JULIEN, Jean-Antoine (Julien de Parme)
Nacque il 23 apr. 1736 a Cavigliano presso Locarno, in una famiglia di muratori; ma le sue origini e il suo stesso nome rimangono misteriosi.
Le notizie fornite dall'autobiografia, ultimata intorno al 1794 (Autobiographie, in C.-P. Landon, Précis historique des productions des arts…, I, Paris 1801, pp. 113-148: traduzione italiana, in G.M. Gubetta, Vita di Giuliano di Parma, pittore, scritta da lui stesso, Domodossola 1876, nuovamente pubblicata da Gubetta, in Craveggia, Comune della Valle Vigezzo (Ossola): sue memorie antiche e moderne, ibid. 1891, pp. 297-334), non collimano con gli studi condotti da Mondada e da Meyssard. Secondo l'autobiografia la madre, a causa dei maltrattamenti del marito, fuggì a Craveggia con lo J. ancora in fasce. L'atto di battesimo, rinvenuto nella parrocchia di Verscio, indica invece che a quella data, a Cavigliano, nacque certo Bartolomeo da Giacomo Ottolini e Lucia Bruzzetti di Golino, effettivamente una famiglia di muratori. A Golino sono inoltre attestate la nascita e la morte prematura di tale Jean-Antoine Julien (1738-41), figlio di notabili. Infine, mentre nell'autobiografia risulta che la madre dello J., tra il 1742 e il 1747 visse sempre a Craveggia in misere condizioni, altre fonti documentano nello stesso lasso di tempo, a Cavigliano, la nascita di altri figli dei coniugi Ottolini-Bruzzetti. L'autobiografia non fornisce alcuna indicazione riguardo al cambio di nome dell'artista, ma l'ipotesi avanzata è che lo J., figlio illegittimo, sia stato allontanato da Cavigliano probabilmente presso una nutrice e che qualcuno, forse il padre, abbia provveduto alla sua istruzione (Rosenberg, 1999; Meyssard).
Il pittore passò comunque la sua infanzia a Craveggia, dove, intorno al 1746, frequentò lo studio di G. Borgnis, un pittore locale, e dipinse alcuni soggetti sacri andati perduti. Nel 1747 si recò in Francia e, tra Châteauroux e Issoudun, si mantenne dipingendo ritratti. Nel 1756, per sottrarsi ai debiti, fuggì a Parigi ma, non riuscendo a farsi accogliere negli ateliers di C. Van Loo, di F. Boucher e di M.-A. Slodz, si recò a Meaux. Insoddisfatto di doversi dedicare al solo genere del ritratto, tornò in Italia giungendo a Genova nel 1759. Per circa sei mesi si fermò a Siena, dove dipinse un Muzio Scevola e una Madonna della Pietà (andati perduti) e, nella chiesa di S. Domenico, copiò un particolare dall'affresco del Sodoma (Giovanni Antonio Bazzi) con l'Estasi di s. Caterina (Parigi, Musée du Louvre), che sembra essere la più antica delle sue opere conservate (Rosenberg, 1999, p. 140). Nel 1760 giunse a Roma, dove, l'anno seguente, venne assunto dal marchese Guillaume-Léon du Tillot come pittore stipendiato dalla corte parmense. Dal 1761, ogni estate, fino alla rimozione del marchese dall'incarico di primo ministro (e al definitivo suo ritorno in Francia, alla fine del 1771), lo J. inviò a Parma almeno un dipinto l'anno (nell'autobiografia vengono citati tredici soggetti dei quali ne sono stati rintracciati nove: Meyssard). A Roma lo J., residente nella parrocchia di S. Andrea delle Fratte, con l'atelier in via della Vite, presso il collegio di Propaganda Fide, studiava d'inverno copiando dalle statue antiche e dai maestri della Rinascenza. Affascinato in un primo momento dagli affreschi di Michelangelo alla Sistina: "Mi pareva un gigante tra i pigmei" (Gubetta, 1891, p. 318), il pittore aderì precocemente alle tendenze neoclassiche elaborate in quegli anni da J.J. Winckelmann e da A.R. Mengs e integrò lo studio dell'antico con quello delle opere di Raffaello, di Polidoro da Caravaggio, dei Carracci e del Domenichino (Domenico Zampieri). Il primo dipinto eseguito per la corte di Parma, Una ninfa che taglia le ali ad Amore addormentato, è andato perduto. Il secondo, Amore in piedi mentre lancia una freccia, del 1762 (Parma, collezione privata: Rosenberg, 1999, p. 47), è una trasposizione in pittura delle indagini condotte dallo J. sulla statuaria classica. Tra il 1764 e il 1765, alla Galleria Farnese, incontrò il pittore olandese A.C. Lens divenendone amico, e con lui intrattenne una lunga corrispondenza (Rosenberg, 1997).
Per l'umore cupo e melanconico e per l'aria severa, lo J. fu soprannominato il "filosofo" dall'artista svedese J.T. Sergel, suo grande ammiratore, che lo considerava l'unico pittore degno di dipingere Omero. Lo J. amò con passione la pittura di storia e fu intransigente verso la maniera francese rappresentata da F. Lemoine, "pittore un po' al di sopra del mediocre", e dai suoi successori, "colpevoli" di ignorare i capolavori dell'antichità e di aver "tutto guastato in Francia" (Gubetta, 1891, p. 321).
Nel 1770 dipinse Giove e Teti e iniziò Enea e Acate nella foresta di Cartagine (entrambi a Firenze, Galleria d'arte moderna di Palazzo Pitti: Rosenberg, 1999, pp. 81, 83). L'anno successivo, a spese di Tillot, si recò a Venezia per copiare alcuni particolari da Paolo Veronese (perduti): ma più che da questo, lo J. venne impressionato, durante il viaggio di ritorno, dai dipinti di Giulio Romano a Mantova. Nel 1772 incontrò Mengs. Nel luglio dello stesso anno espose pubblicamente nel suo studio Giove addormentato tra le braccia di Giunone, commissionatogli dal principe A. Golicyn (del dipinto, perduto, esiste un'incisione di Sergel, conservata al Nationalmuseum di Stoccolma). Ad agosto espose invece la Battaglia tra i Romani e i Sabini interrotta dalle Sabine. L'opera, realizzata per il mercante e pittore di Anversa J.-N. Diercxsens, è l'unica firmata dall'artista anche con le iniziali "A.I." (Mamiano di Traversetolo, Fondazione Magnani Rocca: Rosenberg, 1999, pp. 95, 99). Nel maggio del 1773 lo J. abbandonò definitivamente Roma per raggiungere il marchese du Tillot a Parigi, portando con sé una collezione di dipinti, disegni e stampe che annoverava, tra le altre, opere di G. Reni, Annibale Carracci, S. Rosa, Veronese e C. Lorrain.
Nell'agosto del 1773 lo J. si stabilì in rue des Postes (l'attuale rue Lhomond). Appena arrivato si recò a visitare il Salon, ma ne uscì disgustato, reputando mediocri tutti gli artisti presenti (ibid., p. 19). Nello stesso anno espose pubblicamente nella sua abitazione due dipinti portati da Roma (forse Giove addormentato tra le braccia di Giunone e Le Sabine: Meyssard, p. 36). Il suo stile non venne a sua volta apprezzato dai maggiori pittori francesi: J.-B.-M. Pierre, primo pittore del re, che pure gli riconobbe delle "virtù e un parziale talento", e J.-M. Vien lo accusarono di voler imitare troppo Raffaello e di non rispettare le giuste proporzioni (Rosenberg, 1999, pp. 19 s.). Lo J. a Parigi rimase di fatto isolato, in contrapposizione con la pittura ufficiale; e ciò rese sempre più instabile la sua situazione economica. Tillot continuò a essere suo committente fino alla morte, sopraggiunta nel 1774. Da allora il maggior referente dello J. divenne Louis-Jules Barbon-Mancini-Mazarin, duca del Nivernais, presso il quale lo aveva introdotto lo stesso Tillot. L'artista rimase perennemente grato a Tillot e in suo onore, da quella data, benché non avesse avuto mai l'occasione di recarsi a Parma, tutte le sue opere vennero firmate "Julien de Parme". Nel 1774, mentre dipingeva a Parigi il suo primo quadro per il duca del Nivernais, Achille cui viene rapita Briseide per comando di Agamennone (perduto), gli accademici di S. Luca cercarono di interdirgli l'attività; ma, grazie all'intervento dello stesso duca, il tentativo non ebbe alcun seguito (Gubetta, 1891, p. 326). Tra i vari soggetti che lo J. dipinse per il duca è il Virgilio che legge l'Eneide davanti ad Augusto e Ottavia, del 1775 (Clermont-Ferrand, Musée des beaux-arts: Rosenberg, 1999, p. 113). Nello stesso anno dipinse Caracalla pugnala il fratello Geta tra le braccia della madre Giulia (Aix-en-Provence, Musée Granet: ibid., p. 109).
Nel 1777 l'artista, in difficoltà economiche, vendette al re un dipinto della sua collezione: il S. Giovanni Battista nel deserto di G. Reni (perduto: ibid., p. 23). Dopo molti mesi di inattività, nell'aprile del 1777, il duca del Nivernais gli commissionò una serie di tele destinate probabilmente al castello di Saint-Ouen: il Ratto di Ganimede, Diana ed Endimione, l'Addio di Ettore e Andromaca (Madrid, Museo nacional del Prado: ibid., pp. 122, 125, 127) e Aurora che rapisce Cefalo (ubicazione ignota: ibid., p. 123). Nel 1780 lo J. tentò di aggregarsi all'Académie royale de peinture et de sculpture; ma il disprezzo da lui dimostrato per la pittura francese fu la causa della sua bocciatura. Mengs, scomparso l'anno precedente, divenne il suo punto di riferimento contro lo stile dei pittori che dominavano la scena parigina come Pierre, Vien, J.-B. Le Prince o J.-H. Fragonard. Nel 1780 e nel 1787 due documenti attestano che lo J. ricevette una rendita vitalizia dal principe Charles-Joseph de Ligne; ma di essa non c'è menzione nella sua autobiografia (Meyssard, pp. 37 s.). Nel 1782 risulta essere suo allievo François Gerard (ibid., p. 38). Nel 1789 dipinse Meditazione (collezione privata: Rosenberg, 1999, p. 149), e, l'anno seguente, la sua ultima opera: Eva in piedi (perduta). Dal 1789, con la Rivoluzione, non ebbe più la sua rendita vitalizia, e la sua situazione economica divenne talmente critica da costringerlo, nel 1794, a vendere la sua collezione (ibid., p. 19).
Nel 1798, morì il duca del Nivernais e lo J., sempre più deluso e scoraggiato, scrisse: "io ho perduto in lui un padre, un benefattore, un amico" (Gubetta, 1891, p. 328). Quello stesso anno un gruppo di artisti composto da J.-L. David, C. Dejoux, F. Gerard, P. Julien, J.-G. Moitte e Pierre, rivolsero al ministro degli Interni François de Neufchâteau una domanda di sostegno per lo J. che viveva ormai nell'indigenza, e gli ottennero un aiuto provvisorio di 500 franchi (Meyssard, p. 39).
Il 28 luglio 1799 lo J. morì a Parigi senza essere riuscito a vendere Meditazione ed Eva, gli ultimi suoi dipinti, all'amministrazione delle Belle Arti che, apparentemente, sembrava essere ben disposta all'acquisto.
Seppure i dipinti dello J. risultino essere a volte impacciati, talune delle sue composizioni anticipano, in alcuni particolari (come nella Battaglia tra i Romani e i Sabini interrotta dalle Sabine) o nell'impianto globale della composizione (come nel Caracalla uccide suo fratello Geta tra le braccia di sua madre Giulia), quadri di analogo soggetto eseguiti da David. Quest'ultimo dipinto, in particolare, recava, fino al 1979, una firma apocrifa: "L. David pinxit 1789"; ma già dal 1900 la paternità dell'opera era stata ricondotta allo J. (Rosenberg, 1999, p. 108).
A causa delle origini incerte e di una definizione dello stesso J. ("dimoro in Francia fin dal 1774 quindi mi considero come francese: come pittore sono italiano": Gubetta, 1891, p. 294), l'artista venne spesso confuso con Simon Julien, pittore a lui contemporaneo (Müntz; Rosenberg, 1999, pp. 163-177).
Fonti e Bibl.: E. Müntz, Julien de Parme, peintre et collectionneur, in La Chronique des arts et de la curiosité, in Gazette des beaux-arts, 1891, suppl., pp. 52-54; G. Lombardi, Un quadro sconosciuto di Giuliano da Parma, in Aurea Parma, XXI (1937), pp. 133-136; J.J. Luna Hernández, En torno a Julien de Parme, in Boletín del Seminario de estudios de arte y arqueología, XLV (1979), pp. 524-530; G. Mondada, Un pittore di Cavigliano, in Boll. stor. della Svizzera italiana, XCI (1979), 1, pp. 1-20; Id., Il pittore di Cavigliano, ibid., 2-3, pp. 1-14 (comprende una traduzione dell'autobiografia); P. Rosenberg, Julien de Parme (1736-1799) ou deux esthétiques irréconciliables, in Études offertes à André Chastel, Roma-Paris 1987, pp. 571-580; M. Fornari, Julien de Parme, in La pittura in Italia. Il Settecento, II, Milano 1990, pp. 752 s.; D. Gnemmi, La pittura di Julien de Parme alle origini del pensiero classico di David e di Ingres (1776-1811), in Boll. stor. per la provincia di Novara, LXXXV (1994), pp. 751-777; P. Rosenberg, Julien de Parme (1736-1799), in Quaderni di Parma per l'arte, 1997, n. 3, pp. 117-178 (contiene la traduzione italiana integrale della corrispondenza e dell'autobiografia); Julien de Parme 1736-1799 (catal.), a cura di P. Rosenberg, Milano 1999 (catalogo completo delle opere dello J. con ulteriore bibl.); J. Meyssard, Biografia di J.-A. J., ibid., pp. 33 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIX, p. 306; The Dictionary of art, XVII, pp. 682 s.