Jeanne Dielman, 23 Quai du Commerce, 1080 Bruxelles
(Belgio/Francia 1975, colore, 212m); regia: Chantal Akerman; produzione: Évelyne Paul, Corinne Jénart per Paradise Films/Unité Trois; sceneggiatura: Chantal Akerman; fotografia: Babette Mangolte; montaggio: Patricia Canino; scenografia e costumi: Philippe Graff.
Nel suo ordinato appartamento di giovane vedova, Jeanne Dielman conduce una vita regolata come un orologio. Si impegna nei lavori domestici, con la precisione automatica e lievemente maniacale che solo anni d'abitudine possono aver indotto. A metà pomeriggio, mette la cena sul fuoco, poi suonano alla porta: è il suo cliente. Insieme vanno in camera da letto, e poco dopo ne escono; lui paga e se ne va, Jeanne dà aria alla stanza, si lava, apparecchia la tavola. Il figlio Sylvain torna da scuola, i due consumano il pasto serale senza dirsi una parola. Dopo cena, mentre il ragazzino ripassa le lezioni, lei ascolta la radio e lavora a maglia; poi esce, fa una passeggiata nell'oscurità delle strade, rientra e va a dormire. Il giorno dopo tutto ricomincia: lucidatura delle scarpe, colazione di Sylvain, spesa al mercato, lavori di casa, un pranzo frugale, i preparativi per la cena e la visita d'un altro cliente. Ma questa volta le patate cuociono troppo, la cena sarà ritardata, e l'equilibrio di Jeanne si incrina: dimentica di spegnere le luci, non trova più gli utensili di cucina, non riesce a rispondere alla lettera della sorella. Solo il rito della passeggiata serale sembra restituirle la calma. Il terzo giorno l'inquietudine serpeggia in ogni gesto domestico; la chiusura inaspettata dell'ufficio postale turba ancor di più il ritmo quotidiano di Jeanne. Tutto le comunica un vago disgusto. Poi il nuovo cliente arriva, e lei prova piacere: inorridita, gli pianta allora un paio di forbici in gola, quindi si mette a sedere e aspetta.
Jeanne Dielman, 23 Quai du Commerce, 1080 Bruxelles rimane il punto nodale, la pietra miliare nella carriera di Chantal Akerman, che ha da subito alternato fiction e documentario. Il cinema documentario della Akerman è caratterizzato da una qualità speciale di sguardo. La sua macchina da presa non osserva né sorprende ciò che è 'interessante', secondo il classico approccio documentaristico: semplicemente guarda e mostra, e davanti all'obiettivo vi è ben poco di straordinario. Qualità del suo sguardo è un'insistenza capace di 'far vedere' senza necessità di commenti, inquadrando con non comune padronanza aspetti della realtà in un tempo assoluto. L'immagine frammenta e ricompone il reale rendendolo intellegibile, ovvero, di nuovo e in altro modo, visibile. I lunghi piani-sequenza si succedono secondo una logica puramente plastica. Cinema astratto, si potrebbe dire. Con la differenza che la scelta del punto d'osservazione in cui la regista si pone coincide spesso con la scelta d'un soggetto forte: la vita quotidiana a Mosca dopo la caduta del muro (D'Est, 1993); il sud degli Stati Uniti e il suo clima segregazionista (Sud, 1999); la frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti, luogo di tensione sospeso tra due mondi (De l'autre coté, 2002).
In un certo senso Jeanne Dielman, 23 Quai du Commerce, 1080 Bruxelles è prima di tutto un documentario, o meglio un documento, su una giornata nella vita di una donna, una semplice casalinga madre di un adolescente. La osserviamo mentre svolge le sue banali e abituali faccende: ciò che in altri film è soltanto suggerito da ellissi, qui si espande in durata, e il tempo si riempie unicamente di gesti quotidiani privi di importanza e di conseguenze. Ma attraverso un ardito capovolgimento, la Akerman situa questo approccio semi-documentaristico nel contesto d'una duplice fiction, anche se la narrazione propriamente detta viene soltanto sfiorata. In realtà questa casalinga pratica la prostituzione: visite clandestine di 'signori', soltanto intraviste, a casa sua ‒ 23 Quai du Commerce, 1080 Bruxelles. Per la loro brevità e mancanza di insistenza queste visite sono in profondo contrasto con le attività casalinghe di Jeanne Dielman. Poi, un giorno, questa routine viene turbata ed è sul punto di divenire un'avventura. "Un giorno...": ecco che interviene la narrazione vera, la finzione a uno stato puro e minimale. Così, "un giorno", Jeanne Dielman prova piacere fisico durante uno dei suoi rapporti sessuali. A partire da quel momento si scatena una serie di catastrofi casalinghe. Il suo quotidiano non funziona più. Il secondo importante elemento di finzione, inaspettato e anticonvenzionale, è la scelta di Delphine Seyrig, all'epoca grande star del teatro e del cinema francese, per il ruolo di Jeanne Dielman. Laddove un altro cineasta, nel rispetto della tradizione neorealista, avrebbe scelto un'interprete anonima o un'attrice non professionista, la Akerman opta per una diva che si trova qui a essere privata di tutti i propri artifici. La scelta di Delphine Seyrig corrisponde a un'esigenza chiara: la precisione quasi matematica, la perfetta coreografia richiesta nell'esecuzione di semplici gesti quotidiani poteva essere ottenuta soltanto da un'attrice dotata di un'eccezionale tecnica gestuale, capace di eseguire i gesti del quotidiano come una partitura musicale. In questo modo il dialogo tra fiction e non-fiction trova una duplice corrispondenza: l'aspetto documentaristico è trasceso da una narrazione semplice ma incisiva, mentre la dimensione irreale legata alla presenza di una star come Delphine Seyrig è non tanto smascherata, quanto ridotta alla sua espressione più nuda, quella di un agire professionale documentato dallo sguardo attento della regista. La costruzione del film impone allo spettatore questo raffinato dialogo tra i due diversi registri senza alcun artificio intellettuale, in perfetta trasparenza. Allo stesso modo il 'messaggio' che, all'uscita del film e poi per molti anni, ha fatto di Chantal Akerman una sorta di ninfa Egeria del cinema femminista possiede una grande evidenza, tanto più sorprendente e forte proprio perché semplice. In seguito il suo cinema, soprattutto sul versante fiction, si arricchirà: il verbo, la parola, ma anche la scrittura contribuiranno a creare un inquietante equilibrio tra ciò che esiste come narrazione e ciò che viene osservato in quanto documento, testimonianza. Cinema che inquadra, dunque, o della durata inquadrata. Sorprendente percorso i cui elementi sono già tutti presenti in questo film, nel quale l'essenza e l'evidenza davvero coincidono.
Interpreti e personaggi: Delphine Seyrig (Jeanne Dielman), Jean Decorte (Sylvain), Henri Storck (primo cliente), Jacques Doniol-Valcroze (secondo cliente), Yves Bical (terzo cliente).
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Il cinema di Chantal Akerman, a cura di A. Aprà, B. Di Marino, Roma 1997.