Marais, Jean (propr. Villain-Marais, Jean Alfred)
Attore cinematografico e teatrale francese, nato a Cherbourg l'11 dicembre 1913 e morto a Cannes l'8 novembre 1998. La perfezione dei tratti e la grazia atletica del corpo si univano in lui all'espressionedi un'ambigua malinconia, insieme torbida ed enigmatica, e a una plasticità un po' algida che stilizzava la sua inclinazione a interpretare eroi romantici. Fu Jean Cocteau, che lo aveva eletto a compagno di vita e attore privilegiato del suo cinema e del suo teatro nonché modello della sua idea di bellezza poetica, a estetizzarne le qualità, esasperandone l'allure leggendaria. In realtà costituisce la singolare cifra di questo attore una contraddittoria mescolanza di istinto, naturalezza e insieme di affettazione, gusto della posa e della maschera falsificante.
Minore dei tre figli di un veterinario, M. fu soprattutto segnato dalla spregiudicata personalità della madre, che fin da bambino gli fece amare lo schermo e la scena, conducendolo a teatro e al cinema, dove imparò a idolatrare le eroine e gli eroi incarnati da Pearl White o da Douglas Fairbanks. Studiò dapprima al collegio di Saint-Germain-en-Laye e quindi al liceo Condorcet a Parigi. Qui, sempre più insofferente della disciplina scolastica, si scoprì irresistibilmente attratto dal teatro e, dopo un'esperienza di fotografo, finalmente cominciò a calcare le scene accanto a un 'mostro sacro' come Charles Dullin. Ma il maestro, il Pigmalione di tutta una vita, fu Cocteau, il quale modellò M. cucendogli addosso i ruoli chiave nelle sue pièces di successo e costruendone l'immagine nelle riduzioni per lo schermo di quegli stessi lavori teatrali, ovvero concependo per lui travestimenti moderni di celebri mitologie. Fu così per il mito di Orfeo, o per quello di Tristano, rivisitato, con i dialoghi di Cocteau, in L'éternel retour (1943; L'immortale leggenda) di Jean Delannoy, film che gli conferì subito il carisma di un'icona capace di unire il romanticismo a una distante classicità. La seduzione della sua immagine emerse anche nel don José di Carmen di Christian-Jaque, girato nel 1943 e uscito nel 1945, e in Ruy Blas (1948) di Pierre Billon, riscritto da Cocteau non tralasciando il romanticismo di V. Hugo. Quella stessa arcana fascinazione traspariva sotto il trucco elaboratissimo che conferisce una grande malinconia e tenerezza al mostro interpretato da M. in La belle et la bête (1946; La bella e la bestia) ancora di Cocteau. L'angelica fatalità di una terribile bellezza adolescenziale era il modello ideale cui il 'suo' poeta lo piegava: nel figlio troppo amato di Les parents terribles (1948; I parenti terribili) o nel giovane anarchico di L'aigle à deux têtes (1948; L'aquila a due teste), adombrante la passionale tragedia degli amanti asburgici che in quegli stessi anni Delannoy affidava appunto all'interpretazione di M. in Le secret de Mayerling (1949; Il segreto di Mayerling). Eppure quella stessa prestanza inquietante sarebbe diventata barocca magnificenza e disegno stereotipo nei film di cappa e spada o nelle riprese avventurose di gusto feuilleton, cui M. prestò il suo atletismo: da Nez de cuir (1952; 'Naso di cuoio', gentiluomo d'amore) di Yves Allégret a Le comte de Monte-Cristo (1954; Il conte di Montecristo) di Robert Vernay, da La Tour, prends garde! (1958; Agli ordini del re) di Georges Lampin a Le capitaine Fracasse (1961; Capitan Fracassa) di Pierre Gaspard-Huit, fino a Le masque de fer (1962; L'uomo dalla maschera di ferro) di Henri Decoin e ai film diretti da André Hunebelle come Le capitan (1960; Il capitano del re) o le rivisitazioni del personaggio di Fantomas che, a partire dal film omonimo, (Fantômas, 1964, Fantomas '70) costituirono un filone popolare.
Ma ciò che resta della singolarità di questo attore è una mistura di elegante intellettualità mondana e felina istintualità artistica, oltre a una sorta di fiabesca malinconia che si avverte in alcune sue apparizioni: l'amante di Le château de verre (1950; L'amante di una notte) di René Clément, il generale di Eléna et les hommes (1956; Eliana e gli uomini) di Jean Renoir, lo sconosciuto di Le notti bianche (1957) di Luchino Visconti, il professore di Amour de poche (1957) di Pierre Kast, il re di Peau-d'âne (1970; La favolosa storia di Pelle d'asino) di Jacques Demy. Come anche l'aereo, inquieto poeta di Orphée (1950; Orfeo) di Cocteau, la cui leggerezza traspare ancora nell'emozionante commiato del vecchio intellettuale, sua ultima partecipazione cinematografica, in Stealing beauty (1996; Io ballo da sola) di Bernardo Bertolucci.
Oltre a scrivere due autobiografie, Mes quatre vérités (1957) e Histoires de ma vie (1975), negli ultimi anni M. si dedicò anche alla pittura e alla scultura. Nel 1975 Gérard Devillers girò il documentario biografico Jean Marais, artisan du rêve.
T. Klifa, Entretien avec Jean Marais, in "Studio", 1996, 116, pp. 110-14.