Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Fra i maggiori compositori francesi del XVIII secolo, oltre che teorico d’importanza europea, Jean-Philippe Rameau dà importanti contributi ai generi della musica cembalistica e da camera. Per la sua produzione operistica, intensa seppur iniziata piuttosto tardi, è stato definito dai contemporanei “l’Orfeo del nostro secolo”.
Il teorico dell’armonia
Con la rivendicazione dell’autonomia della musica, in quanto arte disciplinata da suoi principi peculiari, esattamente come le altre scienze sono regolate da leggi fisiche, Jean-Philippe Rameau si inserisce nel dibattito teorico della sua epoca e vi apporta un contributo di assoluto rilievo. Osservatore attento dei fenomeni acustici e armonici, Rameau ritiene che la musica sia regolata solo dalle proprie leggi “naturali”, di tipo matematico e non rimandi a modelli estranei alla musica stessa. Con tipica fede illuminista, che non riconosce altra autorità all’infuori della ragione, il teorico francese ritiene che il musicista abbia il compito di indagare e conoscere tali leggi, se vuol essere perfettamente padrone della sua arte.
Su questa via, Rameau giunge alla formulazione sistematica e organica di una teoria dell’armonia, ricondotta a principi fisico-acustici e approfondisce inoltre alcuni aspetti, quali i rapporti “funzionali” e le attrazioni fra accordi, che la teoria armonica precedente – improntata a una concezione pratico-empirica, aliena da interrogativi teorici – non aveva preso in considerazione.
Col Traité de l’harmonie réduite à ses principes naturels, edito a Parigi nel 1722, riceve i primi riconoscimenti e guadagna una reputazione che si consoliderà negli anni successivi, grazie alla pubblicazione di numerose altre opere teoriche.
Rameau prende le mosse dalla teoria pitagorica riveduta da Zarlino, aggiornando il concetto di consonanza tra due suoni al linguaggio tonale che si era affermato da circa un secolo senza avere ancora trovato una sistemazione teorica. La consonanza dell’accordo perfetto trova, secondo Rameau, un fondamento in natura: l’accordo maggiore, che si compone di una terza maggiore più una terza minore, si ritrova nella divisione armonica di una corda vibrante; l’accordo minore, composto dalla sovrapposizione di una terza minore e una terza maggiore, si può ricavare da una divisione aritmetica. Per Rameau gli accordi, siano essi in posizione fondamentale o di rivolto, hanno un “centro armonico”: sono generati da un suono unico, che costituisce la nota di riferimento (ovvero il “basso fondamentale”). È proprio questa nota che conferisce all’accordo un’identità e una funzione precisa e sono i rapporti tra i bassi fondamentali che regolano la successione delle armonie. Nel Traité de l’harmonie, inoltre, i fenomeni della consonanza e della dissonanza sono razionalmente ricondotti nell’alveo di una teoria degli affetti: una passione come la gioia richiede consonanze o dissonanze preparate, altre, come l’ira o la disperazione vogliono dissonanze prive di preparazione.
Al primo trattato fanno seguito altri: nel 1726 il Nouveau système de musique théorique, nel 1737 la Génération harmonique. Quest’ultimo è decisivo per il pensiero teorico di Rameau.
Vi vengono applicate, per la prima volta, le scoperte di Joseph Sauveur, che nel 1701 aveva riconosciuto il fenomeno della risonanza; in esso Rameau trova una conferma alla sua teoria: nel basso fondamentale, infatti, individua il generatore della serie delle armoniche naturali.
Con la Démonstration du principe de l’harmonie, pubblicata nel 1750, Rameau connette l’espressione musicale ai rapporti del sistema tonale, stabilendo una sorta di tabella di equivalenza tra affetti e tonalità; con ciò individua nell’armonia il veicolo più potente per trasmettere le passioni e comunicare il senso drammatico di un testo. E dal momento che la melodia dipende dalla natura e dalla connessione degli accordi, Rameau formula il concetto, del tutto nuovo per l’epoca, secondo il quale è la melodia a discendere dall’armonia, e non viceversa.
Le teorie di Rameau si inseriscono nell’ampia cornice del pensiero illuminista, che tende a dare una sistemazione teorica alle arti, alle tecniche e a tutti i campi dello scibile e sono, inoltre, la perfetta emanazione dell’idea che la natura sia alla base dei fenomeni. Poiché fornisce una coerente giustificazione e un fondamento razionale al linguaggio tonale, basato sulle leggi dell’armonia triadica (composta cioè da accordi di tre suoni), la sua opera è una pietra miliare per lo sviluppo di una teoria dell’armonia nella musica occidentale e costituisce il punto di partenza di ogni teoria musicale successiva.
Il compositore di musica strumentale
Gli esordi professionali del Rameau compositore coincidono con un’oscura attività di musicista nella provincia francese. Rameau nasce a Digione e riceve la prima educazione musicale dal padre; per un certo numero di anni esercita la professione di organista di chiesa in varie città di provincia, dedicandosi in parallelo allo studio teorico, al quale deve i primi riconoscimenti.
A partire dagli anni Venti, Rameau consolida la propria fama anche come compositore e insegnante; questa è anche l’epoca in cui pubblica la maggior parte della musica per clavicembalo.
Adeguandosi al gusto dominante nella musica strumentale francese, e seguendo le orme di Couperin, Rameau indulge volentieri al pittoricismo: le sue composizioni per clavicembalo, quando non vengono modellate su una forma di danza o su una chanson, traggono spunto dalla descrizione di un soggetto. Superano però i modelli del vecchio maestro per varietà ritmica e armonica e per la loro raffinata capacità evocativa.
La produzione cembalistica di Rameau è suddivisa in tre raccolte, intitolate Pièces de clavecin (pubblicate rispettivamente nel 1706, 1724 e 1728), che contengono in tutto 57 pezzi.
Il primo libro comprende nove danze, precedute da un preludio. Il secondo (nel quale è incluso anche un trattato di tecnica clavicembalistica) presenta brani descrittivi, che recano titoli quali Le rappel des oiseaux, Les soupirs, Les tourbillons, L’entretien des Muses, alternati a movimenti in forma di danza; Rameau indulge qui a un certo virtuosismo strumentale e introduce molte novità di scrittura. La terza raccolta, che consta di due suite, costituisce una delle vette dell’arte cembalistica settecentesca.
Anche in questo libro brani descrittivi (La poule, Les sauvages, Fanfarinette) si alternano a movimenti in forma di danza, fra i quali spicca una gavotte seguita da sei doubles, cioè variazioni estremamente ricche d’inventiva. Più che altrove Rameau indulge qui a un certo sperimentalismo: in Les trois mains, l’effetto illusionistico di un brano eseguito a tre mani è prodotto dal gioco incrociato della destra e della sinistra; in L’enharmonique è presente, sullo sfondo, l’esperienza teorica di quegli anni, con la scoperta degli studi di acustica di Sauveur.
Minore per mole, ma non per qualità, è la produzione di Rameau nel campo della musica da camera, il cui corpo centrale è costituito dalle Pièces de clavecin en concerts, avec un violon ou une flûte, et une viole ou un deuxième violon (1741). Si tratta di una raccolta di cinque concerti (in realtà suite vere e proprie) in un numero variabile di movimenti; destinati alla musica da camera del re, si inseriscono a pieno titolo nella tradizione francese del concerto a più strumenti (privo dell’italiana opposizione fra “soli” e “tutti”), ma presentano caratteri di spiccata originalità nel trattamento autonomo del clavicembalo, che anticipa il ruolo del pianoforte nel trio classico.
Il compositore drammatico
Al teatro musicale Rameau giunge relativamente tardi, all’età di cinquant’anni. L’occasione del debutto gli è fornita da un nobile finanziere francese cui dà lezioni di musica, Alexandre Jean-Joseph Le Riche de La Pouplinière: nel 1731 Rameau assume la guida della sua orchestra privata. Al compositore, La Pouplinière presenta Voltaire, che scrive per lui un libretto; ma l’opera, intitolata Samson, è bloccata dalla censura, che non ammette sulle scene un soggetto biblico. Sul lavoro di un nuovo librettista, l’abate Simon-Joseph de Pellegrin, Rameau compone Hippolyte et Aricie, ispirato alla Phèdre di Racine. L’opera, che va in scena all’Opéra di Parigi nel 1733, fa scalpore. La drammaticità intensa della musica suscita reazioni contrastanti: alcuni esaltano il musicista come “l’Orfeo del nostro secolo”, altri trovano la sua musica troppo complessa e artificiosa.
Negli anni seguenti vedono la luce Les Indes galantes (1735), Castor et Pollux (1737), Dardanus (1739); anch’esse vanno ad alimentare la polemica tra “ramisti” e “lullisti”. Questi ultimi prendono di mira soprattutto l’audacia armonica di Rameau, che pare rivoluzionare le opere paradigmatiche di Lully, additate ad esempio del gusto e della tradizione francese.
Le opere di Rameau, tuttavia, finiscono per guadagnare il favore del pubblico, e la disputa si spegne poco a poco negli anni seguenti.
Dopo il 1740 la produzione operistica di Rameau subisce una battuta d’arresto: in parte perché il compositore è amareggiato dalle polemiche suscitate dalla sua musica, in parte perché è insoddisfatto dalla conduzione dell’Opéra. Ma quando la direzione del teatro passa da Eugène de Thuret a Jean-François Berger, nel 1744, la produzione riprende: nel 1745, in un solo anno, Rameau compone ben quattro opere drammatiche. Nel 1749 si accende una nuova disputa intorno a Zoroastre: il compositore decide, ancora una volta, di abbandonare temporaneamente le scene.
Dopo il 1752 Rameau è coinvolto, suo malgrado, nella querelle des bouffons, nella quale passa per l’alfiere della musica francese, contrapposta a quella italiana; nel 1754 prende parte personalmente alla disputa con le Observations sur notre instinct pour la musique.
Negli ultimi tredici anni di vita (1752-1764) vi è un calo della produzione drammatica: Rameau si limita per lo più alla composizione di piccole pastorali e alla revisione delle opere precedenti.
Rameau si cimenta principalmente nella tragédie lyrique e nell’opéra-ballet, senza tuttavia disdegnare gli altri generi dell’opera francese: la pastorale héroïque, la comédie lyrique, la comédie-ballet. Per stile e forme musicali Rameau si inserisce perfettamente nel filone che discende da Lully, del quale raccoglie l’eredità; di quella tradizione modifica tuttavia alcuni elementi importanti.
Il recitativo, pur osservando la cura tipicamente francese della declamazione, è più vario e sofisticato che nei predecessori: all’interno del tradizionale stile sillabico trovano spazio dettagli espressivi e ornamentali, oltre a una ricchezza armonica inedita per l’epoca. Accordi dissonanti, appoggiature frequenti, modulazioni a tonalità lontane sono i caratteri che sconcertano una parte del pubblico e spingono alcuni a parlare di “artificiosità” della musica di Rameau, cui viene contrapposta la “naturalezza” di quella di Lully.
Grande varietà formale e commistione stilistica contraddistinguono i pezzi solistici delle opere di Rameau: arie su uno schema di danza si alternano ad ampie arie con il “da capo”, la caratteristica declamazione dello stile vocale francese al virtuosismo canoro degli italiani. Tipici sono anche gli airs tendres e gli airs de monologue, riservati ai momenti altamente espressivi, dove una linea vocale lenta e intensa, pressoché sillabica, è sostenuta da un accompagnamento ricco e importante.
Numerosi sono gli ensembles e i cori, di prammatica nell’opera francese dell’epoca. La ricchezza, la varietà, la potenza drammatica dei cori di Rameau – che possono avere una funzione decorativa oppure partecipare all’azione – richiamano i grandi cori oratoriali di Händel. Rameau mostra anche un’originalità spiccata nel trattamento strumentale: incline al pittoricismo, sfrutta il colore armonico e le capacità descrittive dell’orchestra, che sorveglia con una cura inedita per l’epoca.
Le opere di Rameau si guadagnano il favore di una parte larghissima del pubblico. Il compositore riceve riconoscimenti a corte e gode della stima degli intellettuali. Le sue opere sono rappresentate a Parigi e in tutta la provincia francese e restano in repertorio fino a metà degli anni Settanta; vengono abbandonate solo quando iniziano a diffondersi i melodrammi di Gluck, che causano in breve tempo una vera e propria rivoluzione nel gusto.