Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Ambizioso, Lamarck ambisce al riconoscimento da parte della comunità scientifica e inizialmente rifiuta di prendere posizione a favore dell’ipotesi trasformista. Fermamente legato alla sua concezione fisico-chimica della vita, nonostante tutti i problemi teorici ed espositivi, le sue idee sulla trasformazione progressiva delle forme di vita e sulla generazione spontanea hanno grande fortuna a partire dai primissimi anni del secolo.
La vita e il sistema fisico-chimico
Rampollo squattrinato di una famiglia della piccola aristocrazia provinciale, Jean-Baptiste Lamarck intraprende dapprima la carriera militare, abbandonando gli studi. L’ozio della vita di guarnigione a Tolone e il desiderio di esibire interessi aristocratici lo porta a interessarsi di botanica e forse risale a quel periodo la sua prima collezione di conchiglie.
Lasciato il servizio per malattia, si trasferisce a Parigi in cerca di fortuna. Apprendista presso un farmacista, studente di medicina, impiegato presso uno studio notarile, il giovane Lamarck rivendica il proprio rango di aristocratico dedicandosi alla gentile occupazione degli studi botanici, divenuti di gran moda anche grazie all’esempio delle esclusive gite di erborizzazione guidate da Jean-JacquesRousseau; nel frattempo Lamarck arrotonda le proprie magre entrate con un piccolo commercio di conchiglie di specie viventi e fossili.
La passione per la botanica lo porta in contatto con l’entourage del conte di Buffon, intendente del Jardin des Plantes e amico di Madame Turgot, ma – eccezion fatta per Diderot – personaggio non molto amato dai philosophes. Il progetto lamarckiano di una flora francese in chiave antilinneana piace molto a Buffon, nemico acerrimo di Linneo, che a spese della corona e a beneficio dell’autore, fa stampare la Flora francese (1778). Nel 1779, il successo dell’opera apre a Lamarck le porte dell’Académie des Sciences come membro aggiunto; ne diviene associato nel 1783, ed effettivo nel 1790. Dal 1779 al 1794 Lamarck pubblica solo opere di botanica, ma non nasconde ai lettori che ben altre sono le sue ambizioni, tratteggiando qua e là gli elementi di un complesso sistema fisico-chimico; Lamarck vi lavora già dal 1776 e nel 1781 presenta una lunga memoria all’Académie des Sciences, accolta nell’indifferenza generale. Tollerato dai botanici – e non sempre di buon grado – Lamarck è inviso a Lavoisier e al gruppo dei fisici e dei matematici, in quanto protetto di Buffon e tipico rappresentante del genere “romanzo filosofico”: agli occhi di molti, una memoria che denuncia gli errori della moderna chimica e della fisica-matematica non merita neppure una risposta.
Lamarck attende l’instaurazione della Repubblica giacobina e l’abolizione dell’Académie (1793) per pubblicare il suo trattato fisico-matematico, Ricerca sulle cause dei principali fatti fisici (1794), dedicandolo a Jean-Paul Marat che ha analoghe ragioni di scontento verso la nobile istituzione, e al popolo francese liberato. Il mondo di Lamarck è composto da pochi, antichissimi stati della materia, o elementi, (aria, acqua, terra, fuoco) ed è animato da un ristretto numero di principi: la forza di gravitazione newtoniana e il principio vitale. La vita, spiega Lamarck, non è un ente, non è esterna alla natura e non rimanda ad alcun creatore, ma deve essere considerata alla stessa stregua della forza di gravitazione, un principio conosciuto per i suoi effetti, non ulteriormente intelligibile, eppure ben più potente della gravitazione stessa. Solo la vita, infatti, è in grado di comporre in diversa misura i quattro elementi: ogni minerale, ogni composto chimico inorganico e organico deve la propria esistenza al potere della vita. I minerali, secondo Lamarck, altro non sono che i resti di organismi abbandonati dalla vita, resti in continua trasformazione, che tendono inesorabilmente a tornare allo stato di elemento primario.
Se i minerali sono soggetti a continue trasformazioni, le specie viventi sono invece immutabili, secondo Lamarck, né si può dare generazione spontanea, in quanto gli elementi materiali tendono sempre a tornare al loro stato e sono solo capaci di disgregazione, mai di aggregazione. Ma, se tutte le montagne, le rocce, i continenti interi sono il prodotto dell’immane opera delle forze della vita, dove vivevano i primi organismi? Lamarck rifugge con disdegno la legittima obiezione, affermando che non si dà scienza degli inizi, inscrutabili all’ingegno umano.
Neppure la Repubblica giacobina accoglie con favore il romanzo filosofico di Lamarck.
La morte di Lavoisier, ghigliottinato perché esattore delle tasse, non impedisce ai suoi allievi – in maggioranza ferventi giacobini – di occupare posizioni influenti nel settore della ricerca e dell’insegnamento, così al Jardin des Plantes, trasformato nel 1793 in Muséum National d’Histoire Naturelle, a Lamarck viene negata una delle cattedre di botanica per ferma opposizione dei colleghi, e gli viene invece conferita quella non molto apprezzata degli animali invertebrati, termine diffuso dallo stesso Lamarck. Alla ricostituzione dell’Académie nel 1795, con il nome di Institut de France, gli oppositori della nuova chimica, come Lamarck, si trovano ancora una volta isolati.
Mentre la Francia si avvia sul cammino del consolato e dell’Impero napoleonico, Lamarck e un buon numero di seguaci di Buffon, in posizione minoritaria all’interno delle istituzioni scientifiche, possono tuttavia contare su un pubblico di curiosi di scienze naturali che non sono più in grado di seguire i progressi delle nuove scienze matematiche, fisiche e chimiche, e proprio per questo amano acquistare edizione dopo edizione le opere di Buffon, e in genere testi che annunciano nuove teorie in grado di spiegare l’universo, la natura e l’uomo.
La revisione del sistema fisico-chimico
Le ambizioni di Lamarck oscillano tra i due poli della specializzazione e della tradizione filosofica buffoniana e, mentre ambisce al riconoscimento da parte dell’establishment scientifico, lo infastidiscono le attenzioni benevole dei buffoniani che lo invitano a prendere la guida della scuola. Così, quando nel dibattito sull’estinzione delle specie o sulla loro trasformazione, scatenato dalla scoperta del mammut congelato nelle pianure della Siberia, buona parte dei buffoniani si schiera contro Cuvier, sostenitore dell’immutabilità delle forme di vita, e a favore di un’ipotesi trasformista viene richiesto un parere a Lamarck, questi rifiuta di prendere posizione.
Tra il 1796 e il 1799 Lamarck compie il suo sforzo maggiore, ingaggiando battaglia contro la nuova chimica, ma alle sue iterate accuse e provocazioni la risposta è ancora una volta il silenzio e quando Lamarck prende a leggere le sue memorie all’Institut, gran parte dei colleghi si allontana; dopo le sedute – non ne perde una, per non rinunciare al gettone di presenza – Lamarck viene visto cenare da solo, in un modesto locale.
Il 1799 è un anno molto importante per Lamarck: agli inviti a riconsiderare la propria concezione della vita, per ammettere la trasformazione delle specie e la generazione spontanea, egli risponde con una profonda revisione del proprio sistema fisico-chimico, che lascia tuttavia intatta l’opposizione alla nuova chimica e il principio secondo il quale tutti i minerali e i composti chimici sono i resti di organismi viventi.
Le ricerche di geologia che comunica all’Institut a partire dal 1799 – ne sospende la lettura per i lazzi dei presenti – o di idrogeologia convincono Lamarck che la superficie della Terra è costantemente dilavata, spezzettata, scavata dall’azione dell’elemento acqua, sotto forma di pioggia, gelo, fiumi, come sostiene nell’opera del 1802 dal titolo Idrogeologia. Per analogia, Lamarck concepisce l’idea che i fluidi organici, se opportunamente provocati, abbiano il potere di scavare nuovi percorsi nella materia organica; infatti, un animale che si trova a dover fronteggiare condizioni di vita nuove e sfavorevoli deve necessariamente sforzarsi di sopravvivere: nei termini della dinamica dei fluidi organici di Lamarck, l’azione più sollecita di un organo richiamerà maggiore quantità di fluidi nutritivi e nervosi, l’organo si svilupperà e si modificherà di conseguenza.
Nella primavera del 1800, Lamarck annuncia le nuove tesi nel discorso di apertura delle lezioni che tiene ogni anno al Muséum, senza tuttavia affrontare i dettagli della nuova teoria; i buffoniani, che lo avevavo incitato a pronunciarsi a favore della trasformazione delle specie, si offendono per questa tarda conversione, presentata come una novità assoluta.
Lamarck trova, però, maggiore difficoltà ad accettare il principio della generazione spontanea che pare costringerlo a rinunciare alla centralità della vita nel suo sistema fisico-chimico; in effetti, egli rinuncia solo a considerare la vita come un “principio” e propone di definire i fenomeni vitali come un tipo del tutto speciale di movimenti, in cui l’elemento del fuoco – il più attivo – gioca un ruolo centrale. L’elemento del fuoco appare in diverse forme, dal calorico alla luce, dall’elettricità al fluido nervoso, e – secondo Lamarck – è proprio il calore che favorisce la costituzione delle generazioni spontanee, organismi unicellulari in cui si instaura un moto di sistole e diastole per l’azione della temperatura ambientale, e un primo movimento di fluidi che progressivamente dota l’organismo di organi e di facoltà.
Egli è convinto che, negli animali in cui compare il sistema nervoso, sia il fluido nervoso stesso, rapidissimo e dotato di grande capacità di penetrazione, a guidare il processo di adattamento all’ambiente. Le stesse funzioni intellettuali umane non sarebbero che il risultato di un complesso sistema di idrodinamica dei fluidi nervosi: la volontà, l’istinto, la memoria sono per Lamarck fenomeni assolutamente materiali.
Lamarck affida le sue nuove idee sulla vita, sulla generazione spontanea e sulla trasformazione progressiva delle forme di vita a un gruppo di opere pubblicate nel 1802, nel 1809 e nel 1815. Nelle Ricerche sull’organizzazione dei corpi viventi del 1802 – l’opera meno letta, ma la più importante per capire lo sviluppo della teoria lamarckiana – annuncia di stare lavorando a una nuova scienza, la biologia, che insieme alla sua idrogeologia e alla meteorologia (ancora in via di definizione) avrebbe portato alla costruzione di una grande fisica terrestre: ai contemporanei di Lamarck non sfugge certo la sua ambizione di presentarsi come il Newton delle scienze naturali.
In realtà, né la biologia né la meteorologia vedono mai la luce; Lamarck, infatti, pubblica solo una serie di almanacchi di previsione del tempo che, dopo una discreta vendita iniziale, risultano presto superati, non tanto per il disprezzo di Napoleone – come vuole un mito storiografico duro a morire – quanto per le inevitabili smentite che l’autore candidamente riconosce, contravvenendo a una delle regole fondamentali del genere.
La Filosofia della zoologia del 1809 e il primo volume della Storia naturale degli animali senza vertebre del 1815, in assoluto l’opera biologica più letta di Lamarck, contengono precisazioni e illustrazioni della teoria enunciata nel 1802 sull’organizzazione dei corpi viventi, ma Lamarck non spera più di sviluppare appieno la sua biologia, quella scienza in grado di spiegare come la dinamica dei fluidi organici sia in grado di produrre tutti i sistemi di organi conosciuti, a partire dall’organismo unicellulare generato in qualche tiepida laguna. Le contraddizioni e le incertezze rimangono tutte: dove si è generato il primo organismo vivente? Qual è il destino delle generazioni spontanee che si producono a tutt’oggi? E, se non vi è un piano nella natura, un fine da raggiungere, come Lamarck ribadisce a più riprese, perché diverse generazioni spontanee non danno vita a diverse filiazioni di esseri, in altre parole, perché c’è solo un albero della vita e non tanti diversi? La retorica espositiva diviene più confusa: Lamarck annuncia l’esistenza di un principio che tende a complicare incessantemente gli organi, dando così spazio a tutte le interpretazioni vitalistiche del suo pensiero, per riaffermare – poche righe più avanti – che ogni livello di complessità può essere raggiunto solo grazie all’azione costante di semplici principi di dinamica dei fluidi e che in natura non esiste alcuna tendenza o fine.
La fortuna
A partire dal 1800 Lamarck si costruisce una meritata fama di grande esperto di invertebrati, per due decenni sicuramente il più grande esperto europeo.
L’uomo che nega la permanenza delle specie dimostra di possedere la tenacia e l’abilità per descriverne migliaia e migliaia. Con l’affermarsi della moda per la geologia – che per alcuni decenni soppianta il favore del pubblico colto per scienze quali la botanica – molti naturalisti iniziano a percorrere le contrade d’Europa per ricostruire gli scenari di mondi perduti. Le conchiglie fossili e viventi divengono ben presto gli orologi geologici più affidabili e più abbondanti; per la sua utilità nelle ricerche geologiche, l’opera di Lamarck che descrive e identifica migliaia di specie di conchiglie conosce allora un successo straordinario; così, il primo volume della Storia naturale degli animali senza vertebre, con le sue contraddizioni e le sue esitazioni, costituisce per molti l’unica fonte di informazione per conoscere le teorie di Lamarck.
Nonostante tutti i problemi teorici ed espositivi, come il legame con teorie fisiche e chimiche che sembrano sempre più desuete e irragionevoli, le idee di Lamarck ottengono grande fortuna a partire dai primissimi anni del secolo, e già intorno al 1820 sono note e discusse – spesso clandestinamente – per le accuse di materialismo e ateismo che gli vengono rivolte dagli Urali agli Stati Uniti, dall’Inghilterra all’Italia.
La paura che una sintesi di radicalismo artigiano e borghese trovi nella teoria della trasformazione delle specie un cavallo di battaglia contro il cristianesimo – e le corone che ideogicamente sostiene nell’Europa della Restaurazione – moltiplica le denunce contro il lamarckismo, assicurandone in realtà una larga diffusione. Dalla confutazione di Lamarck ad opera di Charles Lyell, contenuta nel secondo volume dei Principi di geologia (1832), inizia il dibattito scientifico e ideologico sulle specie, e Darwin è quindi in grado di capire gli errori da evitare per arrivare a una teoria che sia accettata dai colleghi scienziati. La fortuna di Lamarck, o meglio, delle diverse e disparate interpretazioni che ne sono state offerte e se ne offrono, continua ai giorni nostri ad opera di gruppi di naturalisti antidarwiniani che credono così di poter tornare alle vere radici dell’evoluzionismo moderno.