Sartre, Jean-Paul
Filosofo e letterato francese (Parigi 1905 - ivi 1980).
Dopo essere stato allievo dell’École normale supérieure di Parigi, dove si laureò in filosofia, si recò in Germania, dove ebbe modo di ascoltare sia Husserl sia Heidegger e di approfondire la filosofia fenomenologica ed esistenziale di cui i due maestri tedeschi erano capiscuola. Tornato a Parigi, iniziò già negli anni Trenta la sua attività di letterato e di filosofo, a cui nel dopoguerra, con la fondazione di Les temps modernes, in collab. con Merleau-Ponty, si aggiunse l’interesse per la politica. Dai primi anni Cinquanta fino alla morte egli fu il massimo rappresentante, oltre che teorico, dell’impegno (engagement) dell’intellettuale in campo politico, dapprima come fiancheggiatore del Partito comunista, poi sulle posizioni di estrema sinistra emerse dal Maggio francese del Sessantotto. I suoi funerali, svoltisi a Parigi nel 1980, che videro un’amplissima partecipazione popolare, segnarono simbolicamente la fine di un’epoca storica, non soltanto per la cultura francese, ma per quella mondiale, per la quale S. aveva rappresentato, in un modo che non ha uguali nel 20° sec., un simbolo della lotta per la libertà (nonostante le sue chiare propensioni politiche, non si era mai iscritto a nessun partito) e di una determinata funzione dell’intellettuale.
La caratteristica di S., fin dalla gioventù, è stata quella di essersi dedicato con pari impegno e con risultati di grande rilievo sia alla letteratura e al teatro sia alla filosofia. Fin dagli anni Trenta, contemporaneamente alla composizione di una serie di saggi di filosofia fenomenologica di notevole rilievo (in partic. L’imaginaire, 1940; trad. it. Immagine e coscienza ), S. pubblicò un romanzo, La nausée (1938; trad. it. La nausea), che, oltre al valore letterario intrinseco, è diventato una sorta di manifesto dell’esistenzialismo. Dietro la «nausea», il male di cui soffre il protagonista del romanzo, si scopre esserci nient’altro che l’insensatezza dell’esistenza, che d’altra parte è anche la condizione della libertà umana: questa è capacità di nullificare ogni entità stabile, ma con ciò stesso si trova proiettata in un mondo completamente estraneo, che nulla ha a che fare e nulla può avere a che fare con essa.
Fin dagli inizi, insomma, la concezione di S. è segnata da un radicale dualismo: da una parte c’è la soggettività, la libertà, il per-Sé, che sono caratterizzati da una negatività radicale, da un Nulla che è attiva distruzione di ogni entità autosussistente, dall’altro le cose, «eccessive», invadenti e vischiose, l’Essere, l’in-Sé. Durante la guerra questa concezione viene espressa da S. nel suo primo grande testo filosofico, L’être et le néant (1943; trad. it. L’essere e il nulla), in cui sviluppa sistematicamente la sua ontologia dualista e la sua concezione tragica dell’esistenza umana come libertà assoluta condannata a un’eterna negazione della ‘cosalità’ in cui è «gettata». Vengono innanzitutto delineate le caratteristiche essenziali dell’essere, che sono la compattezza, l’opacità e l’identità con sé, e poi quelle del non essere, che è per sua definizione qualcosa di meramente negativo, non fissabile ad alcuna determinazione. Il nulla, il per-Sé è dunque un essere del tutto eterogeneo all’essere in sé; a essere portatore del nulla è l’uomo, per cui la concezione sartriana si rivela fortemente incardinata sul momento della soggettività umana cosciente. Caratteristica del testo, che lo distacca dalla struttura delle tradizionali opere filosofiche, è l’utilizzo, ai fini dell’indagine concettuale, di una serie di sottili analisi psicologiche, specialmente di emozioni, di situazioni concrete, di atteggiamenti morali, fra cui la più nota e paradigmatica, per il suo nesso con l’essenziale libertà dell’uomo, è quella della «malafede». S., che non accetta la concezione heideggeriana dell’essere-per-la-morte, esprime molte riserve (specialmente per quanto riguarda l’idea fondamentale dell’inconscio) nei confronti della psicoanalisi freudiana, e formula un’originale prospettiva di «psicoanalisi esistenziale». La concezione della libertà assoluta del singolo uomo si sposa ancora con un’idea di radicale solitudine: gli altri, secondo la visione che S. esprimerà nel famoso atto unico Huis clos (1944; trad. it. A porte chiuse), sono per noi «un inferno», il loro stesso sguardo congela e distrugge la nostra libertà.
Ma gli eventi della guerra mondiale, la partecipazione, seppur in forma soltanto intellettuale, alla Resistenza contro l’invasore nazista e poi le grandi discussioni politiche seguite alla Liberazione faranno maturare in S., su questo punto, una concezione profondamente differente: soltanto gli altri e la condivisione di battaglie per i valori comuni dell’umanità possono dare un senso all’esistenza; quello che era stato un pessimismo rassegnato si trasforma così in un pessimismo etico: la morale e la volontà, la decisione, l’intervento attivo nelle cose degli uomini, la politica saranno ormai le caratteristiche distintive dell’opera di S. fino alla sua morte. La conferenza su L’existentialisme est un humanisme (1946; trad. it. L’esistenzialismo è un umanismo) è l’espressione più chiara di questa svolta e contiene anche alcuni dei temi di fondo della nuova concezione esistenzialistica (ora definita esplicitamente, fin nel titolo, «un umanismo») a cui S. è pervenuto. Così come non si danno valori precostituiti, non si dà un’essenza fissa e determinabile dell’uomo, che non è altro che ciò che si fa e, dunque, responsabile di quello che è, di fronte a sé e agli altri. Esistenzialismo significa dunque ora la creazione di valori universali a partire dalle varie situazioni storiche in cui ci troviamo, e «umanismo» (termine che susciterà in seguito molte polemiche, in primo luogo le obiezioni di Heidegger, nella sua famosa Lettera sull’umanismo) assume pertanto per Sartre un significato assai peculiare, poiché è fondamentalmente l’aspirazione alla libertà che unisce tutti gli uomini.
Negli anni seguenti, da questa posizione morale ancora assai indeterminata sul piano politico, S. perverrà, specie dopo la rottura, nel 1953, con Merleau-Ponty, ad avvicinarsi sempre di più al comunismo; di conseguenza, il fuoco della riflessione sartriana si sposta sul rapporto fra esistenzialismo e marxismo e sulle questioni della praxis e della storia: sono questi i temi a cui è dedicata la Critique de la raison dialectique (1960; 2° vol. post., 1985; trad. it. Critica della ragione dialettica), il lavoro filosofico più maturo e sistematico che egli ha composto dopo L’essere e il nulla. Il tentativo di rinnovare il marxismo, di farne una filosofia non dogmatica è la sostanza dell’opera, in cui la «ragione dialettica», che caratterizza la prassi umana, cioè la storia, viene contrapposta alla ragione meccanica delle scienze naturali. Anche al dualismo fra essere e nulla S. conferisce una nuova veste, che tenta di dare una risposta alla burocratizzazione a cui era andata incontro la rivoluzione sovietica: Sartre vede ora un’oscillazione perpetua e irriducibile fra un momento attivo della libertà individuale come «totalizzazione» e la sua ricaduta nel «pratico-inerte»; il primo momento troverà la sua espressione privilegiata nella concezione del «gruppo in fusione», cioè di un collettivo rimesso continuamente in gioco dalla sua stessa praxis, teorizzazione che egli applicherà successivamente agli eventi del Maggio francese, che lo videro attivamente coinvolto. Ma non bisogna dimenticare che, nel frattempo, S. aveva continuato a coltivare i suoi interessi letterari con altrettanto impegno: ne fanno prova, in primo luogo, la straordinaria opera, di carattere autobiografico, Les mots (1964; trad. it. Le parole), in cui l’autore sottopone a una spietata quanto lucida analisi autocritica la sua attitudine di letterato e di intellettuale, e in partic. la sostituzione delle «parole» con la realtà che aveva molto a lungo praticato; in secondo luogo, il monumentale studio su Flaubert, L’idiot de la famille (3 voll., 1971-72; trad. it. L’idiota della famiglia), che rappresentò l’attività segreta dei tardi anni di un S. che sembrava completamente assorbito da un impegno politico totalizzante ed estremistico: conferma della ricchezza e della poliedricità di una personalità della cui opera molti fili rimangono probabilmente ancora da districare e che, nonostante le sue non poche contraddizioni ed errori, ha lasciato nella cultura del 20° sec. un’impronta difficilmente cancellabile.
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