LABADIE, Jean
Pietista, nato a Bourg presso Bordeaux, il 13 febbraio 1610, morto in Altona il 3 febbraio del 1674. Studiò nel collegio dei gesuiti a Bordeaux, e poi entrò fra essi, senza per altro esservi mai ammesso alla professione. Predicò e insegnò filosofia, con molto successo; lesse molto S. Agostino e S. Bernardo; si diede a una vita mortificata sino all'esagerazione. Divenuto sacerdote nel 1635, il 17 aprile 1639 uscì dalla Compagnia di Gesù. Condusse da allora in poi vita errabonda, suscitando recriminazioni e censure per le sue teorie stravaganti, e l'insubordinazione che disseminava intorno a sé. Nel 1650 passò alla Riforma in Montauban, ma nemmeno nel protestantesimo trovò pace né buone accoglienze. Da Montauban si trasferì nel 1658 a Orange, di qui nel 1659 a Ginevra, nel 1666 a Middelburg, sino ad Altona ove morì.
Dappertutto, per innegabili doni di parlatore e per un fascino singolarissimo, raccoglieva intorno a sé un gruppo di fedeli, soprattutto giovani; e contento di questa sua ecclesia domestica sfidava e osteggiava le comunità regolari tra cui viveva. Anche dopo la sua morte, i suoi discepoli tentarono di stare uniti in una "chiesa" a parte, o, com'essi dicevano, comunità separata dal mondo"; e vivendo in un regime particolare, durarono sino a 1732, data in cui l'ultimo loro predicatore lasciò Wieuverd, sede della setta. Furono i cosiddetti labadisti. Il L. può dirsi uno dei maggiori rappresentanti della corrente che condusse fra i cattolici al quietismo, e fra i protestanti al pietismo. La ricchezza di vita mistica, rivelatasi nella Chiesa per tutto il Cinquecento; la diffusione immensa raggiunta da scritti mistici, quali quelli di S. Caterina da Genova, di S. Teresa e San Giovanni della Croce; il ritorno in onore di S. Agostino, adoperato spesso contro la tradizione scolastica, provocarono un movimento di cui il L. è certamente stato uno degli esponenti maggiori. Si deve a lui, originariamente, il ritorno tra i riformati di quell'educazione ascetica e di quelle devozioni, che i primi riformatori avevano respinto. Per il L. la contemplazione in senso mistico è tutto: è accessibile a tutti, a patto che si conduca una vita di rigidissima mortificazione e di assidua meditazione: una volta raggiunta, dispensa da qualsiasi preoccupazione morale, sicché al contemplante tutto può essere lecito, ed è superfluo non solo il dogma, ma anche la prassi sacramentale e la società religiosa. Tra i suoi libri il più famoso è il Manuel de Piété.
Bibl.: A. Ritschl, Geschichte des Pietismus, voll. 3, Bonn 1880-1884; K. Reinhardt, Mystik und Pietismus, Monaco 1925; M. Wieser, Der sentimentale Mensch gesehen aus der Welt holländischer und deutscher Mystik in 18. Jahrhundert, Gotha-Stocarda 1924.