MOLIÈRE, Jean-Baptiste Poquelin
Nato a Parigi verso la metà di gennaio 1622 (fu battezzato il giorno 15, col nome di Jean; quello di Jean-Baptiste gli fu dato dopo la nascita di un altro fratello, chiamato Jean egli pure); suo padre, Jean Poquelin, era mercante tappezziere e apparteneva alla borghesia dei traffici, operosa e agiata: nel suo stesso ceto aveva scelto la sua sposa, Marie Cressé, da cui ebbe, dopo il primogenito Jean, altri cinque figli; nel 1631 ottenne, cedutogli dal fratello Nicolas, l'ufficio di tappezziere ordinario del re.
Il giovinetto (che assumerà il nome di Molière assai più tardi, dopo essersi dato al teatro: quel nome compare per la prima volta in un atto del 28 giugno 1644) fu allevato con decoro signorile; studiò nel celebre collegio parigino di Clermont, retto dai gesuiti, e un solido fondo di cultura umanistica è innegabile nell'opera stessa del M., il quale attese a una traduzione in versi del poema di Lucrezio, seppe cogliere da Orazio uno spunto delicato per il Dépit amoureux e aveva familiari i commediografi latini. La tradizione vuole ch'egli frequentasse le lezioni del filosofo P. Gassendi, non è certo e nemmeno probabile, ma la supposizione si accorda con una tendenza di spirito, libero e spregiudicato, che fu riconosciuta assai presto nel M. Fece in seguito, almeno pro forma, come tanti altri giovani del suo tempo, gli studî di diritto; né pare che avesse rinunciato a continuare il mestiere del padre, se nel primo semestre del 1642 si recò, quale tappezziere della casa reale, a Narbona, durante un viaggio di Luigi XIII. Frattanto, s'era dato a praticare certi attori parigini, e specialmente la famiglia Béjart, in cui brillava la giovine Madeleine, donna vivace, sensuale, energica; il M., ch'era più giovine di quattro anni, si strinse a lei con intima simpatia, prese a vagheggiare e a gustare la vita di teatro, e il 6 gennaio 1643 riceveva dal padre la somma di 630 lire come parte sua sull'eredità della madre (morta fin dal 1632) e anticipazione su quella del padre, al quale rinunciava ogni diritto sulla carica di tappezziere del re, sì che potesse disporne a favore di un altro figlio. Il 30 giugno 1643 per atto notarile rogato in casa Béjart, Molière, Madeleine ed altri della sua famiglia, insieme con un piccolo gruppo d'attori, costituivano una compagnia comica sotto il nome di "Illustre Théâtre"; affittarono un locale vicino alla porta di Nesle, e, mentre lo si allestiva per gli spettacoli, diedero qualche recita in provincia (a Rouen, nel mese di novembre). A capo d'anno del 1644 l'Illustre Théâtre affrontava il pubblico parigino, con un repertorio in prevalenza tragico: la Béjart era una buona attrice drammatica, e il M. si ostinò a lungo a recitare le parti serie ed eroiche. L'esito dell'impresa fu mediocre; la compagnia tentò fortuna in un altro teatro (alla Croix Noire); ma era gravata di debiti, e il M., nell'estate del 1645, veniva per questi condotto in prigione. Il padre pagò del suo e regolò a poco a poco la situazione finanziaria del M., il quale però non abbandonò il teatro: si trasferì, con Madeleine, in provincia ed entrò nella compagnia diretta da C. Dufresne che recitava a Bordeaux, sotto la protezione del duca Bernardo d'Épernon, governatore della Guienna; la compagnia peregrinò in seguito a Tolosa, Albi, Carcassona. Un documento del 23 aprile 1648 attesta la presenza del M. a Nantes; un altro, del 10 gennaio 1650, a Narbona; la leggenda ha colorito di aneddoti il soggiorno probabile, in un paese o nell'altro, della compagnia comica; il M. ne divenne il capo, nella seconda metà del 1650, e nell'autunno recitava a Pézenas durante la sessione degli stati generali di Linguadoca. Dopo altre soste in Provenza e nel Delfinato, alla fine del 1652 il M. era a Lione, dove un suo compagno, Du Parc, sposava la Marquise, che sarà poi la celebre attrice contesa fra i grandi teatri e i grandi poeti di Parigi. Da Lione, che rimase per varî anni il centro d'azione della compagnia, questa si spinse di nuovo sino a Pézenas e a La Grange, dove il principe Armand de Conti le accordò una pensione, col diritto d'intitolarsi al suo nome; al seguito del Conti, il M. passò a Montpellier fra il 1654 e il 1655; nel carnevale del 1655, eseguì con i suoi attori il balletto degli Incompatibles, su un testo poetico a cui forse collaborò egli stesso. Nuovi ritorni a Lione (e quivi, nel 1655, la prima rappresentazione dell'Étourdi); nuove stagioni a Pézenas, ad Avignone, a Bordeaux, a Béziers, dove, nel dicembre 1656, ebbe luogo la prima del Dépit amoureux. Ma il principe, rinsavito dalle molte sue dissipazioni, e divenuto austero e arcigno, ritolse la sua protezione e il suo nome agli attori; il M. girò ancora la provincia, Digione, Avignone, Grenoble; e infine gli parve tempo di riavvicinarsi a Parigi. Nell'estate del 1658 era a Rouen, e col favore di autorevoli personaggi otteneva la protezione dell'unico fratello di Luigi XIV, e per la sua compagnia il titolo ufficiale di "Troupe de Monsieur". Il 24 ottobre 1658 il M., ritornato a Parigi dopo un'assenza di tredici anni (interrotta soltanto da brevi visite, per ragioni personali, nella primavera. del 1646 e nel 1651), esordiva nella Sala delle guardie, al Louvre (cioè a palazzo reale) dinnanzi a tutta la corte con la recita di una tragedia, il Nicomède di Corneille, seguita da una farsa (oggi perduta) Le Docteur amoureux; il 2 novembre successivo iniziò le rappresentazioni pubbliche al teatro del Petit-Bourbon. Nel repertorio tragico - che allora contava a Parigi attori veramente eccellenti, e molto amati dal pubblico, nella compagnia dell'Hotel de Bourgogne - il M. non ebbe alcun successo: lo raccolse, invece, facile e caloroso, quando riportò sulle scene L'Étourdi e Le Dépit amoureux.
Vincendo le ostilità dei comici rivali, e le difficoltà interne della sua compagnia (da cui uscì, per passare al teatro del Marais, la Du Parc, sostituita dalla Du Croisy), il M. si consolidò a Parigi e il 18 novembre 1659 presentava una commedia nuova, Les Précieuses ridicules, che levò il campo a rumore e parve aprire - come fu difatti - la via maestra alla grande commedia francese.
Nella produzione comica, che aveva portato fortuna al M. in provincia, e ch'egli sfruttò ancora a Parigi, assecondando il gusto del pubblico, erano comprese molte farse: sono quasi tutte perdute, e non conosciamo se non il titolo di alcune: Gros-René écolier, Le Docteur pédant, Gorgibus dans le sac, Plan plan, Les trois docteurs, ecc. Ci restano due scenarî, i cui titoli corrispondono a quelli di farse recitate dal M. e che possono rappresentarci, se non il suo lavoro stesso, il genere in cui ebbe a esercitarsi come attore e autore novizio: La jalousie du Barbouillé e Le Médecin volant; il genere risente della commedia italiana dell'arte e non esclude i lazzi più buffi e giocosi: ed è notevole che la trama delle due farse presenti nomi e situazioni sceniche che ritorneranno più volte nel teatro del M., soprattutto in Georges Dandin e nel Médecin malgré lui. Le due commedie composte e rappresentate in provincia, l'Étourdi e Le Dépit amoureux, procedono anch'esse dalla commedia italiana (la prima dall'Inavvertito overo Scapino disturbato e Mezzetino travagliato di Nicolò Barbieri; la seconda dall'Interesse di Nicolò Secchi); il M. mirava soprattutto a un intreccio di scene rapido, d'una gaiezza travolgente, a una vibrazione comica, di cui i personaggi, o piuttosto le maschere, non erano che l'occasione e il mezzo.
E anche Les Précieuses ridicules s'impostano su un argomento farsesco: la sostituzione di due valletti, spiritosi ma volgari, ai gentiluomini loro padroni per vendicarli, presso due pettegole "preziose", della sgarbata accoglienza che queste avevano loro fatta; i caratteri sono anch'essi elementari e sommarî; ma la commedia si anima di un brio mordente nella satira del costume e si snoda con chiarezza e semplicità intorno a un tema centrale, delineando la maniera che sarà propria del Molière.
L'attacco contro le affettazioni del preziosismo nella società elegante, imitata con maggiore goffaggine dalle signore borghesi, suscitò proteste e polemiche; un tal Somaize oppose alla commedia del M. Les véritables Précieuses, accusando il M. di aver plagiato una precedente Précieuse dell'abate de Pure; altre scenette satiriche e libelli invelenivano il contrasto, dal quale il M. uscì col favore di quanti invocavano un teatro e una poesia più spontanea, più limpida, più viva: egli prendeva il suo posto in quella generazione letteraria che fu detta del 1660, insieme col Boileau, che doveva tracciarne l'idea nell'Art poétique, con il La Fontaine e il Racine.
Un nuovo successo riportò il M. con Sganarelle ou le cocu imaginaire, rappresentato per la prima volta il 28 maggio 1660: sosteneva egli stesso la parte del protagonista. Questa volta, nel viluppo della farsa e con i tipi convenzionali della commedia dell'arte, il M. si accostava a quella figurazione comica dei difetti coniugali, dovuti a un errore psicologico, a una mania, a una qualsiasi falsità di rapporti, su cui il suo spirito di osservatore, venato di pessimismo, si approfondirà con evidente predilezione. E, dopo una commedia eroica di argomento spagnolo, ma derivata da un dramma italiano di P. Cicognini, Dom Garcie de Navarre ou le Prince jaloux (rappresentato il 4 febbraio 1661 senza alcun successo), il M. riprese il suo Sganarello nell'École des maris (24 giugno 1661), beffando le illusioni gelose di chi tenta, a suo danno, di comprimere gl'impulsi naturali della giovinezza e dell'amore, raffigurati nella coppia d'Isabella e Valerio. Les Fâcheux, allestiti in pochi giorni per una festa che il soprintendente Fouqué offriva al re nel suo splendido castello di Vaux (17 agosto 1661), sono una comédie-ballet, e per così dire, una "rivista" di macchiette di seccatori, che sfilano in un giuoco scenico leggiero e arguto. La musica era di P. Beauchamps.
Nel gennaio del 1662, il M. si stabiliva al teatro del Palais-Royal; e il 20 febbraio dello stesso anno, sposava la ventenne Armanda Béjart, sorella della sua buona e vecchia amica Maddalena.
Sorella, dissero i nemici del M., dinnanzi allo stato civile, ma in realtà figlia; e i più credettero che fosse così: un'attenta revisione dei documenti rimasti e di tutte le testimonianze dei contemporanei dimostra che Armanda poteva essere realmente la sorella di Maddalena; ove ne fosse stata la figlia, il padre probabile sarebbe stato un ricco signore, il conte di Modena, ch'era il suo amante a quel tempo. Ma s'intende come una simile voce, diffusa fra la gente di teatro, i pettegoli e i maligni, abbia dato luogo ad accuse che il M. sdegnò di raccogliere. Di più: quelle nozze, col divario di vent'anni fra i coniugi, celebrate dopo l'École des maris e prima dell'Ècole des femmes, ispirarono i più varî commenti intorno al rapporto che si deve stabilire fra il M. uomo e il M. poeta: commenti in cui la critica moderna si è troppe volte sviata. Una nota d'amarezza che traspare dalle sue commedie, più sensibile nei capolavori scritti dopo questo periodo, si volle attribuire a una gelosia repressa, a un segreto spasimo del cuore; e qui la fantasia può darsi libero corso, una critica seria deve però interpretare l'arte del M. e il suo clima morale non già movendo da alcuni dati esterni e fuggevoli, ma affrontandola nel suo complesso, nella sua piena e coerente ricchezza. E anche restando nella storia psicologica del M., diciamo che l'amore per Armanda n'è un episodio, piuttosto che il fulcro: i contrasti dell'arte, la sua passione di vivere, insidiata da un male organico e sempre più grave, esasperata da uno scetticismo intellettuale che a un dato momento s'infiltrò nella sua ispirazione d'artista, ci offrono altrettanti caratteri per il suo difficile e profondo ritratto.
Il 26 dicembre 1662 il M. portava sulle scene l'École des femmes, ch'è veramente il suo primo capolavoro. Se il titolo può far pensare a una "scuola delle mogli", che stia a riscontro della "scuola dei mariti", come in un dittico giocoso sul matrimonio, in realtà la nuova commedia non è che una ripresa, più limpida e ariosa e geniale, della prima: Arnolfo ha occupato il posto di Sganarello, Agnese d'Isabella, e Orazio di Valerio. Il M. ha sfrondato tutta la parte che nell'École des maris si riferiva al fratello maggiore di Sganarello e alla sua pupilla Leonora, e ha dato un risalto più vigoroso alla triste e tirannica gelosia di Arnolfo, da cui l'ingenua, eppur finissima Agnese sa svincolarsi con una grazia naturale e felice per coronare l'amor suo e del giovine che la cerca e la vuole, favorito dalla cecità del rivale più anziano e più autorevole. L'immenso successo della commedia sollevò un'altra ondata di critiche contro l'autore, di libelli, di parodie, incoraggiate dal teatro rivale dell'Hôtel de Bourgogne: il M. replicò, dapprima con la Critique de l'Ecole des femmes (2 giugno 1663), un atto di piacevole conversazione, in cui i giudizî degli avversarî erano volti in giuoco e denunciati come il frutto d'invidie e di scrupoli interessati; poi, con l'Impromptu de Versailles (rappresentato a corte circa il 20 ottobre 1663), in cui il M. pone in scena sé stesso e la sua compagnia, dichiarando le sue idee sull'arte drammatica, e abbozzando così quella Comédie des comédiens che da tempo aveva intenzione di scrivere.
Ormai, l'attività del M., come attore e poeta, si svolgeva sotto l'egida del Re Sole, che gli dimostrava apertamente la sua benevolenza e la sua approvazione; nel 1664, la corte applaudì due comédies-ballets composte dal M. e, per la parte musicale, da G.B. Lulli, per ordine del re: Le Mariage forcé, eseguito a Parigi il 29 gennaio, e La Princesse d'aide, a Versailles, l'8 maggio, in quella serie di festeggiamenti, Les plaisirs de l'Île enchantée, che Luigi XIV, più fervido che mai nell'amore per la La Vallière, volle affascinanti e sontuosi. Nella Princesse d'Élide la collaborazione del M. e del Lulli dà risultati d'alto valore estetico, soprattutto per la mirabile euritmia cui poesia e musica concorrono. Meno notevole il contributo musicale dato dal Lulli al Mariage forcé, benché vi si scorga nettamente una premessa necessaria allo stile della Princesse. Tutte le rappresentazioni ch'ebbero luogo a Versailles in quell'occasione furono affidate al M. e alla sua compagnia; e fra di esse, il 12 maggio, penultimo giormo delle feste, appare una commedia nuova, in tre atti, designata nelle relazioni del tempo come Tartuffe o L'Hypocrite.
La storia di questo capolavoro è lunga e dubbiosa: esso passò attraverso varie redazioni che non ci sono tutte note: è probabile che i tre atti a Versailles costituissero una prima commedia in sé compiuta, e nel Tartuffe, che noi conosciamo in cinque atti, si può ancora distinguere qualche lieve squilibrio di situazioni e di caratteri che ci lascia intravvedere il disegno più antico. Di certo, fra il Tartuffe di Versailles e il Tartuffe che ci è rimasto, si frappone un Panulphe, in cinque atti, rappresentato nel 1667, e riassunto in un'anonima Lettre sur la comédie de l'Imposteur.
La satira che il M. rivolgeva contro i falsi devoti destò vive inquietudini, e in costoro, e nei devoti sinceri; alla prima recita l'ipocrita veniva sulla scena in una veste quasi ecclesiastica: la Compagnie du Saint-Sacrement de l'Autel, ch'era segreta e potente, e che si giudicava colpita dagli strali del M., fece di tutto per far proibire e sopprimere la commedia, l'intervento di mons. de Péréfixe, arcivescovo di Parigi e antico precettore del re, insieme con l'autorità materna della regina Anna, ottennero che il Tartuffe fosse interdetto in teatro, e che nessun'altra recita potesse seguire per allora alla prima, e unica, di Versailles. Il M., tuttavia, non si arrese: del Tartuffe diede letture, e anche qualche rappresentazione privata.
Costretto a riparare al divieto della commedia, il M. scrisse in breve tempo il Dom Juan ou le Festin de Pierre (prima rappresentazione, 15 febbraio 1665), che, sotto la favola già familiare e gradita al pubblico, racchiudeva una satira amara e risoluta del "gentiluomo malvagio", e a un certo punto "falso devoto" egli pure, in cui s'agitava lo spirito animatore di tutti i suoi nemici. Nel pieno vigore del suo genio, creava allora Le Misanthrope, dove trascorre un'eco delle ingiustizie sociali, e lo recitava per la prima volta come protagonista, il 4 giugno 1666 (fra il Dom Juan e il Misanthrope viene a collocarsi L'Amour médecin, metà settembre 1665, con una musica che è tra le più raffinate e scenicamente efficaci che il Lulli abbia composto, anche in virtù della reciproca comprensione che ormai congiungeva i due collaboratori; e subito dopo il Misanthrope, il Médecin malgré lui, 6 agosto 1666). Il Tartuffe, a sua volta, per esplicito consenso del re, veniva recitato dinnanzi al pubblico, a Parigi (5 agosto 1667) col titolo L'Imposteur; ma, poiché il re era partito per la campagna di Fiandra, il Lamoignon che, in sua assenza, governava la città, e apparteneva alla Compagnie du Saint-Sacrement, proibì nuovamente la commedia, che soltanto nel 1669, sentendosi Luigi XIV pienamente sicuro della sua autorità, anche nelle questioni morali e religiose, otteneva la via libera e il più grande successo.
Col Tartuffe e il Misanthrope, il M. foggia l'alta commedia di carattere e tocca il vertice dell'arte sua: in seguito, egli prodigherà la sua maestria in un teatro brillante, fantastico, sviluppando la rappresentazione mitologica e la comédie-ballet, che riuscivano assai gradite al suo re, e nelle quali sembrava cercare egli stesso una lieta distrazione: Mélicerte: comédie pastorale héroïque (tratta dal Grand Cyrus, proprio il romanzo della più celebre précieuse, Mademoiselle de Scudéryl) e Le Sicilieuou l'Amour peintre, l'una e l'altro compresi nel Ballet des Muses, cioè in una serie sfarzosa di spettacoli che si svolse dinnanzi alla corte nel castello di Saint-Germain (inverno 1666-1667); poi, l'elegante e spiritoso Amphitryon (13 gennaio 1668), derivato dalla commedia di Plauto e ammodernato di chiare allusioni agli amori regali. Georges Dandin (18 luglio 1668) ripiglia il tema della Jalousie du Barbouillé, ed è una farsa in cui i tipi comici risaltano incisi crudamente con un'ardita e sprezzante leggerezza. L'Avare (9 settembre dello stesso anno), intessuto su uno dei personaggi più fortunati della commedia classica, è scolpito frammezzo ad alcune rigidità di costruzione e a un'esecuzione qua e là affrettata, con un rilievo possente e doloroso. E sono di nuovo comédies-ballets, con intermezzi immaginosi, Monsieur de Pourceaugnac (6 ottobre 1669), parodia della piccola nobiltà provinciale (con musica del Lulli), che dilettò assai la corte e il pubblico parigino, e Les Amants magnifiques, che costituirono una parte del Divertissement royal, il 4 febbraio 1670.
Le Bourgeois Gentilhomme (14 ottobre 1670), a cui diede l'occasione un'ambasciata orientale alla corte di Luigi XIV, delinea, in una delle più felici creazioni del M., il ritratto di un mercante arricchito, di fondo bonario, ma tutto acceso di vanità e poi confonde le fila dell'arguta satira e della commedia realista in una pantomima grottesca e travolgente. In alcune scene si presentò anche il Lulli (nella parte del Mufti) che per l'occasione aveva scritto un'importante partitura. La tragédie-ballet Psyché, verseggiata per gran parte dal Corneille, e rappresentata alle Tuileries il 17 gennaio 1761, si avvicina, per il canto e le musiche (anche questa volta del Lulli), per la varietà, la ricchezza delle scene e degli apparati, al nuovo tipo del teatro d'opera, verso il quale già si orientava il gusto del pubblico.
Frattanto, la salute del M., il quale era afflitto da un male incurabile, veniva peggiorando; Madeleine Béjart moriva nel febbraio del 1671. Il M. non rallentò le sue fatiche di capocomico, di commediante e d'autore: diede ancora alle scene le vivacissime, vertiginose Fourberies de Scapin (24 maggio 1671), un abbozzo di commedia, La Comtesse d'Escarbagnas (2 dicembre dello stesso anno), un nuovo capolavoro, Les Femmes savantes (11 marzo 1672), poi l'ultima comédie-ballet, e l'ultima cosa sua, Le Malade imaginaire (10 febbraio 1673). La satira dei medici e della medicina, che percorre tanta parte del teatro del M., chiudeva, con una ridente vendetta, l'opera e la vita di quel grande ammalato; e la sera del 17 febbraio 1673, dopo avere recitato per intero la sua parte in una replica del Malade, sentì prossima la fine, chiese d'un prete, e spirò. I funerali ebbero luogo di notte, il 21 febbraio, e il M. non fu sepolto in terra benedetta.
L'amore del teatro aveva diretto il M. sulla via in cui il suo genio si provò aspramente, si svolse, si effuse libero e gagliardo. Il primo dono ch'egli recava in sé per quell'arte era una facoltà spontanea di discernere nella realtà umana le zone più varie e insieme più precise dell'illusione comica: così nel groviglio dell'azione più agitata e confusa, come negl'intimi riflessi di una passione o di una mania, l'occhio, l'intuizione del M. giungono fino all'estremo limite, alle venature più lievi e delicate in cui può insinuarsi il riso e la beffa. Dapprima egli colse i gruppi di persone comiche, sbozzate con brio fra i lazzi della commedia italiana, e si compiacque del giuoco delle scene, delle stesse volgarità della farsa, della tradizione delle maschere, che gli consentiva, su una psicologia sommaria ed elementare, di trarre in piena luce le situazioni comiche più intense e colorite. Il suo spirito così di poeta, come di attore, vigilava il meccanismo di quelle "situazioni", se ne rendeva esperto, e acquistava un senso, e quasi una divinazione sicura, dei loro effetti sul pubblico, creando fra esso e la scena una concorde vibrazione in cui era già il principio dei suoi futuri trionfi. Il lungo periodo trascorso nelle recite di provincia è tutto occupato da questa formazione pratica dell'uomo di teatro, e i primi saggi di commedia del M. ne serbano chiaro il disegno.
Nelle Précieuses ridicules si avverte qualcosa di nuovo: che sta, più che nel proposito di satira letteraria e mondana, in un primo conato di penetrare, oltre il congegno della favola e la convenzione delle maschere, nei caratteri comici, determinati da una contraddizione interiore, da una finzione di vanità, da un errore iniziale, e talora inconsapevole, nel giudizio, nell'immagine che ciascuno si crea di sé stesso. Al termine della sua carriera, nella piena maestria della sua arte, il M. volle riprendere il tema delle Précieuses: e così, nelle Femmes savantes, ci è dato di scorgere su quale linea abbia progredito il poeta, nell'intenzione di rendere sempre più profondo, in creature sempre più vive e complesse, il contrasto intimo dei suoi caratteri: Filaminta ed Enrichetta hanno voluto ingannarci nella loro apparenza di pure intellettuali, ma nello stesso tempo hanno ingannato sé stesse, comprimendo le loro aspirazioni essenzialmente e squisitamente femminili.
Simili contrasti trovano il loro campo naturale e prediletto nei casi d'amore, negli errori sentimentali o viziosi, nelle brame e nelle gelosie: quello che abbiamo detto il ciclo di Sganarello, e il cui riflesso in un certo senso, non è mai assente dal teatro del M., si aggira di continuo su una illusione amorosa o sensuale, che si sviluppa ciecamente, e si rovina e si distrugge sotto lo sguardo limpido e curioso del poeta. Il M. non esclude dalla visuale comica l'elemento doloroso delle passioni; non sempre gli nega, ma quasi sempre opprime su di esso ogni simpatia; onde scaturisce quella singolare nota di crudeltà, ch'è propria del suo riso. Il dominio di quello spirito comico è assoluto, implacabile; il distacco dai personaggi che si dibattono, s'urtano, si congiungono e si tradiscono, è completo: e quella schiera di figurine ridicole è così nitida, perché lo sguardo che le contempla non è velato da nessun proposito di guidarle a un suo fine, da nessun sentimento che le accusi o le difenda.
Molta parte della critica moderna, soprattutto nell'Ottocento, e per effetto del Romanticismo, volle interpretare la commedia del M. secondo un preconcetto biografico, raccogliere dalle parole dei suoi personaggi l'animo del creatore, sfigurando quasi sempre il carattere dell'arte molieriana: la crudeltà apparve come pensosa amarezza, il ridicolo si colorò di gravi significazioni. L'École des femmes sarebbe la lezione che dava a sé stesso il marito d'Armanda; e dal Misanthrope si dedusse, in nome del M., tutto un ideale morale e una generosa rivendicazione della virtù contro la viltà e l'ipocrisia imperanti. E si deve rispondere che certamente la sostanza, la stoffa delle esperienze vissute è cosa propria del M. come di ogni artista e di ogni uomo: ma ch'egli mirò a tale distanza, così assorto nella creazione dell'opera sua, le vicende degli uomini, che le sue proprie vi erano calate e confuse, senza ch'egli stesse mai a specchiare in alcuni speciali caratteri una parte di sé. Il riso del M. scintilla da una persecuzione imparziale di tutti coloro che si torturano, che s'amareggiano, che si rodono in una passione contrastante con la loro natura, o con la natura degli altri, tentando invano di piegarla, d'imprigionarla nelle loro reti. Nell'egoismo si può scorgere la radice pressoché unica dei tipi comici del M.; dall'egoismo brutale e grossolano delle maschere, delle persone volgari, via via, attraverso le pretese dei mariti, più o meno indegni, fino all'egoismo superiore di Alceste, nel Misanthrope, che crede di essere nato per rimettere sui suoi cardini il mondo morale e s'illude di squadrare sulla sua misura (ammirevole, ma angolosa) l'anima leggiera e inafferrabile di Celimene.
Per essere sicuro di aver sempre ragione, quando provoca il riso, il M. si mise una volta per tutte dalla parte della natura spontanea, e perciò della donna, secondo il concetto ch'egli ne aveva: il suo tipo medio femminile non è molto elevato, è privo talora di finezze sentimentali o intellettuali, ma si adorna di una grazia nativa e deliziosa nelle fanciulle, come l'Agnese dell'École des femmes e di una fierezza fra esperta e delusa nelle donne di mondo, come l'Elmira del Tartuffe, che fa lampeggiare il suo splendido sorriso di disprezzo sull'impostore che l'insidia e il marito che mette il suo tempo a difenderla.
I caratteri burleschi delle farse e delle prime commedie si eclissano a un certo punto dal teatro del M.; vi torneranno ravvolti di un più vivo senso fantastico nelle comédies-ballets dell'ultimo periodo; ma al centro dell'attività molieriana sta la triade dei capolavori psicologici, in cui il poeta s'inoltra fino alle soglie del dramma, effigiando le sue creature più serie, i suoi tipi veramente immortali: il Tartufo, Don Giovanni, il Misantropo. Il primo e l'ultimo, sorti dopo una lunga elaborazione, da un profondo impegno di tutto il genio del M., ritraggono in una luce originale il contrasto fra la verità e la finzione nei rapporti umani: Tartufo è l'ipocrita che si ammanta di una morale rigorosa per sfogare le sue varie cupidige, e, forzato a togliersi la maschera, rivela una fosca, spietata malvagità: Alceste è un carattere che il M. ha rappresentato con una grande ricchezza di sfumature, con una giustezza di tono e un'eleganza spirituale, che acquistano tutto il loro valore su uno sfondo arioso e mirabile di vita mondana. Il Tartuffe e il Misanthrope sono le due commedie più complesse, e nello stesso tempo più nuove ed espressive, del M., il Don Juan, di un'andatura brusca, disuguale, talora persino sconnessa, ci lascia del protagonista un'immagine superba e statuaria, che s'accompagnò poi sempre alla fortuna di quella leggenda.
Venuto su come artista fra i pubblici popolari e provinciali, il M. era divenuto l'attore e il regista comico della corte più illustre d'Europa; l'indole delle nuove produzioni (poiché nelle ultime commedie appare evidente com'egli obbedisse agli ordini del re e alle esigenze di certi spettacoli, inquadrati nel programma delle feste regali) risulta più volte da un'abile ripresa delle sue antiche farse, non già levigate o agghindate in un presunto gusto signorile, ma rese anzi più acri, più lineari, più caustiche (Georges Dandin, Monsieur de Pourceaugnac, Les fourberies de Scapin); la commedia di carattere e di costume, si proseguiva con l'Avare, il Bourgeois gentilhomme, le Femmes savantes di tutte più vicina all'esempio del Misanthrope per la finitezza del quadro e la vastità del gruppo di personaggi, fra i quali risalta, modello perfetto di satira letteraria, il tipo di Trissottino.
I contemporanei del M. ne riconobbero il genio, consacrato dal favore di Luigi XIV; e, nonostante il pregiudizio sociale che considerava i comici come una classe spregevole (il Bossuet parlò duramente della morte del M. e avventò contro la sua memoria l'anatema per "coloro che ridono"), egli si procurò la stima dei letterati, l'amicizia del La Fontaine e del Boileau; ebbe relazioni di teatro col Corneille e il Racine. Dagli scrittori comici francesi che gli succedettero fu sempre considerato come l'unico maestro: lo imitarono da vicino il Regnard e il Dufresny, il Dancourt, il Lesage, il Destouches, il Gresset. L'opera sua, non mai abbandonata sulle scene, tiene ancor oggi il posto d'onore del repertorio della Comédie Française, cioè del teatro nazionale, che si designa come "la casa di Molière".
La compagnia del Molière. - Essa aveva avuto fin dal principio, cioè dalla fondazione dell'Illustre Théâtre un carattere familiare, e il suo gruppo centrale, e permanente, era costituito dai Béjart: gli altri attori, fra cui Denis Beys, primo direttore della compagnia, Germain Clérin, Nicolas Bonenfant, Georges Pinel, e le attrici Madeleine Malingre, Catherine Desurlis, si erano dispersi con la rovina dell'impresa. In provincia, nella compagnia del duca d'Épernon, fra il 1645 e il 1653, il capocomico Charles Dufresne cedette via via il suo posto al M., che, oltre a elementi avventizî, si procurò la collaborazione di René Berthelot, detto Du Parc (e in arte Gros-René), che sposava più tardi la Marchesa Thérèse de Gorla; insieme con la Du Parc, a Lione, entrò nella compagnia Catherine de Brie, moglie di un altro attore, e furono entrambe due grandi interpreti del repertorio molieriano. Giungendo a Parigi, il M. aveva con sé Joseph e Louis Béjart, il Dufresne, Madeleine e Geneviève Béiart, le due coppie Du Parc e De Brie; la Du Parc, imbizzita con Madeleine, si allontanò dalla compagnia e passò col marito al teatro del Marais; il Dufresne, già vecchio, si ritirò dalle scene, Joseph Béiart moriva il 25 maggio 1659. Il M. scritturò i due fratelli L'Espy e Jodelet, già noti e applauditi a Parigi, i coniugi Du Croisy, e Charles Varlet de La Grange, appena ventenne, che si formò sotto la guida del M. e ne fu l'interprete ideale nelle parti d'amoroso e di primo attore giovine; inoltre, tutto dedito alla vita del teatro, il La Grange ne tenne un regolare Registro, ch'è la fonte più preziosa per la storia della compagnia. E fra i compagni trovò moglie anche lui, sposando Marie Ragueneau, figlia di un pasticciere poeta di Lione, che aveva seguito come cameriera la De Brie. I Du Parc, dopo un anno, ritornarono con il M.; il marito morì nel 1664; nel 1666, la vedova, per istigazione del Racine, andò a recitare all'Hôtel de Bourgogne. Fra i nuovi attori assunti dal M. (Brécourt, Hubert, La Thorillière, i coniugi Beauval), il più valente, e il più celebre, fu Michel Baron, il quale, dopo un primo passaggio nella compagnia, passaggio abbreviato dall'avversione di Armanda, vi rientrò con pieno successo, personale e artistico, nel 1670.
Alla morte del M., la compagnia proseguì le sue recite, e il La Grange diede prova di tenacia e di energia, poiché riuscì, non solo a salvarla di fronte alla rivalità degli altri due teatri parigini, ma a darle un posto preminente nella successiva fusione a cui si videro obbligate le varie forze artistiche fino allora in contrasto. Abbandonato dal Baron, dal La Thorillière e dai Beauval, privato del teatro del Palais-Royal, che il re concedette al Lulli per le rappresentazioni d'opera, il La Grange si accordò con l'attore Rosimond, della compagnia del Marais, e occuparono insieme una nuova sede nel teatro della Rue Guénégaud, inaugurato il 9 luglio 1673 con la ripresa del Tartuffe. La vedova del M. passò a nuove nozze, nel 1677, con l'attore Guérin d'Estriché, nel 1679, esulavano dall'Hôtel de Bourgogne per associarsi alla signora Guérin e al La Grange (che rappresentavano la continuità del teatro del M.) la grande attrice tragica Champmeslé con suo marito; l'anno seguente, alla morte del La Thorillière, fu il crollo dell'ultimo teatro rivale, e anche il Baron, con quanto restava degli attori dell'Hôtel de Bourgogne, si riuniva alla compagnia della Rue Guénégaud. Con una lettre de cachet del 21 ottobre 1680, Luigi XIV conferiva all'unica compagnia di "Comédiens français" il privilegio delle recite a Parigi (dell'Hôtel de Bourgogne prendevano possesso i comici italiani); e a quella data l'attuale Comédie Française fa risalire le proprie origini, distinguendo come suo maggior vanto, nella cronistoria intricata dei vecchi teatri parigini, la discendenza dal M. attore, e la fedeltà al M. poeta.
Fortuna in Italia. - In Italia, l'opera del M. fu conosciuta assai presto: fino dal sec. XVII i comici francesi recitavano a Torino le sue commedie, ch'entrarono poi, tradotte, nel repertorio delle compagnie italiane, v'ebbero interpreti valorosi e furono accolte con favore dal pubblico. Oltre a numerose versioni delle singole commedie, le Opere del M. ebbero una traduzione completa per cura di Biagio Augustei (stampata sotto il nome di Nic. di Castelli, voll. 4, Lipsia, 1696-1698; 2ª ed., 1739-1740). Inedita, in un ms. della biblioteca universitaria di Bologna, la versione, anch'essa completa, del fiorentino Ottaviano A. Giugni Stampa (sec. XVII). Seguì la traduzione anonima (allestita, se non tutta eseguita, da Gaspare Gozzi), che comprende 24 commedie: Opere del M. ora nuovamente tradotte nell'italiana favella, voll. 4, Venezia, 1756-1757; sono dieci le Commedie scelte di M., trad. da A. Moretti, voll. 2, Milano 1880. E una parte notevole è data al M. nella Biblioteca teatrale della nazione francese (di varî traduttori, Venezia, 1793-1794), nel Repertorio scelto ad uso de' Teatri italiani, VI-VIII (trad. di V. Soncini, Milano 1823) e in diverse altre raccolte. Né mancarono le versioni dialettali, fra le quali risalta quella in genovese, di un gentiluomo del Settecento, Stefano De Franchi.
A imitare il M. furono primi quegli stessi comici dell'arte, verso i quali egli era in tanta misura il debitore: gli Scenari di Domenico Biancolelli e la raccolta del Riccoboni rinnovano temi e figure molieresche. Fra gli autori comici toscani, si misero sulle orme del M. il Fagiuoli, Girolamo Gigli e I. A. Nelli; e del Gigli restò soprattutto famoso Il don Pilone (1711), rifacimento del Tartuffe con mire fieramente satiriche contro la falsa morale di società sotto il granducato di Cosimo III. Fra i lombardi, Carlo Maria Maggi si giovò dell'esempio del M. negl'intermedî, e il Gorini-Corio, con maggior larghezza, in parecchie sue commedie (Le cerimonie, Il geloso vinto dall'avarizia, Il frippon francese con la dama alla moda, ecc.). A Venezia, dove il teatro comico era nel suo fiore, l'abate Chiari sfruttò del suo meglio quello del M.; Carlo Gozzi ebbe presente la Princesse d'Élide nel comporre la Principessa filosofa. Il Goldoni si dichiarò rispettoso ammiratore del M. e, signore del teatro egli pure, ne comprese sinceramente la grandezza; lo evocò sulla scena nel suo Molière (1751), e trasse più di uno spunto dal Dépit amoureux, dal Dom Juan, dal Malade imaginaire, ecc.; ma, nel fondo dell'arte sua, non è giusto dire che l'abbia imitato, e il vieto raffronto fra il Goldoni e il M. non fa capo a nulla, tanto è diverso il loro spirito e la visione ch'ebbe ciascuno di essi della vita, degli affetti, dei costumi. Alberto Nota volle più tardi accoppiare l'imitazione del M. e quella del Goldoni nel suo teatro, assai povero di fantasia. La commedia del M. trovò pure larga eco nei libretti dell'opera buffa italiana (La confusione degli sponsali, rappresentata a Firenze nel 1719, imitazione del Georges Dandin; Il matrimonio per forza, Venezia 1729; L'ammalato immaginario, Firenze, 1732; Il Porsignacco, Milano 1737, ecc.).
Ediz.: Øuvres de M., a cura di E. Despois e P. Mesnard, nella collezione Les grands Écrivains de la France, Parigi, 1873-1893 (13 volumi e un album d'illustrazioni: i voll. XII-XIIII contengono il Lexique de la langue de M., a cura di A. Desfeuilles).
Bibl.: Biografia e critica: Le Moliériste, rivista diretta da G. Monval, voll. 10, Parigi 1879-89; Collection moliéresque, a cura di P. Lacroix, voll. 20, ivi 1867-75, e Nouvelle collection moliéresque, diretta da P. Lacroix e G. Monval, voll. 17, ivi 1869-90; G. Larroumet, La comédie de M.: l'auteur et le milieu, 2ª ed., ivi 1887; E. Rigal, M., ivi 1902, voll. 2; K. Mantzius, Molieretiden, Copenaghen 1904 (trad. franc. di M. Pellisson: M.: Les théâtres, le public et les comédiens de son temps, Parigi 1908); F. Brunetière, Les époques de la Comédie de M., in Revue des deux mondes, 1° gennaio 1906, rist. in Études critiques sur l'hist. de la littér. française, s. 8ª; G. Lafenestre, M., Parigi 1909 (coll. Les grands écrivains français); M. J. Wolff, M.: Der Dichter u. sein Werk, Monaco 1910; M. Donnay, M., Parigi 1911; É. Faguet, En lisant M., ivi 1914; M. Pellisson, Les comédies-ballets de M., ivi 1914; G. Michaut, La jeunesse de M., ivi 1922; id., Les débuts de M. à Paris, ivi 1923; id., Les luttes de M., ivi 1925 (revisione metodica di tutti i problemi biografici e storici sul M.; l'opera manca ancora di un ultimo vol., annunziato da tempo, su Le triomphe de M.); C. Levi, M., Roma 1922 (coll. Profili, 59); M. Fubini, Introduzione al Borghese gentiluomo, Torino 1924; P. Kohler, Autour de M.: L'Esprit classique et la Comédie, Parigi 1925; F. Neri, Da un corso sul M. (Dom Juan. Il momento drammatico di M.), in La cultura, VII, 1° marzo, 1928, rist. nel vol. Il maggio delle fate, Novara 1929, p. 67 segg.; W. Küchler, M., Lipsia-Berlino 1929; R. Fernandez, La vie de M., Parigi 1929 (coll. Vies des hommes illustres, 32); F. Picco, M., Firenze 1930 (coll. Le Vite); G. Michaut, M. raconté par ceux qui l'ont vu, Parigi 1932; id., La Biographie de M., in Annales de l'Université de Paris, VII (1932), p. 125 segg.; M. Ortiz, Introd. al Misanthrope, Firenze 1933.
Fonti delle commedie: L. Moland, M. et la Comédie italienne, Parigi 1867; A. Kugel, Untersuchungen zu M.'s Médecin malgré lui, in Zeitschr. f. franz. Spr. u. Litter., XX (1898), i, p. i segg.; P. d'Estrée, La genèse de Georges Dandin, in Rev. d'hist. littér. de la France, X (1903), p. 637 segg.; E. Martinenche, M. et le théâtre espagnol, Parigi 1906; G. Huszar, Étude critiques de littér. comparée; II: M. et l'Espagne, Parigi 1907; P. Toldo, Di alcuni scenari inediti della commedia dell'arte e delle loro relazioni col teatro di M., in Atti d. R. Accad. d. scienze di Torino, XLII (1906-1907), p. 460 segg.; G. Gendarme de Bévotte, Le Festin de Pierre avant M., Parigi 1907; A. Counson, La critique d'Alceste, in Rev. d'Hist. littér. de la France, XVIII (1911), p. 335 segg.; A. Baumal, Tartuffe et ses avators: De Montufar à Don Juan, Parigi 1925; P. Emard, Tartuffe: Sa vie, son milieu et la comédie de M., ivi 1932.
Fortuna in Italia: P. Toldo, L'oeuvre de M. et sa fortune en Italie, Torino 1910; C. Levi, Saggio di una bibliografia italiana di M., in Studii moleriani, Palermo 1922, p. 187 segg.; F. Neri, Gli studi franco-italiani (Guida bibliogr.), Roma 1928, p. 123 segg.