sax contralto), Jutta Hipp (n. 1925, piano), Rolf Kühn (n. 1929, clarinetto) e Klaus Doldinger (n. 1936, sax tenore); gli ungheresi Attila Zoller (n. 1927) e Gabor Szabo (1936-1982), entrambi chitarristi; i cecoslovacchi George Mraz (n. 1944) e Miroslav Vitous (n. 1947), contrabbassisti; lo iugoslavo Dusko Gojkovich (n. 1931, tromba); e lo spagnolo Tete Montoliu (n. 1933, piano).
Anche in Italia il j. moderno cominciò ad attecchire grazie al trio del pianista Armando Trovajoli (n. 1917) e agli arrangiatori Roberto Nicolosi (1914-1989) e Piero Piccioni (n. 1921), già leader, nel 1943-46, dell'orchestra 013, i quali rivestirono un importante ruolo pionieristico. Tra i musicisti di alto livello espressi dal j. italiano vanno ricordati innanzitutto il trombettista Oscar Valdambrini (n. 1924) e il tenorsassofonista Gianni Basso (n. 1931); quindi, i trombettisti Nunzio Rotondo (n. 1924), Sergio Fanni (n. 1930), Cicci Santucci (n. 1939) e Paolo Fresu (n. 1961); i trombonisti Dino Piana (n. 1930) e Marcello Rosa (n. 1935); il flautista Nicola Stilo (n. 1956); i sassofonisti Eraldo Volonté (n. 1918), Glauco Masetti (n. 1922), Gino Marinacci (1926-1980), Attilio Donadio (n. 1925), Giancarlo Barigozzi (n. 1930), Gianni Bedori (n. 1930), Carlo Bagnoli (n. 1933), Maurizio Gianmarco (n. 1952) e Massimo Urbani (n. 1957); i pianisti Renato Sellani (n. 1927), Umberto Cesari (n. 1920), Amedeo Tommasi (n. 1935), Enrico Intra (n. 1935), Guido Manusardi (n. 1935), Franco D'Andrea (n. 1941), Enrico Pieranunzi (n. 1949) e Dado Moroni (n. 1962); i chitarristi Franco Cerri (n. 1926), Carlo Pes (n. 1927) e Lanfranco Malaguti (n. 1949); i contrabbassisti Giorgio Azzolini (n. 1928), Berto Pisano (n. 1928), Giovanni Tommaso (n. 1941), uno dei leaders del Quintetto di Lucca, Bruno Tommaso (n. 1946), Enzo Pietropaoli (n. 1955) e Riccardo Del Fra (n. 1956); i batteristi Gil Cuppini (n. 1924), Gegè Munari (n. 1934), Franco Mondini (n. 1935), Franco Tonani (n. 1935), Gianni Cazzola (n. 1938), Fabrizio Sferra (n. 1959) e l'italo-argentino Pichi Mazzei (1930-1986); e il compositore e direttore d'orchestra Piero Umiliani (n. 1926).
Nei primissimi anni Sessanta l'hard bop entrò in crisi e si cominciarono a elaborare forme più avanzate di jazz. Uno dei precursori più geniali del j. d'avanguardia fu il contrabbassista e compositore Charles Mingus (1922-1979), il quale con le sue polifonie espressionistiche, tendenti alla cacofonia, rivoluzionò il linguaggio orchestrale. Particolarmente indicativi della sua maniera sono i dischi Pithecanthropus erectus, Tijuana moods, Blues and roots, Mingus ah hum, Oh yeah, Pre-Bird, Mingus presents Mingus e The black saint and the sinner lady, incisi tra il 1956 e il 1964, fino a Changes one del 1974. Tra i collaboratori più originali di Mingus si segnalavano il trombettista Ted Curson (n. 1935), il trombonista Jimmy Knepper (n. 1927), i sassofonisti Shafi Hadi (n. 1929), Booker Ervin (1930-1970) e Roland Kirk (1936-1977), che elaborò una particolare tecnica che gli consentiva di suonare tre sassofoni alla volta, i pianisti Jaki Byard (n. 1922) e Mal Waldron (n. 1925), e il batterista Dannie Richmond (1935-1988).
John Coltrane, lasciato Davis, costituì nel 1960 il complesso più importante degli ultimi trent'anni: un quartetto formato dal pianista McCoy Tyner (n. 1938), dal contrabbassista Jimmy Garrison (1934-1976) e dal batterista Elvin Jones (n. 1927). La musica modale di Coltrane, a un tempo lirica e orgiastica, ricca di echi africani, dalle sequenze di accordi ripetute ossessivamente e dai ritmi asimmetrici, esercitò un fascino straordinario sui giovani musicisti, che presero a imitare l'inconfondibile voce dei suoi strumenti: il sassofono tenore e il soprano. Tra il 1960 e il 1964 Coltrane incise i suoi massimi capolavori: Giant steps (con lo struggente brano Naima), My favorite things, At the Village Vanguard, Impressions, At Birdland e A love supreme, una suite in quattro movimenti nella quale la tendenza mistica dell'arte coltraniana trova la sua più compiuta espressione.
Con Mingus e Coltrane collaborò Eric Dolphy (1928-1964), che, affermatosi nel quintetto del batterista Chico Hamilton, esponente del j. californiano ''nero'', s'impegnò in una severa opera di ricerca e di sperimentazione su vari strumenti (il sax contralto, il clarinetto basso e il flauto), palesandosi come il più originale innovatore del linguaggio di Parker. Tra le sue opere si ricordano: Far cry (1960) con il trombettista Booker Little (1938-1961), Out to lunch (1964) ed Ezz-thetics (1961) con l'arrangiatore George Russell (n. 1923).
Ma il musicista che più di ogni altro orientava il j. nella direzione di una più ampia libertà dalle concezioni armoniche e ritmiche tradizionali era l'altosassofonista, e in seguito anche trombettista e violinista, Ornette Coleman (n. 1930), il quale, dapprima con un quartetto senza pianoforte in cui militarono il trombettista Don Cherry (n. 1936), il contrabbassista Charlie Haden (n. 1937) e i batteristi Eddie Blackwell (n. 1929) o Billy Higgins (n. 1936), e quindi con un trio formato dal contrabbassista David Izenzon (1932-1979) e dal batterista Charles Moffett (n. 1929), propose un j. libero, tendente all'atonalità, con strutture strofiche asimmetriche, ricco di pathos per il sound angoscioso del suo singolare sassofono di plastica (v. soprattutto gli struggenti Lonely woman, The beauty is a rare thing, Sadness e Broken shadows). Il manifesto della sua arte è rappresentato dal disco Free jazz (1960), un'improvvisazione collettiva, dal flusso sonoro sconvolgente, lontanissima da tutto il j. precedente, realizzata da un doppio quartetto, del quale faceva parte anche Dolphy.
Era nato il free jazz, che venne chiamato anche new thing; esso si impose rapidamente tra i giovani musicisti, specie tra quelli di colore, i quali lo caricarono di valenze politiche e, ispirati dallo scrittore LeRoy Jones, se ne servirono per protestare contro la segregazione razziale e contro la guerra del Vietnam, in un'operazione di fiancheggiamento artistico-culturale al movimento del Black Power, che era stata anticipata da Mingus e Roach, i quali nel 1960 avevano inciso rispettivamente il brano Fables of Faubus, contro il governatore razzista dell'Arkansas, e il disco We insist! Freedom now suite. Il musicista più impegnato sul versante del free jazz politico (detto anche great black music) fu senza dubbio il tenorsassofonista Archie Shepp (n. 1935), discepolo di Coltrane, autore, dapprima coi New York Contemporary Five e quindi con un sestetto, di brani come The funeral (1963), Rufus (1964), Malcom, Malcom, semper Malcom (1965), dedicato a Malcom X, e del lavoro teatrale The communist (1965).
Le principali caratteristiche del free jazz sono le seguenti: ritorno alla polifonia e all'improvvisazione collettiva, come nel New Orleans arcaico; improvvisazione libera, non più fondata sulle armonie di un tema; abbandono dello swing, e cioè del caratteristico 4/4 in levare; rifiuto delle tecniche strumentali accademiche e uso dello slap nel suonare il contrabbasso, le cui corde venivano schiaffeggiate (donde il nome), e del growl (lett. "grugnito") per i fiati; tendenza alla cacofonia e interesse per i rumori parassiti, in una sorta di j. ''concreto''.
I musicisti più rappresentativi del free jazz, al quale si interessarono varie case discografiche (la Fontana, la Impulse e soprattutto l'artigianale ESP), furono il trombettista Bill Dixon (n. 1925), che nel 1964 organizzò una serie di concerti sotto il provocatorio nome di October Revolution in jazz; il trombonista bianco Roswell Rudd (n. 1935), direttore, col sassofonista danese John Tchicai (n. 1936), del New York Art Quartet; il tenorsassofonista Albert Ayler (1936-1970), autore di pantomime rabbiosamente beffarde nelle quali marcette e fanfare venivano deformate e stravolte (per es. Ghosts), ma anche di brani di un lirismo violento come Spirits, Angels e Love cry, incisi tra il 1964 e il 1967; e il pianista Cecil Taylor (n. 1933), dallo stile magmatico e fortemente percussivo. Un ruolo a sé occupa il singolare pianistacompositore Sun Ra (Herman Blount, n. 1915), creatore di un free jazz ''astrale'', nel quale hanno gran parte danze rituali, effetti ottici e un cerimoniale bizzarro. Con Sun Ra collaborarono strumentisti di grande valore come i sassofonisti Marshall Allen (n. 1924), Pat Patrick (n. 1929) e John Gilmore (n. 1931).
Altri musicisti attivi sulla scena del free jazz furono il clarinettista Perry Robinson (n. 1938); i sassofonisti Prince Lasha (n. 1929), Dewey Redman (n. 1931), Jimmy Lyons (n. 1932), Giuseppi Logan (n. 1935), Marion Brown (n. 1935), Byron Allen (n. 1939), Robin Kenyatta (n. 1942), Pharoah Sanders (n. 1943), Noah Howard (n. 1943) e l'argentino Gato Barbieri (n. 1934), che poi cercò di fondere, a fini commerciali, j. e musica folklorica sudamericana; i pianisti Burton Green (n. 1937) e Dave Burrell (n. 1940); i bassisti Barre Phillips (n. 1934), Gary Peacock (n. 1935), Henry Grimes (n. 1935), Alan Silva (n. 1939) e Stafford James (n. 1946); i batteristi Sunny Murray (n. 1937), Stu Martin (1938-1980), Andrew Cyrille (n. 1939) e Mildford Graves (n. 1941).
All'interno del free jazz operava un gruppo di musicisti bianchi che si ricollegavano agli esperimenti di musica libera e atonale di Tristano, il quale fin dal 1949 aveva realizzato brani avanzatissimi come Intuition e Digression e nel 1953 aveva inciso lo Descent into the Maelström, che anticipava il pianismo magmatico di Taylor. Esponenti di tale indirizzo furono il trombettista Don Ellis (1934-1978) e il pianista canadese Paul Bley (n. 1932), che collaborò anche con Giuffre e Konitz in registrazioni di tipico free bianco, di estrema raffinatezza armonica e timbrica. Sulla sua scia si muoveva il pianista Denny Zeitlin (n. 1938); più originali il pianista Ran Blake (n. 1935) e il sopranista Steve Lacy (n. 1934), rigoroso improvvisatore, che predilige esibirsi da solo.
Gli artisti del free jazz costituirono un'associazione sindacale per sostenere la loro musica, osteggiata da gestori di locali, organizzatori di concerti e direttori delle grandi case discografiche, in quanto totalmente priva di aspetti commerciali: la Jazz Composer's Guild, da cui sorse la Jazz Composer's Orchestra, diretta dalla pianista Carla Bley (n. 1938) e dal trombettista austriaco Mike Mantler (n. 1943), che incise opere significative come le Communications ed Escalator over the hill (1968-71).
In Europa, dove molti musicisti americani di free jazz (tra cui il violoncellista Tristan Honsinger) si trasferirono, numerosi jazzisti si convertivano al nuovo linguaggio: gli inglesi Joe Harriott (1928-1973, giamaicano; sax contralto), Derek Bailey (n. 1930, chitarra), Lol Coxhill (n. 1932, sax soprano), Trevor Watts (n. 1939, sax contralto e soprano), leader dello Spontaneous Music Ensemble, Paul Rutherford (n. 1940, trombone), Evan Parker (n. 1944, sax soprano), Barry Guy (n. 1947, contrabbasso) e soprattutto John Surman (n. 1944, sax baritono), che può essere considerato il miglior esponente del j. contemporaneo europeo; i tedeschi Albert Mangelsdorff (n. 1928, trombone), Karl Berger (n. 1935, vibrafono), Gunter Hampel (n. 1937, vibrafono), Alexander von Schlippenbach (n. 1938, piano), direttore della Globe Unity Orchestra, e Peter Broetzman (n. 1941, sassofoni); il danese John Tchicai; gli olandesi Misha Mengelberg (n. nel 1935 a Kiev, ma naturalizzato olandese; piano), Han Bennink (n. 1932, batteria) e Willem Breuker (n. 1944, sassofoni e clarinetto); i francesi Michel Portal (n. 1935, sassofoni e clarinetto) e Jean-François JennyClark (n. 1944, contrabbasso); gli italiani Giorgio Gaslini (n. 1929, pianista e compositore), Mario Schiano (n. 1933, sax), Giorgio Buratti (n. 1935, contrabbasso) ed Enrico Rava (n. 1939, tromba).
Incise spesso con musicisti americani di free jazz, pur non essendo un esponente di tale corrente, il pianista sudafricano Dollar Brand (n. 1934), che creò un j. assai suggestivo grazie all'inserimento di elementi folklorici africani (v. Anathomy of a South African Village del 1972 e Soweto del 1978).
Al free jazz si accostò negli ultimi anni della sua vita anche John Coltrane, che, sciolto il vecchio quartetto, iniziò a collaborare con i musicisti della new thing, coi quali realizzò vari dischi (Ascension, Expression e Interstellar space, del periodo 1965-67), meno convincenti, tuttavia, dei precedenti.
Lontano dal free si tenne invece Miles Davis, che approfondì il discorso dell'improvvisazione modale con un nuovo quintetto, del quale facevano parte il sassofonista George Coleman (n. 1935), poi sostituito da Wayne Shorter (n. 1933), il pianista Herbie Hancock (n. 1940), il contrabbassista Ron Carter (n. 1937) e il batterista Tony Williams (n. 1945). Il complesso suonò una musica di altissimo livello, estetizzante e intessuta di preziosità timbriche, e incise dischi memorabili: My funny Valentine (1964) innanzitutto; e poi, tra il 1965 e il 1968, ESP, Miles smiles, Nefertiti e Filles de Kilimanjaro, col quale Davis incominciò ad avvicinarsi ai ritmi e alle atmosfere del rock. La svolta decisiva in tale direzione avvenne con l'album Bitches brew (1969), nel quale venivano impiegati strumenti elettrici e il suono della sua tromba, un tempo di cristallina purezza, era volutamente alterato dal pedale wah-wah. La musica distorta e violentemente percussiva di Bitches brew affascinò il pubblico giovanile di tutto il mondo e spinse Davis in un'irreversibile direzione commerciale, che ne segnò la fine artistica.
Seguendo l'esempio di Davis, molti musicisti si convertirono al jazz rock, detto anche fusion, e formarono complessi di successo: il Weather Report di Wayne Shorter e del pianista austriaco Joe Zawinul (n. 1932), il Return to Forever del pianista Chick Corea (n. 1941), gli Headhunters di Herbie Hancock, la Mahavishnu Orchestra del chitarrista inglese John McLaughlin (n. 1942), il Lifetime di Tony Williams, gli Steps Ahead del sassofonista Michael Brecker (n. 1949) e i vari gruppi dei chitarristi Ralph Towner (n. 1940), George Benson (n. 1943), Larry Coryell (n. 1943), John Scofield (n. 1951) e Pat Metheny (n. 1954); del pianista George Duke (n. 1946); dei bassisti Jaco Pastorius (1951-1987) e Stanley Clarke (n. 1951); del batterista Billy Cobham (n. 1944) e del percussionista brasiliano Airto Moreira (n. 1941). Tra i musicisti europei di jazz rock si affermavano soprattutto il francese Jean-Luc Ponty (n. 1941, violinista), il polacco Michal Urbaniak (n. 1943, violinista e sassofonista) e i norvegesi Jan Garbarek (n. 1947, sassofonista) e Terje Rypdal (n. 1947, chitarrista).
Il jazz rock, con il massiccio uso degli strumenti elettrici e dei ritmi binari, e la ricerca di effetti e di sonorità tali da catturare il pubblico giovanile, si allontanò subito dal j. autentico, divenendo una musica, a volte di buona qualità, visto il livello degli strumentisti che la suonavano, un tempo in gran parte jazzisti di vaglia, ma irrimediabilmente commerciale.
Ben più valido il j. prezioso e calligrafico proposto dal vibrafonista Gary Burton (n. 1943) e dal pianista Keith Jarrett (n. 1945), influenzato dalla musica ''dotta'' europea, ma soprattutto dal raffinato pianismo di Bill Evans e dalle sue incisioni con il grande contrabbassista Scott La Faro (1936-1961).
A continuare e approfondire gli esperimenti del free jazz erano i musicisti dell'Association for the Advancement of Creative Musicians, fondata a Chicago nel 1965 dal pianista Muhal Richard Abrams (n. 1930). I principali complessi della scuola chicagoana furono l'Art Ensemble of Chicago, formato dal trombettista Lester Bowie (n. 1941), dai sassofonisti Roscoe Mitchell (n. 1940) e Joseph Jarman (n. 1937) e dal contrabbassista Malachi Favors (n. 1937); gli Air del sassofonista Henry Threadgill (n. 1944); e il Revolutionary Ensemble del violinista Leroy Jenkins (n. 1932). Altri rigorosi sperimentatori furono il trombettista Leo Smith (n. 1941), il trombonista George Lewis (n. 1952) e il sassofonista Kalaparusha Maurice McIntyre (n. 1936). Ma il massimo artista di questa corrente musicale fu il sassofonista Anthony Braxton (n. 1945), le cui composizioni geometrico-matematiche costituiscono la punta più avanzata dell'avanguardia jazzistica.
Anche a New York il free jazz permaneva vitale, specie ad opera di un gruppo di musicisti, guidati dal sassofonista Sam Rivers (n. 1930), che cominciarono a riunirsi nelle soffitte (lofts) dei quartieri di Soho e di Lower East Side a sud del Greenwich Village e che nel 1976 organizzarono una serie di concerti pubblicati sotto il titolo Wildflowers. The New York Loft Jazz Sessions. Musicisti tipici del loft jazz, che, pur partendo dal free jazz, tendeva al recupero di elementi della tradizione come il blues e lo stesso swing, erano i sassofonisti Julius Hemphill (n. 1938), Oliver Lake (n. 1942), Hamiett Bluiett (n. 1942) e David Murray (n. 1955), fondatori del World Saxophone Quartet, un quartetto di soli sassofoni, Arthur Blythe (n. 1940), Frank Lowe (n. 1943) e Chico Freeman (n. 1949); il flautista James Newton (n. 1953); il pianista Anthony Davis (n. 1951); il violoncellista Abdul Wadud (n. 1947); e i batteristi Barry Altschul (n. 1943) e Charles Bobo Shaw (n. 1947).
In reazione alle obiettive complessità del free jazz - al presente rivitalizzato ad opera del Rova Saxophone Quartet, un altro quartetto di sassofoni, e anche dei sassofonisti John Zorn (n. 1953) e Tim Berne (n. 1954) − e al commerciale e deludente jazz rock, si è avuto dalla metà degli anni Sessanta a oggi un poderoso rilancio del jazz nelle sue forme più tradizionali: il nuovo Dixieland della World's Greatest Jazz Band, diretta dal trombettista Yank Lawson (n. 1911) e dal contrabbassista Bob Haggart (n. 1914), e del Soprano Summit, fondato dai sopranisti Bob Wilber (n. 1928) e Kenny Davern (n. 1935); e il mainstream o middle jazz dei trombettisti Harry Edison e Joe Newman e del sassofonista Eddie Lockjaw Davis, che intensificavano la propria attività, ai quali si affiancavano giovani talenti come il sassofonista Scott Hamilton (n. 1954) e il pianista Monty Alexander (n. 1944). Tornavano di moda le grandi orchestre grazie alle formazioni di Thad Jones (1923-1986, tromba) e Mel Lewis (1929-1990, batteria); di Kenny Clarke e del pianista francese Francy Boland (n. 1929); di Buddy Rich (1917-1987, batteria); di Louis Bellson (n. 1924, batteria); e ai Supersax del sassofonista Med Flory (n. 1926).
Nuovi cantanti s'imponevano sulla ribalta internazionale: Abbey Lincoln (n. 1930), Al Jarreau (n. 1940), Dee Dee Bridgwater (n. 1950), Bobby Mc Ferrin (n. 1950), Diane Schuur (n. 1953) e il gruppo vocale dei Manhattan Transfer. Il canto gospel era rivitalizzato da Aretha Franklin (n. 1942), l'erede di Mahalia Jackson.
Tuttavia, erano proprio l'hard bop e il West coast gli stili che più sapevano rinnovarsi grazie all'assimilazione di elementi del j. successivo (la modalità, il linguaggio di Coltrane, Bill Evans e McCoy Tyner, i tempi dispari che affiancavano il canonico 4/4, ecc.). Così proseguivano nella loro attività i Jazz Messengers di Blakey e gli altri hardboppers della vecchia generazione, mentre si affermavano nuovi strumentisti.
Tra i talenti impostisi soprattutto negli anni Settanta e Ottanta si segnalano i trombettisti Kenny Wheeler (n. 1930), Woody Shaw (1942-1989), Charles Tolliver (n. 1942), Tom Harrel (n. 1946), Jon Faddis (n. 1953), Wynton Marsalis (n. 1961), Terence Blanchard (n. 1962) e il giapponese Temmasa Hino (n. 1942); i sassofonisti Nick Brignola (n. 1936), Joe Henderson (n. 1937), Joe Farrell (n. 1937), Sal Nistico (1940-1991), George Adams (n. 1940), Bennie Maupin (n. 1940), Gary Bartz (n. 1940), Ronnie Cuber (n. 1941), Billy Harper (n. 1943), Pat La Barbera (n. 1944), Dave Liebman (n. 1946), Dave Schnitter (n. 1948), Steve Grossman (n. 1951), Bob Berg (n. 1951), Bobby Watson (n. 1953), Brandford Marsalis (n. 1960) e il giapponese Sadao Watanabe (n. 1933); i pianisti Ronnie Mathews (n. 1935), Kenny Barron (n. 1942), leader, col sassofonista Charlie Rouse, del gruppo Sphere, Don Pullen (n. 1944) e Mulgrew Miller (n. 1955); i contrabbassisti Chuck Israels (n. 1936), Steve Swallow (n. 1940), Eddie Gomez (n. 1944), Marc Johnson (n. 1953) e Charnett Moffett (n. 1967); il vibrafonista Bobby Hutcherson (n. 1941); i chitarristi Pat Martino (n. 1944), John Abercrombie (n. 1944), Bill Frisell (n. 1951) e Stanley Jordan (n. 1959); e i batteristi Paul Motian (n. 1931), Billy Hart (n. 1940), Jack De Johnette (n. 1942), Joe La Barbera (n. 1948) e Alvin Queen (n. 1950).
Un ruolo decisivo alla riaffermazione della linea bop ha rivestito l'altosassofonista Phil Woods, mirabile esecutore soprattutto di ballads - come Falling in love all over again (in Woodlore del 1955), Easy living (in Warm Woods del 1957), Time after time (in It's about time del 1961 col sestetto di Joe Morello) e Quintessence (nell'omonimo album del 1961 con l'orchestra di Quincy Jones) −, specie in seguito al ritorno negli Stati Uniti (1972).
Anche gli esponenti del j. californiano, da Rogers a Shank, da Cooper a Manne, riprendevano a pieno ritmo l'attività favoriti dal rilancio della Contemporary e dalla nascita della Concord e della Fresh Sounds, casa discografica spagnola molto interessata al West coast.
In questo revival del j. californiano si segnalavano i trombonisti Mike Barone (n. 1936) e Bill Watrous (n. 1936), i sassofonisti Joe Romano (n. 1932), Don Menza (1936), Frank Strozier (n. 1937) e Lew Tabackin (n. 1940), leader di un complesso di gran classe con la moglie, la pianista giapponese Toshiko Akiyoshi (n. 1929); i pianisti Frank Strazzeri (n. 1930), Mike Wofford (n. 1938) e George Cables (n. 1944); i contrabbassisti Chuck Domanico (n. 1944) e Bob Magnusson (n. 1947); e il batterista Jake Hanna (n. 1931). Un successo straordinario otteneva l'altosassofonista Frank Morgan (n. 1933), dopo anni di inattività, con una serie di dischi pregevoli.
Il musicista più notevole di questa seconda ondata del j. californiano è stato l'altosassofonista Art Pepper, il quale, dopo le incisioni degli anni Cinquanta e Sessanta (per le case Savoy, Tampa, Pacific Jazz, Omega e Contemporary), venne progressivamente rinnovando il suo stile in chiave espressionistica. Ed è proprio in questo artista, autore di capolavori quali But beautiful e You go to my head (in At Village Vanguard, voll. 2 e 3, del 1977), Diane (in So in love del 1979), Angel eyes (in Sideman del 1979), Close to you alone (in One september afternoon del 1980) ed Everything happens to me (in Roadgame del 1981), che il j. contemporaneo ha il suo interprete più alto.
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