BODIN, Jean
Nacque ad Angers negli ultimi mesi del 1529 o nei primi del 1530, da famiglia, probabilmente, della vecchia borghesia cittadina; l'affermazione, più volte ripetuta, che la madre fosse ebrea, è per lo meno assai problematica. Il giovane studia dapprima nella città natale; poi, verso il 1548, va a Tolosa, a proseguire gli studî di diritto. Vi rimane una dozzina d'anni, studiando intensamente un po' di tutto: filosofia e diritto, astronomia e astrologia e scienze. Né mancano i fuggevoli amoreggiamenti con la letteratura: nel 1555 esce a Parigi la sua traduzione in versi latini della Cynegetica, allora attribuita ad Oppiano. Ma le cure massime sono per il diritto, che apre al giovane anche la possibilità dell'insegnamento universitario. A questo scopo non solo studia ma intriga anche; si unisce con Forcatel contro Cujas. E finalmente, ottiene la cattedra di diritto romano: ma nel 1561 lascia l'insegnamento e va a Parigi, attratto dal miraggio dell'avvocatura libera. Ma la pratica, non è fatta per lui; abbandonata l'avvocatura, passa al servizio del re. Nel 1567 è sostituto del procuratore generale ai Grands Jours di Poitiers; nel 1570 è procuratore del re in una commissione che deve rivendicare un diritto del re (di Tiers et Danger) nelle foreste di Normandia: e nell'esplicazione di questo suo compito rivela tutta la meticolosità, l'intransigenza del funzionario, tutto compreso della santità dei diritti regi.
Non ha ancora partecipato effettivamente alla vita politica, ove se ne eccettui il viaggio fatto nel 1556 per assistere agli stati di Languedoc. Ma nel 1571 passa al servizio del duca di Alençon, come maître de requêtes e consigliere; poi, di fronte al divampare della guerra civile, eccolo fra i politiques, con cui depreca i contrasti di religione e invoca una politica di tolleranza. Va tanto innanzi nel suo interessamento per la politica pratica, che pare si comprometta nel complotto di La Mole e Coconnat: e finalmente, nel 1576, nella riunione degli stati generali a Blois, nei quali rappresenta il terzo stato di Vermandois, s'impone, specialmente quando si discute intorno al demanio regio e all'atteggiamento da tenere di fronte ai calvinisti. Nemico della violenza per fatto di religione, egli vuole che si rappacifichi la Francia senza ricorrere alle armi: preoccupatissimo della situazione finanziaria, si oppone ostinatamente a che si alienino nuove terre del demanio regio: attirandosi con ciò l'avversione dei cattolici intransigenti, e, ad un tempo, quella dei cortigiani. In ultimo, lo stesso Enrico III, con cui pure egli prima ha avuto dimestichezza, gli diviene ostile; e B., che pur ha fatto trionfare la sua tesi nell'assemblea, con gli stati di Blois perde le possibilità di brillante carriera. Allora, fra il 1577 e il 1578, passa come procuratore del re a Laon; prepara la Demonomanie che esce a Parigi nel 1580. Tenta, è vero, ancora la fortuna ritornando a Francesco duca di Alençon, ch'egli segue in Inghilterra e nei Paesi Bassi: ma la morte del duca nell'84 gli toglie anche queste speranze, se par avessero avuto mai fondamento serio. E si ritrova invece a Laon, in una situazione non piacevole: ché riesce sospetto, agli ultracattolici specialmente. In tale situazione sopravviene la nuova guerra civile. La Ligue trionfa a Laon; e B. vi deve aderire, assai probabilmente contro il suo desiderio. Ma il neofita, sempre attorniato dal sospetto e dalla diffidenza, deve far dimenticare alla Santa Unione il suo compromettente passato! Al trionfo di Enrico IV, lui e gli altri politiques di Laon riprendono animo: ma per B. è breve il periodo di rinnovata tranquillità. Nel 1596 (il testamento è del 7 giugno) egli muore infatti, lasciando due figli Elia e Giovanni.
L'uomo della pratica aveva dunque, tutto sommato, fatto fallimento. Il pensatore invece lasciava larga e durevole traccia di sé. Già la Methodus ad facilem historiarum cognitionem (1566), la prima grande opera di B., occupa un posto notevole nella storia della storiografia, in cui sta come uno dei primissimi (con quello del Patrizi) e in quell'epoca certo il più notevole saggio di metodologia. L'opera è di lettura piuttosto faticosa: troppe volte le digressioni, la mania del ricordo erudito allentano la perspicuità e il rigore logico del dettato; in altra parte, il concetto è prettamente tradizionale; e infine, per quanto concerne la critica delle fonti, ci si trova ancora di fronte, spesso, a un metodo assai primitivo (cfr., p. es., nel cap. IV, p. 43 dell'ed. di Basilea del 1577, la maggior fiducia riposta agli scrittori più tardi, perché la forza della verità è tale... ut non nisi longo ac diuturno tempore in luce eruatur). Ma, pur con i suoi difetti, la Methodus rimane sempre un notevolissimo esempio dell'affinarsi critico della storiografia, e anche, in talune affermazioni - come quella sul valore della testimonianza in materia di religione - di spregiudicatezza critica ("non chiedere a un cristiano un giudizio sui maomettani").
Ma l'opera, a cui la fama di B. è maggiormente legata, è la République. Grosso volume in folio, diviso in sei libri, di lettura anche questa volta affaticante e ingrata; con parecchie ripetizioni e ritorni sullo stesso argomento; con un profluvio di esempî e di citazioni, che, se testimoniano della larghissima cultura dell'autore, appesantiscono di troppo l'ordito logico. Ma è uno sforzo grandioso di dare allo stato una sua base e un suo contenuto giuridico, di creare lo stato di diritto; un tentativo per il quale il giurista sottile e dotto ch'era B. era perfettamente adatto. Ed egli può così, se non scoprire, per lo meno fissare definitivamente nella storia del pensiero politico il concetto di "sovranità": che è proprio la affermazione fondamentale dell'opera. La sovranità è assoluta, senza limiti - ni en puissance ni en charge -, che non siano quelli imposti dalle leggi di Dio e di natura; ed è indivisibile. Certo a questo punto l'equivoca confusione fra la sovranità e la forma concreta di governo, in cui essa si attua, conduce B. a considerare la sovranità come "una specie di autorità dignitaria suscettibile di essere posseduta ed accordata nel pieno senso tecnico della parola" (Pollock); e si ha pertanto l'esaltazione della monarchia, come l'unica forma di governo in cui la sovranità possa attuarsi veramente, nella sua indivisibilità. Con ciò B. dava alla monarchia assoluta una forte giustificazione di diritto. Ma erano i limiti imposti dai tempi, e comunque, lo stato di B. posava su di un'altra e - giuridicamente - assai più solida base che non lo stato del Machiavelli. Contro il quale B. si espresse più volte, rimproverandogli la sua ignoranza nelle faccende di stato, cioè dello stato giuridicamente visto. La monarchia assoluta, che B. crea, ha tuttavia i suoi freni. Il princeps legibus solutus, essere rispettoso dei diritti di natura e delle leggi di Dio: Caesari cum omnia licent, propter hoc minus licet. Egli opera e deve operare giustamente e per il bene dei sudditi; egli è image de Dieu. In nuce, c'è già il profondo senso della gravosa responsabilità del principe, che echeggerà più tardi nell'Ètat c'est moi di Luigi XIV.
Sulla base del diritto, B. cercava dunque di costruire il nuovo stato che, pur ponendosi sul terreno della politica come politica, evitasse tuttavia l'"immoralità" del machiavellismo. Ma nella République c'era anche dell'altro: il senso, per es., della relatività delle leggi, che traspare chiarissimo dalle considerazioni del cap. I del libro V. Non ch'egli abbia rinunziato alla tradizionale idea dello "stato ottimo" (per lui la monarchie royale, II, 3; VI, 4): concetti vecchi e nuovi si giustappongono in lui pressoché continuamente. Ma in quel suo cercare la varietà delle istituzioni umane in correlazione con il variare del clima, della situazione geografica, ecc. (nel che egli ha influito sul Botero, indirettamente sul Campanella, ed è stato precursore della teoria del clima di Montesquieu), c'è, seppure in forma assai naturalistica, il primo intuito di una verità.
V'è anche, nella République, un notevole senso di tolleranza religiosa, dovuto certo a considerazioni di natura politica (necessità di salvare la Francia tratta a rovina dalle lotte di religione): ma insomma vivo e forte. Con gli anni, quelli ch'erano gli accenni tollerantistici della Methodus e della République divengono qualcosa di assai più netto, e si concretano nell'Heptaplomeres, interessantissimo dialogo, in cui le simpatie di B. vanno chiaramente non al cattolico, ma all'ebreo Toralba, e in cui si perviene ad un vero e proprio teismo. È forse l'opera, sotto certi punti di vista, in cui maggiormente ci si stacca dal pensiero medievalistico.
Pure lo stesso uomo che scriveva l'Heptaplomeres era capace di scrivere un'opera come La Démonomanie des sorciers ch'è di una caratteristica mentalità medievalistica. All'azione di stregoni e sortilegi B. crede ciecamente: come magistrato, ha assistito al processo di una strega; come studioso, scrive il trattato che vuol essere una specie di guida teorico-pratica per il giudice incaricato di istruire simili processi, e ch'è in realtà un documento di grande interesse per la conoscenza della società del tempo, colta e intelligente, ma ancor tutta dominata da credenze di pretto sapore arcaico.
Un posto a parte merita infine il B. economista. La Response au paradoxe de M. de Malestroict, con cui B. vuol risolvere il problema dell'aumento generale e rapidissimo dei prezzi nel sec. XVI, e parecchie parti della République dimostrano in lui un vivissimo interessamento per tutto quanto concerne la vita finanziaria ed economica dello stato. Teoricamente favorevole alla libertà di commercio, in pratica diventa un precursore del mercantilismo: intervento governativo in materia industriale, alti dazî sui manufatti stranieri, bassi dazî sulle materie grezze e sulle derrate alimentari... Nel campo tributario vuole l'imposta reale, e non personale; sostiene (con mentalità prettamente medievalistica) la necessità dell'assenso degli stati all'imposizione della taille - salvo casi di particolare urgenza e bisogno; intende porre a fondamento dell'erario il demanio regio. Larga e ricca messe di osservazioni, anche in questo campo, che hanno influito, fra l'altro, sul Botero.
Opere: Oppiani De Venatione libri IV, Parigi 1555 (trad. dal testo greco); Oratio de instituenda in repubblica iuventute, Tolosa 1559; Methodus ad facilem historiarum cognitionem, Parigi 1566; La Response au paradoxe de Mr. de Malestroict touchant l'enchérissemment des toutes choses et le moyen d'y remedier, Parigi 1568, e n. ed., Discours de J. B. sur le rehaussement et diminution des monnoyes tant d'or que d'argent, et le moyen d'y remédier..., Parigi 1578; Les six livres de la République, Parigi 1576 (molte ed., fra cui quelle di Lione del 1577, del 1593, ecc.; notevole la redazione latina, Parigi 1586, altra, Francoforte 1594), e l'Apologie de René Herpin pour la République de Jean Bodin (di Bodin, sotto lo pseudonimo, per rispondere agli attacchi da cui era stato fatto segno), Parigi 1581; Recueil de tout ce qui s'est negotié en la compagnie du Tiers Èstat de France en l'Assemblée generale... en la ville de Blois (s. l., 1577; ripubbl. in Mayer, Des Ètats généraux et autres assemblées nationales, XIII, L'Aia 1789); Iuris universi distributio, Lione 1578; La démonomanie des Sorciers, Parigi 1580; Lettre de M. Bodin officier à Laôn ou il traicte des occasions qui l'on faict rendre ligueurs, Parigi 1590; Universae Naturae Theatrum, Lione 1596. L'Heptaplomeres, scritto verso il 1593, è rimasto inedito fino al 1841, nel quale anno E. Guhrauer lo pubblicò parzialmente, tradotto, sotto il titolo Das Heptaplomeres des J. B., Berlino 1841. Edizione completa è invece quella di L. Noack, Colloquium Heptaplomeres de abditis rerum sublimium arcanis, Schwerin 1857 (trad. fr. di Chauviré, Parigi 1914).
Bibl.: La migliore monografia è quella di R. Chauviré, Jean Bodin auteur de la République, Parigi 1914, che non ha tuttavia tolto ogni valore al più vecchio volume di H. Baudrillart, Jean Bodin et son temps, Parigi 1853. La valutazione d'insieme sul pensatore politico più penetrante e perspicua, seppur breve, è però quella di F. Meinecke, in Die Idee der Staatsräson in der neueren Geschichte, Monaco-Berlino 1924, pp. 70-80; lo studio speciale più notevole quello di Hancke, Bodin. Studien über die Begriff der Souveränität, Breslavia 1894. Cfr. poi, oltre le storie generali del pensiero politico (Janet, Jellineck, ecc.), E. Fournol, Bodin prédécesseur de Montesquieu, Parigi 1896; per le correnti di pensiero del tempo in genere, G. Weill, Les théories sur le pouvoir royal en France pendant les guerres de réligion, Parigi 1891; per la posizione di fronte al Machiavelli, F. Chabod, Del Principe di Niccolò Machiavelli, Milano-Roma-Napoli 1926, p. 76 segg.; per l'economista, Jean de Bodin de Saint Laurent, Les idées monétaires et commerciales de J. Bodin, Bourdeaux 1907 Cfr. anche F. v. Bezold, Aus Mittelalter und Renaissance, Monaco-Berlino 1918; R. Flint, Philosophy of history in Europe, 1893.