Jazz
L'opinione dominante fra i critici e i cultori della musica j. è che alla fine del 20° sec. sia "più che mai difficile individuare nel jazz una linea di tendenza fondamentale. Non c'è mai stata, come oggi, una pluralità di situazioni e di orientamenti; ma ciò può essere interpretato anche come un segno di vitalità" (F. Fayenz, Il secolo del jazz, in Polillo 1997, p. 826). Una convinzione che con gli anni non ha perso di significato e conferma la tesi secondo la quale proprio la situazione di poliedrica frammentazione sia alla base della forza, spesso anche commerciale, del j. alle soglie del nuovo millennio. Inoltre il tempo, scavando distanze dai terremoti stilistici del passato, ha fatto da calmiere rispetto alle ansie e all'urgenza di innovazione e rivoluzione che hanno gravato su molti jazzisti. Con esse si sono attenuate anche le apprensioni, da parte di critici e addetti del settore, consistenti nel voler individuare figure dominanti in grado di guidare il j. verso inattesi orizzonti stilistici e nel voler accreditare ogni nuova forma espressiva legata al j. di nuovi nomi ed etichettature. Questo non solo perché all'interno del j. contemporaneo convivono realtà espressive molto diverse tra loro, tanto a livello stilistico quanto per la varietà dei linguaggi musicali di riferimento, ma anche per via del crollo delle ideologie legate a posizioni avanguardistiche e sperimentali.
Nel panorama attuale si constata un utilizzo meno specifico, e di conseguenza meno problematico, del termine jazz rispetto ai decenni passati, quando questo era stato rigettato a favore di espressioni come New thing (con il nascere del free jazz negli anni Sessanta) o Great black music (termine coniato negli anni Settanta in seno alla AACM, Association for the Advancement of Creative Musicians). Nessun genere musicale ha vissuto durante il Novecento la stessa molteplicità e radicalità di cambiamenti con la medesima velocità con la quale le ha vissute il jazz. Una specificità morfologica che, fino a poco tempo fa, è stata interpretata come un elemento interno al suo linguaggio e non alla sua storia.
Tra le caratteristiche principali che hanno investito il j. negli ultimi vent'anni, oltre al venir meno della profonda distanza che storicamente ha separato il j. statunitense da quello europeo, occorre segnalare l'elevata preparazione, non solo tecnica, dei suoi musicisti, spesso formatisi in jazz schools e in corsi dedicati all'interno di università e conservatori. L'accettazione del j. in tutta la sua ampiezza da parte del sistema culturale ha portato al riconoscimento ufficiale della sua importanza per il Novecento, e d'altra parte l'istituzionalizzazione della didattica è stata alla base della formazione di una eterogenea corrente di artisti del j. attuale, che si ispira a una matrice stilisticamente 'classica' di questo genere musicale. Oltre al trombettista W. Marsalis (n. 1961), cresciuto nei Jazz messengers di A. Blakey (1919-1990), tra gli antesignani nei primi anni Ottanta del Novecento del movimento di recupero della tradizione (un aspetto debole all'interno della storia evolutiva della musica j., la quale ha sempre mosso i propri sviluppi linguistici attraversando la tradizione ma non recuperandola), è sintomatica la celebrità raggiunta nei primi anni Novanta dal tenorista J. Henderson (1937-2001), la cui arte è stata riscoperta e rivalutata anche retrospettivamente. Tra i protagonisti del mainstream di inizio 21° sec. compaiono i pianisti McCoy Tyner (n. 1938), H. Hancock (n. 1940), C. Corea (n. 1941), K. Jarrett (n. 1945), M. Petrucciani (1962-1999), C. Chestnut (n. 1963), B. Mehldau (n. 1970), i sassofonisti L. Konitz (n. 1927), S. Rollins (n. 1930), W. Shorter (n. 1933), D. Liebman (n. 1946), M. Brecker (n. 1949), S. Grossman (n. 1951), J. Carter (n. 1969), J. Redman (n. 1969), i trombettisti T. Harrell (n. 1946), T. Blanchard (n. 1962), R. Hargrove (n. 1969), i batteristi J. DeJohnette (n. 1942), J. Chambers (n. 1942), A. Foster (n. 1944), il contrabbassista D. Holland (n. 1946), i chitarristi J. Hall (n. 1930), J. Scofield (n. 1951), le cantanti Dee Dee Bridgewater (n. 1950), C. Wilson (n. 1955), D. Krall (n. 1964).
Sotto il profilo della contaminazione e dell'avanguardia, territorio caratterizzato da differenze profonde sia per le specificità stilistiche dei diversi protagonisti sia per la varietà degli ambiti di ricerca perseguiti (spesso connessi con gli universi sonori dell'elettronica, campo quest'ultimo particolarmente sviluppato dal j. nordeuropeo), una delle espressioni più importanti emerse a cavallo degli anni Ottanta e Novanta del 20° sec. è stato il collettivo M-Base (macro-basic array of structured extemporization), guidato dal sassofonista S. Coleman (n. 1956) - con all'interno personaggi di spicco quali G. Osby (n. 1960) G. Allen (n. 1957) e la già citata C. Wilson - che ha elaborato un'articolata inte-grazione tra il rap (v. musica: Hip Hop) e la musica jazz. Di diversa impostazione, instancabile sotto il profilo della ricerca, è J. Zorn (n. 1953), sassofonista nei cui progetti confluiscono attitudini free, derive rock e musica klezmer (stile popolare sviluppatosi in Europa centro-orientale all'interno delle comunità ebraiche, principalmente chas-sidiche, in cui si incontrano ritmi e melodie di diverse culture musicali dell'area). Le intersezioni tra j. e tradizione classica hanno invece segnato gran parte dei progetti dell'ultimo decennio del pianista U. Caine (n. 1956; con rielaborazioni che vanno da J.S. Bach a W.A. Mozart, da R. Schumann a G. Mahler). Senza necessarie caratteristiche comuni, ma con la condivisa impostazione di muoversi oltre i confini classici del j. o all'interno della tradizione free, si citano i sassofonisti O. Colemann (n. 1930; autore, nel 1960, del disco-manifesto Free jazz), A. Sheep (n. 1937), R. Mitchell (n. 1940; che prosegue la sua attività con la storica formazione Art ensemble of Chicago), E. Parker (n. 1944), J. Surman (n. 1944), J. Garbarek (n. 1947), T. Berne (n. 1954), M. Gustafsson (n. 1964), C. Pine (n. 1964); i pianisti C. Taylor (n. 1929), C. Bley (n. 1938); il sassofonista e flautista H. Threadgill (n. 1944); la tromba D. Douglas (n. 1963); il clarinettista D. Byron (n. 1958); P. Brötzmann (n. 1941; ance); i clarinettisti e sassofonisti M. Portal (n. 1935), L. Sclavis (n. 1953), D. Murray (n. 1955); il contrabbassista C. Haden (n. 1937); i batteristi H. Bennink (n. 1942) e I. Mori (n. 1953); i chitarristi J. McLaughlin (n. 1942), B. Frisell (n. 1951), M. Ribot (n. 1954).
Quasi un'anomalia, per quanto riguarda l'ibridazione dei diversi linguaggi musicali, è invece quella delineatasi recentemente attraverso la trasposizione della grammatica jazz all'interno della popular music. Così deve considerarsi l'emergere negli ultimi anni di star della musica pop come N. Jones (n. 1979) e di una generazione di nuovi crooner, tra i quali spicca M. Bublé (n. 1975), che hanno divulgato un'idea di j. che utilizza congelati stilemi jazzistici all'interno della forma canzone e che non assegna un ruolo determinante all'improvvisazione (v. musica: Improvvisazione). Suscettibile di diverse considerazioni è invece la commistione tra j. e sonorità new age proseguita a fasi alterne dal chitarrista statunitense P. Metheny (n. 1954). Per quanto riguarda l'unione tra j. e rock, la fusion, la cui data di nascita si fa coincidere con la pubblicazione nel 1969 di Bitches brew di M. Davis (1926-1991), ha smarrito fortuna commerciale e propositività estetica, in parte per via della scomparsa nei linguaggi del rock dell'impiego di virtuosi tecnicismi in favore della ricerca sulla materia sonora. Di maggiore interesse si è rivelato lo scambio avvenuto tra alcune nuove forme del rock e territori musicali jazz e free jazz, come nel caso del progetto Original silence che ha visto dialogare, nel 2003, i jazzisti Bennink, Gustafsson e P. Nilssen-Love (n. 1974) con musicisti di estrazione rock come G. Picciotto (dei Fugazi), T. Moore e J. O'Rourke (dei Sonic Youth), T. Hessels (dei The Ex) e M. Pupillo (degli Zu). Continua poi il dialogo tra j. e tradizioni musicali non occidentali, con contaminazioni che spaziano dall'Est Europa all'Asia, dall'Africa (dove il pianista e compositore sudafricano A. Ibrahim (n. 1934) è potuto tornare in seguito alla fine del regime di apartheid nel 1989) alle culture musicali sudamericane, alcune delle quali - in modo particolare la bossa nova - vengono spesso affiancate al j. durante le rassegne musicali in considerazione di comuni radici afroamericane. A stretto contatto con la colta dimensione del tango di A. Piazzolla (1921-1992) opera il fisarmonicista francese R. Galliano (n. 1950), il quale, oltre ad aver unito i due linguaggi in un proprio stile espressivo, divide la sua produzione musicale tra progetti jazz e tributi alle musiche del compositore argentino.
Il Jazz in Italia
Negli ultimi anni il j. in Italia gode di una rinnovata vitalità grazie all'attività dei suoi protagonisti storici, alla maturazione di una nuova generazione di musicisti, alla vivacità della discografia indipendente (tra le cui etichette si segnalano Red Records, Philology, Egea, Via Veneto Jazz - Millesuoni, CAMjazz), a una cre-scente, anche se episodica, attenzione dei media e delle istituzioni (esemplare, nel 2005, la nascita della Casa del jazz di Roma) e alle diverse iniziative organizzate a livello nazionale. Sono numerosi, infatti, i festival che si svolgono in Italia, tra i quali spiccano per importanza Umbria Jazz (storica rassegna che si svolge a Perugia durante i mesi estivi), con l'edizione invernale Umbria Jazz Winter; il Clusone Jazz Festival; il Roccella Jazz Festival della città calabra di Roccella Jonica; in Sardegna, il festival Time in Jazz di Berchidda (curato artisticamente da P. Fresu); il Torino International Jazz Festival; il Bergamo Jazz (nel 2006 sotto la direzione artistica di U. Caine); il Roma Jazz Festival, il Villa Celimontana Jazz Festival e il festival Controindicazioni di Roma. Manifestazioni che, sempre più spesso, articolano le proprie programmazioni concertistiche al di fuori di un'area musicale propriamente jazz. L'attenuazione, in alcuni casi, delle attenzioni verso le forme più puristiche del j. è un fenomeno non soltanto italiano, che coinvolge anche gli aspetti compositivi, con la rivisitazione in chiave jazz di brani appartenenti a una dimensione popular, la strutturazione in forma di canzone di composizioni jazz, e la declinazione jazzistica di pop songs. Proprio la riscoperta e la rivisitazione del patrimonio melodico italiano, dalle arie d'opera alla canzone italiana, costituisce uno dei tratti caratterizzanti il linguaggio jazzistico italiano. Sintomatici in questo senso sono la fortuna e i riconoscimenti ottenuti dal trio, formatosi nel 1997, dei Doctor 3 (D. Rea, n. 1957, al pianoforte; E. Pietropaoli, n. 1955, al contrabbasso; F. Sferra, n. 1959, alla batteria) nel cui repertorio compaiono numerose riletture jazz di brani che spaziano dai Beatles a F. De André.
Il j. italiano vede sempre protagonista la tromba di E. Rava (n. 1939), tra i jazzisti italiani storicamente più noti all'estero, a cui è stato assegnato nel 2004 dalla Académie du jazz il premio Musicien européen récompensé pour son ceuvre in occasione dell'uscita dell'album Easy living pubblicato dall'etichetta tedesca ECM, a ulteriore conferma della crescente attenzione che il panorama jazzistico internazionale sta riservando al j. italiano. Sempre alla tromba si distingue Fresu (n. 1961), tra le figure di maggior spicco della generazione nata negli anni Sessanta; mentre ai sassofoni, strumento con il quale ha eccelso M. Urbani (1957-1993), si segnalano M. Schiano (n. 1933; tra i protagonisti insieme a Rava e a G. Gaslini, n. 1929, del free jazz italiano negli anni Settanta), G. Trovesi (n. 1944), M. Giammarco (n. 1952), J. Girotto (n. 1965), S. Di Battista (n. 1969), R. Giuliani (n. 1967), e il precoce (essendo nato nel 1989) talento di origini siciliane F. Cafiso, che Marsalis ha voluto con sé in un tour del 2003. Numerosa la schiera di pianisti, tra i quali il già citato Gaslini, F. D'Andrea (n. 1941), E. Pieranunzi (n. 1949), R. Marcotulli (n. 1959), S. Bollani (n. 1972); e poi A. Salis (n. 1950; pianoforte e fisarmonica); i batteristi A. Romano (n. 1941), R. Gatto (n. 1958); i contrabbassisti G. Tommaso (n. 1941), P. Damiani (n. 1952), F. Di Castri (n. 1955); G. Schiaffini (n. 1942; trombone); le cantanti T. Ghiglioni (n. 1956), A. Montellanico (n. 1959), M.P. De Vito (n. 1960); il gruppo Nexus e la Italian Instabile Orchestra, formazioni nate a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento.
bibliografia
R. Carr, A century of jazz, London 1997 (trad. it. Firenze 1998).
A. Polillo, Jazz. La vicenda e i protagonisti della musica afro-americana, a cura di F. Fayenz, Milano 1997 (1a ed. Milano 1975).
G. Giddins, Vision of jazz. The first century, New York 1998.
G. Michelone, Jazz. Origini, tradizione, classicismo, modernità, contemporaneità, Bologna 1998.
G.C. Roncaglia, Il jazz e il suo mondo, Torino 1998.
H. Mandel, Future jazz, New York 1999.
Jazz. Dagli anni Sessanta a oggi, Milano 2001.
Il jazz fra passato e futuro, a cura di M. Franco, Lucca 2001.