Godard, Jean-Luc
Regista cinematografico francese, nato a Parigi il 3 dicembre 1930. Fra i più significativi autori cinematografici della seconda metà del Novecento, esponente di rilievo della Nouvelle vague, è stato punto di riferimento per i giovani cineasti degli anni Sessanta, rappresentando un segno di demarcazione fra epoche e culture della storia del cinema. Un ruolo conquistato con l'originalità e l'intensità delle sue opere, ma anche con una ricerca che lo ha visto in posizioni di avanguardia per tutta la sua lunga carriera, capace di rinnovarsi costantemente insieme alla società e alle tecnologie audiovisive, restando tuttavia fedele a un linguaggio e a un'idea di cinema forti e senza compromessi. Nel corso della sua carriera ha vinto numerosi premi, tra cui l'Orso d'oro al Festival di Berlino del 1965 con Alphaville (Agente Lemmy Caution ‒ Missione Alphaville) e, dopo il Leone d'oro alla carriera nel 1982, il Leone d'oro alla Mostra del cinema di Venezia del 1983 con Prénom Carmen.
Nato in una famiglia dell'alta borghesia, dopo un'adolescenza al contempo agiata e ribelle e studi irrego-lari, si accostò al cinema alla fine degli anni Quaranta frequentando la cineteca e i cineclub parigini con un gruppo di giovani amici (François Truffaut, Eric Rohmer, Jacques Rivette ecc.) che costituì il nucleo originario della futura Nouvelle vague. Con essi G. partecipò nel 1950 alla fondazione di "La gazette du cinéma" e dall'anno successivo iniziò a collaborare alla nuova rivista "Cahiers du cinéma", proponendovi una scrittura critica fervida, attenta alle ragioni estetiche e morali del cinema, inteso come un mondo autonomo e ideale, specie in quella valorizzazione appassionata di alcuni registi, anche minori, poi definita politique des auteurs.Intanto G. faceva i suoi primi esperimenti di regia con film su commissione (Opération béton, 1955) o piccoli racconti ironici interpretati da amici o giovani attori (Tous les garçons s'appellent Patrick, 1957; Charlotte et son Jules, 1958), finché con À bout de souffle (1960; Fino all'ultimo respiro) realizzò il suo primo lungometraggio, il ritratto di un giovane delinquente, cinico e romantico insieme, girato in uno stile fresco e disinvolto, incurante delle regole grammaticali e degli standard tecnici cinematografici e che procede per divagazioni, trovate visive e gestuali, sentenze e citazioni pittoriche e letterarie, senza tuttavia dimenticare i miti e i modelli del cinema del passato. Il film suscitò molte discussioni, ma il suo successo e il suo basso costo aprirono al giovane regista grandi possibilità che egli sfruttò con intelligenza e spregiudicatezza iniziando un'attività frenetica, senza precedenti nella tradizione autoriale, e realizzando per tutti gli anni Sessanta una media di due lungometraggi all'anno oltre a numerosi episodi per film collettivi. Il suo modo di girare era basato sulla rapidità, su sceneggiature appena abbozzate che lasciavano il primato alla ripresa e alle circostanze offerte dal caso e dalla personalità degli attori. I temi erano in senso lato politico-sociali: gli echi della guerra d'Algeria (Le petit soldat, 1960, ma uscito nel 1963 per problemi di censura), la condizione della donna e dei giovani (Vivre sa vie, 1962, Questa è la mia vita; Une femme mariée, 1964, Una donna sposata; Masculin, féminin, 1966, Il maschio e la femmina; Deux ou trois choses que je sais d'elle, 1967, Due o tre cose che so di lei); ma con sconfinamenti in ogni direzione: dalla commedia brillante (Une femme est une femme, 1961, La donna è donna) all'apologo favolistico (Les carabiniers, 1963, dalla pièce di B. Joppolo), dall'adattamento letterario (Le mépris, 1963, Il disprezzo, dal romanzo di A. Moravia) alla variazione sui generi classici, quali la fantascienza (Alphaville) o il film noir (Made in U.S.A., 1967, Una storia americana). Al di là dei soggetti e delle ambientazioni, quasi sempre urbane e contemporanee, erano soprattutto il linguaggio e le forme narrative sempre più libere (scansioni o interruzioni del racconto con scritte e inserti eterogenei, alternanza di inquadrature molto costruite e di scene casuali e improvvisate, riferimenti all'attualità, alla pubblicità, al mondo del cinema e dell'immagine) a farne degli esemplari film-saggio sul disorientamento e la confusione di valori della condizione moderna, sempre sensibili però alle emozioni dei loro personaggi. Sintesi e capolavoro di questo primo periodo può essere considerato Pierrot le fou (1965; Il bandito delle undici), interpretato da Anna Karina, moglie di G. dal 1961: un romantico, nichilista e caleidoscopico inno alla libertà e ai sentimenti intrecciato con riflessioni e digressioni che spaziano dalla politica alla pittura alla letteratura, ponendo però sempre la natura del cinema al centro della ricerca dell'autore.Nella seconda metà del decennio i temi affrontati dal regista diventarono sempre più esplicitamente politici e film come l'anarchico-surrealista Week-end (1967; Week-end, un uomo e una donna dal sabato alla domenica) o il marxista-utopista La chinoise (1967; La cinese, che vinse il Premio speciale della giuria alla Mostra del cinema di Venezia) sembrano prefigurare la rivolta studentesca del maggio 1968, cui G. partecipò attivamente sia filmando gli avvenimenti sia avviando un'importante riflessione politica e teorica sul senso del cinema nella società capitalista. Questa ricerca, radicale e anche autocritica, lo condusse a ideare dapprima opere fantasiosamente ribellistiche, come One plus one (1968, girato in Gran Bretagna) oppure Vent d'Est, noto anche come Vento dell'Est (1970), realizzato in Italia, e in seguito film militanti politicamente e formalmente molto controllati, quali Pravda (1969) o Lotte in Italia (1971), firmati (assieme a Jean-Henri Roger e Jean-Pierre Gorin) con il nome collettivo di Gruppo Dziga Vertov, ma decisamente segnati dalla sua inconfondibile cifra stilistica e dalla sua intelligenza cinematografica, anche nel caso di una produzione a carattere più industriale come Tout va bien (1972; Crepa padrone, tutto va bene).Dopo un grave incidente e un periodo di riflessione e di isolamento, non privo comunque di progetti ed esperimenti interessanti, G. ritornò al cinema a metà degli anni Settanta confrontandosi con le nuove tecnologie elettroniche e fondando un nuovo gruppo, chiamato Sonimage, che emblematicamente prese sede non a Parigi ma nella periferica Grénoble. Vennero così alla luce il film-video Numéro deux (1975) e i due lunghi programmi televisivi Six fois deux (1976) e France tour/ détour deux enfants (1977-78) in cui, abbandonando il primato della politica, si riscoprivano i temi della famiglia, del lavoro e della vita privata in incontri e dialoghi intrecciati con riflessioni sulla natura del mezzo e dell'immagine. Ma il mezzo elettronico servì a G. anche per appunti e video-sceneggiature da utilizzare nei film che realizzò in seguito, quando trasferì la sua casa-laboratorio in Svizzera con la sua nuova compagna e spesso coregista Anne-Marie Miéville e iniziò una nuova fase della sua attività, tesa a una ricerca più appartata di purezza ed essenzialità dell'immagine, in contrasto con le tradizionali funzioni narrative e comunicative del cinema. Risalgono a questo periodo film di grande pregnanza estetica e stilistica, come Passion (1982), che confronta la quotidianità del lavoro manuale e artistico con le utopie d'autore rappresentate da capolavori della grande pittura europea, sontuosamente ricostruiti in studio; Prénom Carmen, che sublima la grottesca parodia di un mito letterario-operistico nella purezza della musica di L. van Beethoven, e Je vous salue, Marie (1984), che, affrontando con uno sguardo ironico e contemplativo la questione della verginità di Maria e della nascita di Cristo, suscitò polemiche negli ambienti tradizionalisti cattolici in Francia e in Italia. Oltre ai grandi temi G. ha continuato a coltivare nostalgicamente il 'piccolo' cinema dei generi e dei mestieri, come si vede in Détective (1985) e in Grandeur et décadence d'un petit commerce de cinéma (1986), accettando anche lavori su commissione, pubblicità e film promozionali, realizzati sempre con originalità e grande libertà critica. Considerandosi un utopista e un sopravvissuto si è anche rappresentato ironicamente, in una sua liberissima versione di King Lear (1987; Re Lear) o in Soigne ta droite (1987; Cura la tua destra…), nella parte del fool o dell'idiota dostoevskiano, come un povero sciocco che crede ancora nel cinema e nella sua essenza. In Nouvelle vague (1990) ha tuttavia dimostrato di voler andare oltre la rievocazione nostalgica del suo stesso passato e di voler ulteriormente approfondire la sua ricerca sul cinema, le sue strutture narrative e formali, l'invenzione dei personaggi, in una sinfonia di immagini e di citazioni di grande sapienza visiva e sonora.
Gli anni Novanta e gli avvenimenti politici che li hanno caratterizzati hanno indotto G. a riflettere nuovamente sulla storia e sul presente in film come Allemagne année 90 neuf zéro (1992) e Les enfants jouent à la Russie (1993), bizzarri viaggi mentali e romanzeschi nelle grandi culture tedesca e russa e nel loro immaginario cinematografico, mentre For ever Mozart (1996) ha sullo sfondo la guerra in Bosnia e riprende due motivi che hanno accompagnato più o meno esplicitamente tutta la produzione più recente dell'autore, quello delle difficoltà di un regista nel realizzare un film e quello del ruolo dell'artista nella società. Temi che erano apparsi in forma più lirica nel sofferto e orgoglioso autoritratto JLG/JLG ‒ Autoportrait de décembre (1994, poi pubblicato anche in volume, come altri testi di suoi film, a ribadirne il carattere poetico e paraletterario) e che sarebbe ritornato insieme alla riflessione storica in éloge de l'amour (2001). Nel frattempo G. ha sviluppato una sua 'storia del cinema' in video che è contemporaneamente una storia individuale e una riflessione sul 20° sec. che nel cinema si è rispecchiato, composta attraverso assemblaggi e citazioni visive e sonore, racconti e provocazioni, nostalgie e dichiarazioni d'amore. Le Histoire(s) du cinéma (1988-1998) risultano così una sintesi di sapere cinematografico e sensibilità storica e politica, la cui successiva pubblicazione in quattro volumi presso una storica collana della Gallimard (1998) ha trasformato subito in un classico della cultura francese del Novecento, riconoscendo a G. un ruolo particolarissimo di regista e intellettuale capace di portare il cinema ai suoi massimi livelli senza mai richiudersi soltanto in esso.
J. Lesage, Jean-Luc Godard, a guide to references and resources, Boston 1979, con bibliografia precedente.
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Jean-Luc Godard, a cura di S. Toffetti, Torino 1990.
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D. Sterritt, The films of Jean-Luc Godard: seeing the invisible, New York 1999.
Jean-Luc Godard, a cura di E. Bruno, in "Filmcritica", nr. fuori serie, 2002.