Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
In pieno Ottocento gli epigoni della scuola di David celebrano la storia romana e i suoi eroi in elmo e corazza, come i pompieri raffigurati da Gustave Courbet nel Départ de pompiers ed è forse per l’irridente confronto con questo dipinto che ai pittori accademici viene attribuita l’etichetta di pompiers.
I pompiers
Incuranti dei rivolgimenti sociali e culturali, in pieno Ottocento gli epigoni della scuola di David celebrano la storia romana e i suoi eroi con elmo e corazza, come i pompieri raffigurati da Gustave Courbet nel Départ de pompiers (1850-1851) conservato al Musée du Petit Palais di Parigi. È forse questo dipinto a stimolare un irridente confronto con l’arte dei pittori accademici che vengono così denominati pompiers.
Dopo i moti del 1848 le nuove promesse nel campo della pittura di storia Alexandre Cabanel, William Bouguereau, Jean-Léon Gérôme e Ernest Meissonier, continuano a ispirarsi alla lezione di Ingres nel disegno elegante e nella purezza del colore locale, senza però quella spinta ideale e quel culto metafisico della linea che conferisce all’arte del maestro un’aura di inimitabile splendore.
Artista eclettico, Gérôme passa con disinvoltura da un genere all’altro, visitando epoche e civiltà diverse, portandosi dietro di tela in tela gli stessi protagonisti: giocatori di carte, mercanti di schiavi, concubine discinte, cacciatori in battuta, bagnanti che asciugano morbide nudità. La vita contemporanea è da lui ambientata in luoghi esotici: nei mercati di Istanbul, negli harem del Cairo, nelle oasi dove sostano le carovane.
Con Jean-Louis Hamon, Jean Aubert, Henri-Pierre Picou, ex compagni di studi della scuola di Charles Gleyre, Gérôme allestisce in Rue de Fleurus un atelier che è anche un cenacolo di giovani cultori dello storicismo accademico. Al Salon del 1847 si presentano tutti insieme: accanto ai pastori e alle ninfe degli amici, Gérôme esibisce Due giovani greci che fanno combattere dei galli (1846), ora al Musée d’Orsay di Parigi, in cui lo scrittore e critico realista Jules Champfleury vede due ragazzi di marmo e due galletti “in carne e ossa, dipinti dal vero”, mentre Théophile Gautier apprezza il lavoro di questi giovani, definendoli néo-grecs o pompéiens.
Lo stile neogreco di Gérôme e il ruolo dell’allegoria
Gérôme ama raccontare una sua emozionante scoperta al museo di Napoli, un casco enorme e bizzarro che identifica come elmo di un gladiatore romano: “Eccome! Tutti i pittori, tutti gli scultori sono venuti qui, l’hanno visto e nessuno ha pensato a raffigurare un gladiatore”. La tenacia e lo scrupolo documentario lo spingono a cercare immagini di gladiatori nei mosaici, nei bassorilievi, nella statuaria antica, e con gli elementi raccolti monta una scena storica, Pollice verso del 1859 ca., ora al Phoenix Art Museum, in cui il mirmillone vincitore ha la testa ricoperta dall’elmo enorme e bizzarro visto a Napoli. Circondato da un vuoto angoscioso, eretto al centro dell’arena su un gruppo di sfortunati gladiatori abbattuti, il panciuto mirmillone si appresta a finire il giovane che si dibatte sotto i suoi piedi. Sulle tribune gli spettatori pretendono la crudele esecuzione: le più scalmanate sono le vestali, ammucchiate nel palco a fianco dell’imperatore.
L’opera segna l’inizio di una fortunata serie di temi neogreci che assicurano la celebrità a Gérôme. L’intento malizioso ed erotico è evidente nell’Interno greco, presentato al Salon del 1851 e giudicato scandaloso, perché ambientato in una casa di piacere molto simile a quelle che prosperano nella Parigi del secondo Impero. Gérôme si discolpa a modo suo. Nella Frine davanti ai giudici (1861), infatti, egli si autoritrae nei panni di Iperide, l’avvocato ateniese che fa assolvere la bella etera presentandola ai vecchioni dell’areopago nello splendore della sua nudità. La bellezza è sempre innocente e la bella pittura non può essere condannata dai censori: il giudizio critico e la moralità dell’epoca consentono al velo dell’allegoria di coprire qualsiasi indecenza. Al Salon del 1863 il Déjeuner sur l’herbe di Edouard Manet che presenta il disinibito picnic di tre studenti parigini viene definito indecente da Napoleone III che acquista però, la Nascita di Venere di Alexandre Cabanel (1863) oggi a Parigi, Musée d’Orsay e La perla e l’onda di Paul Baudry (1863) ora conservata al Museo del Prado di Madrid, due dipinti la cui palese oscenità è riscattata dal soggetto allegorico. Gli stessi criteri di giudizio sono applicati, quindici anni dopo, a Rolla di Henri Gervex (1878), reputato scandalosissimo perché presenta in un contesto contemporaneo un voluttuoso corpo femminile privo di veli, mentre un nudo veramente sfacciato, nel Buffone di Edouard-Théophile Blanchard (1878), conservato al Musée d’Orsay di Parigi), non solleva discussioni perché ambientato nel Rinascimento francese.
L’accuratezza archeologica di Gérôme
Dallo scoperto erotismo del primo stile neogreco, nella maturità Gérôme approda a un’accuratezza archeologica che non incanta Baudelaire, il quale scrive: “il pittore sostituisce il diletto di una pagina erudita ai piaceri della pura pittura”. Nella Morte di Cesare (1867) la grande aula del senato è vuota. I senatori in fuga si affollano verso l’uscita. Ai due lati si fronteggiano il corpo ormai senza vita di Cesare e un vecchio padre coscritto che, ignaro, dorme sulla sedia curule. La Corsa delle bighe (1876) è ambientata nel Colosseo; con la consueta minuzia Gérôme descrive il paesaggio del Palatino, le architetture, gli spettatori sulle tribune, gli otto carri degli sfidanti e i ventiquattro cavalli, di cui si vedono i muscoli rigonfi nello sforzo, le cinghie di cuoio che li stringono, le narici dilatate e le criniere agitate dal vento nel galoppo sfrenato.
I pompiers falliscono quando si accaniscono, come Gérôme e i suoi seguaci, nella ricerca di un’eccessiva verosimiglianza negli episodi tratti dalla storia antica, quando si illudono di rendere più avvincente una scena ambientata nel passato, presentandola come se il pittore vi avesse assistito di persona. Octave Mirbeau definisce Cabanel “una mano avvezza ai virtuosismi delle forme, un’anima da Prix de Rome, un occhio da fotografo”, formula che in realtà si può applicare a tutti i pittori pompiers, perché il loro realismo è frutto della grottesca illusione di poter documentare eventi lontani nel tempo e nello spazio come se fossero registrati da una lastra fotografica.
Il culto della tecnica e il successo dei pompiers
Fedeli al canone accademico del disegno impeccabile, dell’esecuzione rifinita, delle superfici levigate, i pompiers praticano il culto della tecnica, del mestiere inteso come valore assoluto. Il pubblico apprezza queste qualità, che considera un segno di onestà professionale, e anche ai collezionisti, specialmente americani, piace la precisione degli impasti lisci di Adolphe Bouguereau, lo smalto delle sue superfici traslucide e porcellanate, ma i critici non sono sempre d’accordo. La minuzia, la pazienza analitica dei dettagli microscopici di Ernest Meissonier, definito il “gigante dei nani” dal perfido Degas, suscitano l’ironia di Baudelaire che consiglia ai visitatori del Salon di fornirsi di una lente di ingrandimento. Alla storia sentenziosa e monumentale Meissonier preferisce il minuzioso studio del movimento, dei dettagli, dei costumi e dell’ambientazione in opere di piccolo formato e di breve respiro. In uno dei suoi dipinti più famosi, la Campagna di Francia, 1814 (1861), un Napoleone sconsolato marcia alla testa dell’armata in rotta in un paesaggio desolato, in cui fango e nevischio si mescolano sotto gli zoccoli dei cavalli. Il tutto su una tela di 50 per 70 centimetri.
Il successo economico e mondano accompagna la carriera dei pompiers. Nel Bel-Ami di Guy de Maupassant (1885) il ricco borghese Walter, “deputato, finanziere, uomo danaroso e affarista, ebreo e meridionale”, raccoglie nel suo palazzo del Boulevard Malherbes opere di Gervex, di Bastien-Lepage, di Bouguereau, di Jean-Paul Laurens e di Detaille. I pompiers sono strapagati e non solo quando si muovono nel terreno delle loro specialità: gli episodi storici – considerati paradigmatici o esemplari –; i temi religiosi, mitologici e allegorici; l’illustrazione di testi letterari classici; la decorazione murale di chiese, di palazzi pubblici e privati. Ritrattista principe dell’alta società del secondo Impero, Léon Bonnat esige sino a cinquantamila franchi, mentre il magnifico ritratto di Madame Charpentier con le figlie (1878) frutta a Renoir solo mille franchi.
La fortuna dei pompiers si spiega con motivi di ordine pratico, data la grande richiesta di artisti in grado di decorare le pareti dei numerosi edifici, pubblici ma anche privati, sorti grazie all’impetuoso sviluppo dell’edilizia negli anni in cui Parigi assume l’aspetto di una moderna metropoli. I pittori delle avanguardie, infatti, trascurano la pittura monumentale e solo Manet accetta di partecipare alla decorazione dell’Hôtel de Ville, ma la morte prematura gli impedisce di porre mano al progetto.
Il declino dell’art pompier
Espressione dell’ideologia dell’accademia, l’art pompier perde il confronto con le avanguardie storiche quando le istituzioni artistiche pubbliche, svuotate del loro potere, non sono più in grado di dettare uno stile e di imporlo al mercato: gli influenti e riveriti chers maîtres accademici verso la fine del secolo non hanno più fascino e autorità. In occasione del Salon del 1896 un critico, Gabriel Mourey, stronca i dipinti di Gérôme, “prodotti freddi e insensibili, costruiti in modo goffo e puerilmente concepiti”. Altri fendenti si abbattono su Bouguereau, Bonnat, Laurens e su Jules Lefèbvre: “La loro arte è sempre uguale, lontana dalla vita e dal sogno, dalla verità e dall’ideale: un’arte satura di convenzioni antiquate, senza tracce di vita attorno a sé”.
Anche i clienti si allontanano; i ricchi collezionisti americani cominciano a investire sull’arte d’avanguardia, sugli impressionisti abilmente promossi e sostenuti dal mercante Durand Ruel.
Privati del potere istituzionale, abbandonati dalla critica e dal pubblico, i pompiers sono costretti a lasciare il centro della scena artistica, per spostarsi in una periferia irrilevante. Meissonier muore nel 1891, Gérôme e Bouguereau scompaiono a distanza di pochi mesi, tra la fine del 1904 e l’inizio del 1905, ma non se ne accorge nessuno.
Il de profundis dell’arte accademica è intonato poco dopo dai pittori futuristi che, nel loro manifesto del 1910, proclamano di “voler distruggere il culto del passato, l’ossessione dell’antico, il pedantismo e il formalismo accademico” e di “disprezzare profondamente ogni forma di imitazione”: rifiuto programmatico e definitivo di tutti i principi che avevano alimentato la lunga stagione dell’accademismo pompier.