Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nell’arte di Jean Fouquet il realismo analitico e la sapienza ottica della pittura fiamminga si fondono con la plasticità dei volumi e l’organizzazione geometrica dello spazio del Rinascimento fiorentino. Vicende biografiche scarsamente documentate e un catalogo di opere limitato non impediscono a questo artista francese di rivestire un ruolo di assoluta preminenza nell’arte europea del XV secolo.
Jean Fouquet tra Italia e Fiandra
Riscoperto dalla storiografia artistica nel XIX secolo, al pittore e miniatore francese Jean Fouquet è stata dedicata una mostra nel 2003 a Parigi nella Bibliothèque Nationale de France, che ha avuto il merito di ordinare la ricca e contraddittoria letteratura riguardante la sua formazione e il catalogo delle sue opere. Pur in presenza di problematiche aperte, almeno due elementi appaiono assodati nell’interpretazione del suo linguaggio: il legame con la pittura fiamminga, penetrata in Francia con artisti come André d’Ypres o Jacob de Litemont, forse conosciuta anche tramite la visione diretta di alcuni capolavori di Jan van Eyck; il rapporto con la cultura figurativa del Rinascimento italiano, in particolare con Beato Angelico.
Se i dati biografici restano incerti, le prime notizie sicure sul conto di Jean Fouquet riguardano proprio un suo soggiorno in Italia, testimoniato dall’architetto e scultore Antonio Averlino detto Filarete, che identifica in lui, abile “maxime a ritrarre del naturale”, il candidato più degno alla decorazione della città ideale di Sforzinda (Trattato di Architettura, 1460-1465). È possibile che i due si siano conosciuti a Roma, quando Filarete era impegnato nell’esecuzione dei battenti bronzei per la basilica di San Pietro (conclusi nel 1445), e all’artista francese veniva affidato il Ritratto di papa Eugenio IV, un tempo conservato nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva, oggi perduto, menzionato dall’umanista domenicano Francesco Florio in una lettera redatta intorno al 1470.
La presenza a Roma di Jean Fouquet, in età giovanile secondo quest’ultimo testimone, va dunque a collocarsi tra il 1443, anno del rientro a Roma di Eugenio IV, e il 1447, anno della sua morte, mentre rimangono ignote sia la durata che le circostanze del soggiorno italiano. È suggestiva l’ipotesi dell’incontro, proprio a quelle date, con Beato Angelico, convocato nella capitale per decorare alcuni ambienti dei palazzi Vaticani (Henri Focillon, Le style monumental dans l’art de Jean Fouquet, in “Gazette des beaux-arts”, 1936); tuttavia le coincidenze stilistiche con il pittore italiano fanno supporre anche la possibilità di una tappa a Firenze dove, nel cantiere del convento di San Marco (1436-1452), il giovane Jean Fouquet potrebbe avere tratto la lezione più alta dal Rinascimento fiorentino, influenzando a sua volta la pittura di Beato Angelico verso una cromia più chiara e netta e una maggiore attenzione verso la luce (Luciano Bellosi in Una scuola per Piero, 1992). Di certo il soggiorno italiano deve avergli fornito l’occasione di confrontarsi con i capolavori, tra gli altri, di Masolino, Masaccio, Domenico Veneziano, Filippo Lippi, mentre la questione delle affinità stilistiche con Piero della Francesca, così come quella di un passaggio a Napoli (sostenuto da RobertoLonghi, Ancora sulla cultura di Fouquet, 1952) rimangono problematiche.
Jean Fouquet ritrattista
Sono forse le doti di abile ritrattista ad assicurare a Jean Fouquet il prestigioso incarico per papa Eugenio IV: il Ritratto di re Carlo VII (Parigi, Louvre) databile, per alcuni storici dell’arte, prima del viaggio in Italia, potrebbe avere procurato una certa notorietà al giovane pittore.
E così anche il bellissimo Ritratto di Gonella (Vienna, Kunsthistorisches Museum, 1445), buffone a servizio della corte estense all’inizio del Quattrocento, potrebbe indicare rapporti diretti con Ferrara (Pächt, Die Autorschaft des Gonella-Bildnisses, 1974): qui l’adesione all’estetica fiamminga è totale, sia nelle proporzioni allungate del dipinto, sia nell’inquadratura compressa del personaggio, indagato in maniera lenticolare nel volto e nelle vesti.
Nordica precisione ottica, ma anche plasticità e sintesi monumentale italiane, unite al ricordo sempre vivo della scultura gotica francese, caratterizzano invece il Ritratto di Guillaume Jouvenel des Ursins (Parigi, Louvre), datato tra il sesto e il settimo decennio: la massa imponente del cancelliere emerge solenne sullo sfondo della parete decorata all’antica, organizzando lo spazio circostante con esattezza quasi geometrica.
Livre d’heures d’Étienne Chevalier e manoscritti di storia antica
Al rientro dal soggiorno italiano ed entro la fine del sesto decennio, Jean Fouquet si dedica alla realizzazione di un Livre d’heures per il dignitario reale Étienne Chevalier, i cui fogli superstiti sono oggi quasi tutti conservati presso il Musée Condé di Chantilly.
Anche se, nel vuoto di notizie, alcuni studiosi hanno pensato a una gravitazione giovanile del pittore nell’ambiente dei miniatori parigini vicini allo stile dei fratelli Limbourg, le Livre d’heures d’Étienne Chevalier mostrano novità così prorompenti rispetto alla miniatura tardo-gotica, nell’accoglimento e nella rielaborazione degli stimoli provenienti dalla cultura figurativa fiamminga e da quella italiana, da escludere quella ipotesi: innovativi appaiono sia il trattamento della luce, diffusa e sfumata, capace di plasmare corpi e oggetti nei loro volumi, sia la concezione spaziale, in realtà non sempre regolata sulle norme della prospettiva brunelleschiana, ma sottoposta spesso a una coerenza interna assolutamente empirica.
Tra le molte miniature del libro, il foglio con la Crocifissione (Chantilly, Musée Condé) presenta, per esempio, debiti evidenti nei confronti della stessa scena affrescata da Beato Angelico nella sala capitolare del Convento di San Marco, soprattutto nel disegno netto e preciso delle figure, che appaiono costruite dalla luce e inserite nello spazio con grande naturalezza. La zona inferiore dello stesso foglio, nella descrizione analitica dei personaggi affollati intono alle croci e nel paesaggio di sfondo, non può prescindere, poi, dal modello di Jan van Eyck, anche se la rinuncia al punto di vista rialzato tipico della pittura fiamminga e l’organizzazione dello spazio secondo una prospettiva curvilinea denotano la volontà di Fouquet di ottenere una visione più unitaria e coerente.
Esempi di questa sintesi originale di modelli italiani e nordici si possono ritrovare anche nelle miniature di alcuni manoscritti storici, come le Antiquités Judaïques (riferite con certezza al nostro “peintre et enlumineur du roy Louis XI, Jehan Foucquet, natif de Tours”, grazie a un’iscrizione quattrocentesca), le Grandes Chroniques de France, l’Histoire ancienne jusq’à César e i Faits des Romains, tutti conservati presso la Bibliothèque Nationale de France. Nei fogli miniati di quei volumi Jean Fouquet dimostra una predisposizione molto spiccata alla narrazione e, assecondando probabilmente le richieste della committenza, opera un continuo processo di attualizzazione dei testi storici, affidandosi a uno stile quanto più possibile “realistico” e attento ai particolari, nel tentativo di trasformare lo spettatore in una sorta di testimone del passato.
Dittico di Melun e Pietà di Nouans
Originariamente collocate nella chiesa di Notre-Dame de Melun a formare un dittico, le bellissime tavole con Étienne Chevalier e santo Stefano e la Madonna con Bambino in trono e angeli sono oggi separate tra la Gemäldegalerie degli Staatliche Museen di Berlino e il Musée Royal des Beaux-Arts di Anversa.
Realizzate probabilmente all’inizio degli anni Cinquanta su commissione di Étienne Chevalier (già promotore delle miniature del Livre d’heures), mostrano la perfetta sintesi raggiunta da Fouquet tra lezione italiana, pittura fiamminga e tradizione scultorea francese.
Da quest’ultima e dall’arte fiorentina Jean Fouquet desume il carattere monumentale e plastico delle figure, talvolta condotte fino all’astrazione formale come nel gruppo con la Madonna, il Bambino e i cherubini, organizzati secondo una soluzione compositiva piramidale debitrice ai modelli italiani. Una serrata dialettica interna lega i personaggi secondo studiate rispondenze geometriche: le linee di fuga del pannello con Étienne Chevalier e santo Stefano convergono in quello della Madonna con Bambino in trono e angeli, con una sapienza prospettica acquisita durante il soggiorno in Italia. Jean Fouquet sembra addirittura ricordarsi, nel pannello di santo Stefano, di alcuni volti dipinti dal Beato Angelico nella Crocifissione della sala capitolare di San Marco. L’indagine analitica che la luce compie sui corpi e sugli abiti dei personaggi, sui materiali preziosi che compongono il trono della Madonna e sul marmo alle spalle del committente e del santo, con un grado di illusionismo altissimo, non può che provenire, infine, dall’esempio fiammingo.
Nella Pietà di Nouans (Nouans-les-Fontaines, chiesa parrocchiale), forse il dipinto di Jean Fouquet più avanzato cronologicamente, non solo le doti ritrattistiche del pittore tornano alla ribalta nella figura del canonico che assiste all’evento sacro, ma sembra anche portata a compimento tutta la sua padronanza nel costruire uno spazio pittorico concreto, in cui i personaggi possono abitare con tutta la loro fisicità.