Jarmusch, Jim
Regista cinematografico statunitense, nato ad Akron (Ohio) il 22 gennaio 1953. Autore di gusto europeo, ha mostrato sempre un profondo interesse per l'incontro tra le culture più disparate, e per i paradossi e le ironie che possono derivarne. Le sue scelte registiche (per lo più lontane da concessioni all'industria cinematografica), le tonalità grigie del cinema underground di cui è erede, i piani-sequenza protratti oltre il pensabile, il montaggio lento, senza dialoghi, costituiscono la reazione alla chiassosità e alla velocità dello stile televisivo e degli spot pubblicitari.
Formatosi a New York come comparatista alla Columbia University, sviluppò una grande passione per il cinema frequentando a Parigi la Cinémathèque française diretta da Henri Langlois, dove scoprì la Nouvelle vague francese ma anche i film indiani di Mrinal Sen e Satyajit Ray, il cinema africano e cinese. Cominciò così a scrivere racconti simili a sceneggiature e con il suo bagaglio letterario e qualche fotografia si presentò alla scuola di cinema della New York University, allora diretta da Laslo Benedek, dove divenne assistente del regista Nicholas Ray. Da quest'ultimo J. assimilò l'uso dei lunghi piani-sequenza isolati l'uno dall'altro fino a formare una storia sospesa e frammentata. Negli anni Settanta fu però la scena musicale di New York a offrire gli stimoli maggiori al giovane regista, che prese a frequentare le rock band dei locali più noti del Lower East Side. E proprio dalle suggestioni su di lui esercitate dall'estetica 'punk' mediata dall'influenza della Nouvelle vague nacquero i suoi primi film, lontani da modelli virtuosistici e basati su un'espressività livida aperta alle più diverse contaminazioni. Realizzò così Permanent vacation (1982), opera a bassissimo costo, girata tra le macerie urbane di una New York spopolata e attraversata da uno spettrale sassofonista. Il film venne subito notato al Festival di Berlino e gli valse un finanziamento da parte di una produzione tedesca. Nel 1983 poté quindi realizzare Stranger than Paradise (1984; Stranger than Paradise ‒ Più strano del paradiso), vincitore della Caméra d'or al Festival di Cannes. J. elaborò il film aggiungendo a cinquanta minuti di materiale già filmato, cedutogli da Wim Wenders dopo il montaggio di Der Stad der Dinge (1982), una sceneggiatura ideata con il musicista John Lurie e recitata dagli attori dello Squat Theatre. A quelle prime prove sono seguiti film continuamente aperti a ibridazioni e intrecci di culture in cui personaggi in viaggio o in fuga e diversi tra loro producono complesse alchimie relazionali. Così Down by law (1986; Daunbailò) è una fiaba cajun girata in Louisiana che narra la fuga donchisciottesca di tre forzati: un turista italiano (interpretato da Roberto Benigni), uno sfruttatore di prostitute laconico e un disc jockey letargico. Mentre Mystery train (1989, vincitore del premio per il contributo artistico al Festival di Cannes) è una storia originale a episodi, fotografata da Robby Müller (primo risultato di una collaborazione destinata a continuare nel tempo), sul cui sfondo aleggia il mito di Elvis Presley; infatti il treno porta a Memphis, città fantasma e culla del rock and roll, il solito gruppo eterogeneo di personaggi eccentrici e divertenti: due teenager giapponesi, un'italiana arrivata negli Stati Uniti per ritirare le ceneri del marito, un gruppo di banditi maldestri. Tutti questi stranieri spaesati negli Stati Uniti, come già gli ungheresi di Stranger than Paradise, l'italiano di Down by law e, successivamente, il francese di Haiti di Ghost Dog: the way of the Samurai (1999; Ghost Dog ‒ Il codice del Samurai), sono personaggi disancorati dalle loro culture d'origine, senza chiara destinazione, colti in una 'vacanza permanente'. Quasi a voler dire che l'America è un Paese plurale che mescola le vite con esiti bizzarri e regala singolari compagni di strada. In particolare la forza di Mistery train è nella miscela incongrua prodotta dai personaggi e dall'ironia delle situazioni, dal fatto che culture distanti possano produrre effetti paradossali. Night on earth (1992; Taxisti di notte ‒ Los Angeles New York Parigi Roma Helsinki), uno dei pochissimi esiti a colori del regista (tra cui devono annoverarsi le scene del documentario su Neil Young Year of the horse, 1997, dove J. ritrae i musicisti in Technicolor, mentre il pubblico è in bianco e nero), si compone di brevi sketch: 'commedia in cinque sezioni', il film ritrae cinque città attraversate in taxi in un nuovo incastro di vite simultanee. A unire i destini separati degli eroi di J. è un tassista da pagare e il tempo che scorre inesorabilmente, mentre la macchina da presa appare sempre attenta a catturare la sensibilità dei diversi luoghi e dei protagonisti. Ma il passaggio alla grande produzione non ha facilitato il lavoro di Jarmusch. Dopo questo film il regista, di spirito indipendente e schivo, è tornato sugli schermi con una nuova opera solo nel 1995, realizzando Dead man, interpretato da altri due ex protagonisti della scena musicale, Johnny Depp e Iggy Pop. Il viaggio del protagonista appare ancora insensato e paradossale, ma si rivela al contempo un passaggio transitorio, un cammino mistico-simbolico verso la morte. Un candido ragioniere con il nome del poeta e pittore William Blake, dopo essere rimasto orfano si dirige a Ovest per rifarsi una vita a Mechanic, città industriale del West in cui regna la violenza, l'abuso e il caos. Nel suo viaggio iniziatico si accompagna a personaggi improbabili, fra cui un indiano, Nobody (Gary Former), che, convinto di avere di fronte il poeta in persona, cita a memoria i suoi versi. Il film è fatto di poche battute essenziali e di lunghi spazi vuoti tra i dialoghi, quale segno distintivo dello stile del regista che ha sempre fatto un uso letterario delle pause. Dead man, western psichedelico e inno a Blake, poeta e artista visionario, si avvale del commento della chitarra elettrica di Neil Young. Ghost Dog (film basato su Le Samouraï, 1967, di Jean-Pierre Melville) presenta un altro titano postmoderno destinato a soccombere: il samurai dai solidi principi Zen che si muove in un mondo incomprensibile. Il regista ne traccia un ritratto esemplare, incongruo perché sproporzionato all'amorale prosaicità del mondo occidentale che non rispetta né comprende codici morali diversi dal proprio. Il film è scandito da aforismi tratti dall'Hagakure, il libro dei samurai: citazioni che imprimono all'opera quel ritmo interrotto che è la cifra del cinema di Jarmusch.
Le sospensioni da film noir presenti nelle sue opere rimandano alla scena 'dark' musicale cui egli appartiene, mentre lo stile minimalista, sottolineato dall'uso del bianco e nero, tende a separare più che a propiziare incontri. Come dimostrano anche i finali, sempre centrifughi, e le stesse relazioni raccontate, sempre episodiche e mai quotidiane, tipiche di una società erratica come quella statunitense. Il disincanto 'punk' dell'autore si è andato però stemperando proprio nell'inatteso lirismo di Dead man e di Ghost Dog, in cui il regista, tornato alle radici letterarie, ha elaborato ritratti più approfonditi. In particolare quello del killer-samurai di Ghost Dog, la cui morale conduce alla morte, ma in quanto spinto da motivazioni più profonde rispetto alla contingenza della vita, almeno agli occhi dello spettatore viene riscattato dai giochi del caso e dalla banalità.
U. Mosca, Jim Jarmush, Milano 2000; Interview with Jim Jarmusch, ed. T. Lippy, in Projections 11. New York film-makers on New York film-making, London 2001, pp. 252-67; Jim Jarmush: Interviews, ed. L. Hertzberg, Jackson (MS) 2001; P. Romagnani, Jim Jarmush. Una storia indipendente, Faenza 2002.