Eustache, Jean
Regista cinematografico francese, nato a Pessac (Gironde) il 30 novembre 1938 e morto suicida a Parigi il 5 novembre 1981. L'irregolarità della sua filmografia (durate anomale, incursioni documentaristiche, azzardi narrativi), la stravaganza del suo cinema, che mette in gioco le forme di un realismo ripercorso e ricercato nelle sue derive filmiche, nonché la relativa brevità dell'arco della sua carriera, ne hanno fatto un autore poco conosciuto, se non per una delle sue opere più significative: La maman et la putain (1973). Con Philippe Garrel, e in misura non molto diversa con Maurice Pialat e Jacques Rozier, condivise la difficoltà di accettare sino in fondo la politica autoriale della Nouvelle vague di cui questi autori seguirono solo in parte il percorso. L'ostinazione morale con la quale E. (al pari di Garrel) cercò di non deviare dal percorso ideale (di radicale autorialità 'dentro' il cinema) iniziato con la Nouvelle vague, costituì la prima radice e la ragione stessa di tutto il suo cinema, che non a caso risulta essere irrimediabilmente legato alla sua biografia.
Si trasferì a Parigi nel 1958, dove iniziò a frequentare la Cinémathèque française di Henri Langlois e la redazione dei "Cahiers du cinéma". Essenzialmente autodidatta, assistette alle riprese di La boulangère de Monceau (1962) di Eric Rohmer e prese parte come attore a uno dei primi cortometraggi di Paul Vecchiali (Les roses de la vie, 1962) prima di passare dietro la macchina da presa. La sua opera d'esordio, Les mauvaises fréquentations (1963, noto anche come Du côté de Robinson), è un breve film fatto con pochi soldi il cui soggetto non presenta sostanziali differenze rispetto a quelli dei primi Contes moraux di Rohmer. Nel cinema di E. però sono determinanti certe asprezze che caratterizzano, in modo diverso, il cinema rigoroso di Robert Bresson o quello eccentrico di Sacha Guitry. La sua è una messa in scena spogliata della leggerezza e della malinconia evanescente che ancora appartenevano al gruppo dei "Cahiers" o a Jean Renoir (evocato come riferimento elettivo in più occasioni da E. che partecipò, tra l'altro, al montaggio delle trasmissioni televisive su Renoir realizzate da Jacques Rivette nel 1966). Il suo cinema sembra alimentato, sia nella pratica sia nel pensiero, da una crudeltà 'teppistica' e da uno spirito anarchico per molti aspetti inediti. Come osserva Jean Douchet: "Era l'intrusione di un teppista nel mondo piccolo borghese quale era il nostro. Il film innescava la prima intrusione di un altro ceto sociale e culturale" (in Philippon 1986, p. 13).
Il suo secondo film, Le Père Noël a les yeux bleus (1965), fu realizzato grazie al sostegno di Jean-Luc Godard, che gli fornì la pellicola avanzata dalle riprese di Masculin, féminin (1966; Il maschio e la femmina). Nei film successivi, E. radicalizzò la messa in scena con scelte improntate a una durezza morale con la quale non avrebbe mai smesso di confrontarsi. Une sale histoire (1977) rappresenta un'incursione teorica nella discussione sul valore dello sguardo. Per E. l'occhio che guarda si pone contemporaneamente al di là e al di qua della morale: nella morale infatti lo sguardo non può che essere prigioniero (da qui 'una storia sporca', la storia cioè di un uomo che tutti i giorni spia le donne attraverso un buco nella porta della toilette). Ma il film è anche un discorso sulla verità e sulla rappresentazione, che si svolge attraverso le sue due parti speculari (l'una recitata da un attore, Michael Lonsdale, l'altra raccontata dal vivo dal protagonista della storia vissuta, Jean-Noël Picq), volutamente ambigue proprio perché l'asse della finzione e quello della vita si scambiano e sovrappongono di continuo. La maman et la putain, tra i grandi capolavori del cinema degli anni Settanta, è un lungo détour (3 ore e mezza) sul vuoto e sulla paura del vuoto dei sentimenti, sull'inefficacia della parola, con riferimento a una morale che non si spiega e non si manifesta attraverso azioni o discorsi, ma trova nei corpi il luogo dove sedimentarsi e produrre quella implosione dei sentimenti messa in scena su uno sfondo autobiografico (Françoise Lebrun, che rappresenta nel film il corpo del desiderio, fu per lungo tempo la compagna di E.).
Nel suo percorso di cineasta E. dovette far fronte a una continua emarginazione da parte dei produttori e dell'establishment cinematografico francese in generale. Il solo film che poté fruire di una produzione regolare, ottenuta grazie al buon successo internazionale di La maman et la putain, fu Mes petites amoureuses (1974): quasi del tutto ignorata dal pubblico e dalla critica, è la sua opera più misteriosa e affascinante, che come poche altre sa raccontare l'universo adolescenziale.
P. Detassis, Jean Eustache: la parola eccedente, in "Cinema e cinema", luglio-dic. 1978, 16-17, pp. 31-41.
S. Daney, D'une rosière à l'autre, in "Cahiers du cinéma", 1979, 306, pp. 39-41 (rist. in La maison cinéma et le monde, 1. Le temps des 'Cahiers', 1962-1981, Paris 2001, pp. 239-42).
G. Deleuze, L'image-temps, Paris 1985 (trad. it. Milano 1989, pp. 218-19).
A. Philippon, Jean Eustache, Paris 1986.
C. Dubois, "La maman et la putain" de Jean Eustache, Crisnée 1990.
Spécial Jean Eustache, in "Cahiers du cinéma", avril 1998, supplement.
Jean Eustache: el cine imposible, Valencia 2001.