LA BRUYÈRE, Jean
Nacque a Parigi il 16 agosto 1645 e morì l'11 maggio 1696 a Versailles. Di famiglia borghese, studiò diritto e fu avvocato al parlamento; tesoriere delle finanze per la circoscrizione di Caen (1673-86), se ne stette tranquillo a Parigi, "vivant dans la solitude de son cabinet", come scrisse egli stesso, e forse iniziando fin da quel tempo la sua opera, finché fu introdotto dall'amico Bossuet nella casa del Gran Condé (1684), dove, dapprima precettore del giovane duca di Borbone, rimase poi in qualità di gentiluomo del duca stesso. Anche qui vita comoda, se non tranquilla, per lo studio e la meditazione, ma in mezzo al mondo, anzi nel miglior posto d'osservazione del gran mondo. Nel 1688 pubblicò presso l'amico libraio Michallet l'opera dal titolo Les Caractères de Théophraste, traduits du grec, avec les Caractères ou les møurs de ce siècle, dapprima anonima. Due ristampe si fecero subito, e ogni anno seguirono nuove edizioni, fino all'ottava (1693), quasi triplicata nella materia (da 420 gli articoli erano saliti a 1130, mentre alle maximes, genere reso celebre dal La Rochefoucauld, che predominavano nelle prime edizioni, si erano venuti aggiungendo molti altri esempî d'un genere anche esso in gran voga: i portraits); essa fu seguita dalla nona e ultima (1696). Frattanto l'autore, salito di colpo alla celebrità e circondato, come gli era stato predetto, da "beaucoup d'approbateurs et beaucoup d'ennemis", pose nel 1691 la sua candidatura all'Académie française e, respinto la prima volta, fu eletto due anni dopo, suscitando prima una viva attesa e poi un non meno vivo contrasto il suo discorso d'ammissione (inserito nei Caractères del 1694, con una prefazione polemica). Già i Caractères avevano avuto un successo di scandalo, sembrando che si adombrassero nei portraits personaggi ragguardevoli dell'epoca. Lo scrittore che era ritenuto tranquillo e disinteressato, amante di scelti libri e d'amici, un "honnête homme", secondo si diceva allora, divenne via via aggressivo e all'Accademia si lanciò a capofitto nella famosa querelle des anciens et des modernes, con riprovazione e scandalo del partito dei modernes. Non solo: ma egli si dava, sotto l'ispirazione di quel grande combattitore che fu il Bossuet, a comporre i Dialogues sur le Quiétisme (pubblicati postumi nel 1699), sforzandosi di sostenere la causa del suo amico e protettore, quando la morte lo colse ancora nella piena maturità.
Il suo nome è rimasto legato ai Caractères. Per essi prese a modello il filosofo greco Teofrasto, del quale ci rimane una raccolta di ritratti o caratteri (l'amour du grec era così diffusamente sentito in quell'epoca che divenne uno degli argomenti preferiti del comico molieresco). Sotto l'impulso dell'antico filosofo, dettò i suoi sedici capitoli, che, palpitanti d'attualità, riuscirono originali. L'opera e lo scrittore hanno avuto una fortuna immensa in Francia e fuori. Il La B. è tutto francese: seguace dello spirito tradizionale della letteratura del suo paese, spirito che si perpetua dalla letteratura didattica della Francia medievale, giù giù fino ad Amyot, a Montaigne e oltre, per cui appaiono individualizzati ed espressi i caratteri generali dell'uomo. Tuffato nel clima storico della sua età, in un momento in cui questa attraversava una crisi, è uno scrittore rappresentativo della seconda metà del secolo XVII, che guarda e annunzia l'avvenire, senza romperla con la tradizione. Propriamente, del tramutarsi e frantumarsi della forte e unitaria spiritualità del grande secolo, con conseguenti effetti anche sugli orientamenti nuovi della letteratura e dell'arte poetica, risentì tutta la sua opera. Lo spirito scientifico si faceva strada e la cultura non era più principalmente speculativa, ché entrava in essa l'osservazione, l'esperienza, onde i Caractères, pregni d'un tale spirito, movendosi sempre entro la grande questione del tempo che era una questione morale, se vennero a perdere in profondità spirituale, manifestarono capacità di provocare l'attenzione e l'interesse del cuore umano e piacquero ai nuovi tempi. Non un piano logico in quest'opera, nonostante quello tracciato tardivamente nell'8ª ed., né ancora una verità nuova e alta, ma acute, variopinte verità, frammenti di verità, a punte e rilievi spiccati, e, in quanto tali, spesso soggette a contraddizioni, quali sono state rilevate di fatto nel corso dell'opera. Contraddizioni che erano nello scrittore stesso, e lo agitavano. Il La B. viveva all'ombra e in mezzo ai grandi signori, ma ai suoi occhi il loro mondo non formava più la compatta unità morale della società, faceva delle crepe e lasciava vedere attraverso a queste, la reale esistenza d'un mondo diverso: "je ne balance pas, je veux être peuple" (Caractères, IX, 25). Difensore degli anciens, pur dimostrava nella sua opera di esserne lontano, continuava a essere cristiano e anche cattolico, ché si continuava nel secolo lo spiritualismo cristiano, ma di questo fu veramente vivo in lui un senso di solidarietà e anche d'indulgenza umana, d'un certo sapore settecentesco, che pur valse a salvarlo da una morale pessimistica e materialistica e dalla misantropia che invadeva il suo cuore e la sua età. Se restava pur sempre un "moralista" cristiano nel senso che credeva potersi e doversi l'uomo correggere, ed essere la corruttela sociale causa delle corruzioni individuali, tuttavia annunziava i philosophes settecenteschi censori della società nella sua compagine e nei suoi istituti. Ma sia che il suo giudizio morale si esercitasse sull'individuo, sia che si rivolgesse alla società, la caratteristica dello scrittore - e per questo è sembrato pittore della vita quotidiana e reale - era la visione del particolare, l'osservazione della passione nelle sue più palesi manifestazioni; maniera non certamente classica, della quale egli seppe servirsi magistralmente cogliendo i segni, invero qualche volta caricaturali, di tutto ciò che colpiva i sensi, sia il gesto o la parola, sia l'esterno o il costume dei personaggi, rappresentati da lui in modo suggestivo, con una lingua varia, d'inesauribili risorse e di forte efficacia, che annunzia la potenza espressiva della prosa voltairiana.
Ediz.: Øuvres complètes, ed. G. Servois, nella coll. dei Grands Écrivains de la France, Parigi 1865-68, 3ª ed., 1922, voll. 6.
Bibl.: Ch.-A. Sainte-Beuve, Portraits littér., Parigi 1844, I; H. Taine, Nouveaux essais de critique et d'histoire, Parigi 1865; Prévost-Paradol, Études sur les moralistes français, Parigi 1865; E. Allaire, La B. dans la maison de Condé, voll. 2, Parigi 1886; M. Pelisson, La B., Parigi 1892; F. A. De Benedetti, Il pessimismo nel La B., Torino 1900; M. Lange, La B. critique des conditions et des institutions sociales, Parigi 1909; O. Navarre, Théophraste et La B., in Revue des études grecques, 1914; J. Cazelles, ibid., 1922; P. Morillot, La B., Parigi 1904; G. Servois, À propos d'un Caractère de La B., in Revue d'histoire littér. de la France, 1915; M. Bouchard, Un précurseur de La B. Les Réflexions sur l'Éloquence du P. Rapin et le Chapitre de la Chaire, in Revue d'hist. Littér. de la France, 1931; A. Gide, Divers, Parigi 1932 (su cui vedi un articolo di V. Lugli, in La Nuova Italia, maggio 1932).