Gabin, Jean
Nome d'arte (ereditato dal padre attore, Ferdinand Gabin) di Jean-Alexis Moncorgé, attore teatrale e cinematografico francese, nato a Parigi il 17 maggio 1904 e morto ivi il 15 novembre 1976. Si impose, per quasi mezzo secolo e attraverso 93 film, come una delle grandi icone del cinema europeo. Nei film degli anni Trenta, firmati da registi come Jean Renoir, Marcel Carné, Julien Duvivier e altri, G. è il proletario ribelle, vittima dell'ingiustizia sociale; dopo l'intermezzo della guerra, trascorsa in parte a Hollywood e in parte combattendo nelle forze della France Libre, l'attore, precocemente invecchiato, presentò invece un'immagine di borghese in tutte le sue varianti, e fu poliziotto ma anche gangster, sempre attingendo a un massimo di credibilità attraverso una recitazione di assoluta e incisiva naturalezza, e mantenendo fino alla fine il consenso del pubblico e la stima della critica. Per La nuit est mon royaume (1951; La notte è il mio regno) di Georges Lacombe, ottenne la coppa Volpi per il miglior attore alla Mostra del cinema di Venezia, un riconoscimento che avrebbe ottenuto anche tre anni dopo per L'air de Paris (1954; Aria di Parigi) di Carné e Touchez pas au grisbi (1954; Grisbi) di Jacques Becker. Inoltre per Archimède le clochard (1959; Archimede, il clochard) di Gilles Grangier e per Le chat (1971; Le chat, l'implacabile uomo di Saint-Germain) di Pierre Granier-Deferre fu premiato come migliore attore al Festival di Berlino.
Cresciuto in campagna a Mériel (Seine-et-Oise), venne affidato alle cure della sorella Madeleine, poiché entrambi i genitori erano impegnati nel varietà. Dopo aver rinunciato a lavorare come macchinista delle ferrovie, a 19 anni fu spinto dal padre a farsi scritturare presso le Folies-Bergère, passando poi ad altri palcoscenici come ballerino e cantante alla Maurice Chevalier. Partecipò a varie operette e riviste, anche al fianco di Mistinguett, e fu per l'ultima volta sulla scena dei Bouffes-Parisiens nel 1930 in Arsène Lupin, banquier (libretto di Y. Mirande, musica di M. Lattès). In seguito si dedicò esclusivamente al cinema, cominciando con un'operetta filmata (Chacun sa chance, 1930, di Hans Steinhoff e René Pujol), seguita da ben diciotto film nei primi sei anni di carriera. Ottenne la sua prima parte drammatica in Maria Chapdelaine (1934; Il giglio insanguinato), in cui Duvivier seppe evidenziare il singolare temperamento dell'attore; sotto la sua guida G. impersonò Pilato in Golgotha (1935; Golgota), una delle sue poche apparizioni in costume, e, subito dopo, i grandi personaggi di La bandera (1935), La belle équipe (1936; La bella brigata) e soprattutto Pépé le Moko (1936; Il bandito della casbah), vetta espressiva di un certo romanticismo anarchico e pessimista. Pur professandosi anti-intellettuale, ma fedele ai registi che stimava, G. sviluppò un sorprendente rigore nelle scelte. Al rapporto con Duvivier si sovrappose quello con il più sofisticato Renoir, che lo diresse in Les bas-fonds (1936; Verso la vita) dal dramma di M. Gor′kij L'albergo dei poveri; La grande illusion (1937; La grande illusione), dove espresse la disillusione dell'uomo comune nei confronti della guerra; La bête humaine (1938; L'angelo del male), tratto dal romanzo di é. Zola, in cui realizzò la sua antica aspirazione di guidare una locomotiva (nel 1955 G. avrebbe ritrovato Renoir per French cancan). Di forte impatto carismatico furono i due film interpretati per Carné e sceneggiati dal poeta Jacques Prévert: Quai des brumes (1938; Il porto delle nebbie), che lo vide nel ruolo di un disertore in coppia con la splendida Michèle Morgan, sua compagna per breve tempo anche nella vita, e Le jour se lève (1939; Alba tragica), dove impersona un operaio, omicida per amore, assediato dalla polizia. Meno popolari i titoli con la regia di Jean Grémillon, Gueule d'amour (1937) e Remorques (1941; Tempesta). A questo punto sembrò comunque che l'attore avesse il particolare dono di trasformare ogni film in un classico, ma la guerra mise fine ai grandi 'anni Gabin'.
Nei primi mesi del 1941, con il pretesto di onorare un contratto statunitense, l'attore cercò rifugio a Hollywood dove interpretò in lingua inglese un paio di film di scarso rilievo e si legò a Marlene Dietrich. Separata dagli eventi del conflitto, al quale parteciparono entrambi come volontari, la coppia si ricompose a Parigi dopo che G. era stato congedato con onore dalla Division Leclerc. Breve fu l'illusione dei due divi di poter affrontare un percorso artistico e di vita in comune: avendo rifiutato Les portes de la nuit (1946; Mentre Parigi dorme) di Carné e Prévert, l'insuccesso di Martin Roumagnac (1946; Turbine d'amore) di Lacombe fu tra le cause che indussero la Dietrich a rientrare negli Stati Uniti. Per G. l'amarezza del distacco inaugurò il suo 'periodo grigio' in un prematuro cambio di età. Interpretò comunque, affiancato da Isa Miranda, il drammatico Au-delà des grilles (1949; Le mura di Malapaga) di René Clément, una produzione italo-francese che vinse il premio per la regia al Festival di Cannes. L'anno dopo l'attore ritornò sul palcoscenico interpretando La soif, un testo appositamente scritto per lui da H. Bernstein.
Dopo alcuni matrimoni sbagliati, sposò nel 1949 l'indossatrice Dominique, ovvero Marcelle Christiane Fournier, la compagna definitiva. La Marie du port (1950; La vergine scaltra) ricompose il rapporto con Carné e ne instaurò uno nuovo con l'autore del romanzo, G. Simenon, destinato a proseguire attraverso altri nove adattamenti, tre dei quali legati al famoso commissario Maigret: due firmati da Jean Delannoy, Maigret tend un piège (1958; Il commissario Maigret) e Maigret et l'affaire Saint-Fiacre (1959; Maigret e il caso Saint-Fiacre) e il terzo, Maigret voit rouge (1963; Maigret e i gangsters) da Grangier. Nei primi anni Cinquanta, in La nuit est mon royaume di Lacombe, G. impersonò un altro ferroviere, che perde la vista per un incidente, ruolo che gli valse il premio a Venezia così come quello interpretato successivamente nel film di Carné L'air de Paris, ambientato nel mondo del pugilato. Un premio ulteriore (come miglior attore francese dell'anno) gli era stato conferito dal giornale "Le film français" per La vérité sur Bébé Donge (1952; La follia di Roberta Donge) di Henri Decoin, ancora da Simenon. Frattanto per il gusto di vivere in campagna, G. aveva acquistato nel 1952 in Normandia la vasta proprietà La Pichonnière, dove si dedicò all'allevamento di bovini e cavalli, incontrando però vari problemi che lo portarono a scontrarsi con i contadini.Il rilancio dell'immagine del divo avvenne con Touchez pas au grisbi di Becker, da un romanzo poliziesco di A. Simonin, che ebbe un grandissimo successo di pubblico. Quello dei film sulla malavita, dai romanzi di A. Le Breton o di altri, in seguito vivificati dai dialoghi gergali di Michel Audiard ai quali G. dava un popolaresco contributo, diventò uno dei filoni principali di una carriera ormai stabilizzata sul ritmo di due film all'anno e improntata a un professionismo sempre impeccabile, anche se destituito di grandi ambizioni. Il biografo A. Brunelin (1987; trad. it. 1988 p. 292) ha messo in luce la diversità dei personaggi interpretati da G. nel cuore degli anni Cinquanta, notando come non fosse più possibile collocare l'attore in un genere definito e il suo mito fosse ormai lontano; si riscontra infatti una sola parte da gangster (Le rouge est mis, 1957, Il dado è tratto, di Grangier) contro quattro parti da poliziotto (Razzia sur la chnouf, 1955, La grande razzia, di Decoin; Crime et châtiment, 1956, I peccatori guardano il cielo, di Georges Lampin; Maigret tend un piège; Le désordre et la nuit, 1958, Il vizio e la notte, di Grangier); e poi ruoli come camionista (Gas-oil, 1955, I giganti, di Grangier e Des gens sans importance, 1956, di Henri Verneuil), giudice (Chiens perdus sans collier, 1955, Cani perduti senza collare, di Delannoy), ristoratore, cuoco di fama (Voici le temps des assassins, 1956, Ecco il tempo degli assassini, di Duvivier), armatore borghese (Le sang à la tête, 1956, Sangue alla testa, di Grangier), ostetrico (Le cas du docteur Laurent, 1957, di Jean-Paul Le Chanois), celebre pittore anarchico (La traversée de Paris, 1956, La traversata di Parigi, di Claude Autant-Lara); e infine un personaggio da leggenda, Jean Valjean (Les misérables, 1958, I miserabili, di Le Chanois). Indubbiamente, il migliore tra questi film è La traversée de Paris, un'evocazione dei tempi di guerra in chiave di commedia, dove l'attore è affiancato dal veterano Bourvil. Fra le notevoli caratterizzazioni di G. si possono ricordare: Archimède le clochard, da un'idea dello stesso G. che si firma Jean Moncorgé; Le baron de l'écluse (1960; Il barone) di Delannoy; Le président (1961; Il presidente) di Verneuil e soprattutto L'affaire Dominici (1973; L'affare Dominici) di Claude Bernard-Aubert, versione innocentista di un famoso triplice delitto del 1952. La formula dell'abbinamento con altri nomi di mercato continuò a funzionare, proponendo volta a volta, oltre a Micheline Presle, Noël-Noël, Bernard Blier e Louis de Funès, anche Simone Signoret (Le chat), Sophia Loren (Verdict, 1974, L'accusa è: violenza carnale e omicidio, di André Cayatte) e Fernandel (L'âge ingrat, 1964, di Grangier; L'année sainte, 1976, La gang dell'anno santo, di Jean Girault, che fu l'ultima interpretazione dell'attore). Un'altra formula adottata fu l'abbinamento con divi giovani nell'intento di attirare un pubblico diverso: Brigitte Bardot (En cas de malheur, 1958, La ragazza del peccato, di Autant-Lara); Jean-Paul Belmondo (Un singe en hiver, 1962, Quando torna l'inverno, di Verneuil); soprattutto Alain Delon (Mélodie en sous-sol, 1963, Colpo grosso al casinò, e Le clan des siciliens, 1969, Il clan dei siciliani, entrambi dello stesso Verneuil; Deux hommes dans la ville, 1973, Due contro la città, di José Giovanni). G. restò comunque estraneo alla Nouvelle vague e fu stigmatizzato da François Truffaut come feticcio del cinéma de papa e autocrate del set.
La sua scomparsa fu considerata un lutto nazionale e le sue ceneri vennero disperse nelle acque di Brest da una nave della marina militare.
G. Viazzi, Jean Gabin, Milano 1955.
C. Gauteur, A. Bernard, Gabin ou les avatars d'un mythe, Paris 1976.
J.-C. Missiaen, J. Siclier, Jean Gabin, Paris 1977.
A. Brunelin, Gabin, Paris 1987 (trad. it. Venezia 1988).