jo
Delle genti reduci da Babele che pervengono (o ritornano) in Europa recandovi un ydioma tripharium a sua volta poi variamente frazionato, un gruppo occupa septentrionalem regionem del continente (VE I VIII 2); e precisamente: totum quod ab hostiis Danubii sive Maeotidis paludibus, usque ad fines occidentales Angliae, Ytalorum Francorumque finibus'et Oceano limitatur, solum unum obtinuit ydioma; licet postea per Sclavones, Ungaros, Teutonicos, Saxones, Anglicos, et alias nationes quamplures fuerit per diversa vulgaria dirivatum; hoc solo fere omnibus in signum eiusdem principii remanente, quod quasi praedicti omnes jo affermando respondent (§ 4). La ragione per cui D. afferma senz'altro che i popoli di lingua germanica occupano la parte settentrionale dell'Europa, mentre i parlanti oc, sì e anche öil sono stanziati in quella meridionale (cfr. sempre VE I VIII 2 e 7) sta nelle rappresentazioni geografiche e cartografiche medievali, nelle quali si aveva una fortissima rotazione verso est (l'Italia risultava orientata, invece che da nord-ovest a sud-est, quasi da ovest a est, in posizione vagamente orizzontale, di modo che la Germania veniva a essere non a est, ma a nord-est della Francia, e si capisce anche come D., enumerando i popoli germanici a partire, come pare, da oriente, cominci dagli Sclavones, rispetto ai quali gli Ungari risultano press'a poco nord-occidentali.
Rappresentazione e classificazione, come si capisce, sono in D. generiche. I confini sono però tracciati in modo abbastanza dettagliato: le coste occidentali dell'Inghilterra (o dell'Irlanda?) e dall'altra parte le foci del Danubio e il Mar d'Azof; a sud sono indicati gli ‛ Ytalorum Francorumque fines ', cioè con ogni probabilità i confini dell'Italia e della Francia con la Germania (ivi compresi gli Sclavones); più vago il limite rispetto ai Graeci, indicato nel successivo § 5. Piuttosto la scarsità d'informazione concreta emerge dalle varie attenuazioni e approssimazioni (fere omnibus, quasi praedicti omnes, alias nationes quamplures) e dalla stessa assunzione del solo avverbio affermativo come spia unitaria, che pur rientra nelle abitudini del trattato (cfr. I VIII 6, XIV 3, e anche X 1). Quanto alla forma, jo e non ja, a parte l'ipotesi di tramite austriaco e alamannico formulata dal Galvani, si può ricordare che iò è menzionato come avverbio affermativo germanico non solo dal Marsili, chiosatore trecentesco del Petrarca, e più tardi nelle note al canto XXXIII dell'Inferno del Landino e del Vellutello; e cfr. anche il Dialogo sulla lingua del Machiavelli, ediz. Flora-Cordiè, II 807.
L'affinità tra inglese e tedesco è implicitamente asserita anche in Cv I VI 8 uno abituato di latino non distingue, s'elli è d'Italia, lo volgare [inghilese] da lo tedesco; quanto alla distinzione, fra i Tedeschi, di Teutonici e Saxones, il Marigo suppone con buoni argomenti che con essa D. intenda porre un'effettiva differenziazione non solo d'ordine geografico-politico, ma anche linguistico, tra la lingua tedesca del sud, teutonica, divenuta lingua letteraria e cancelleresca (hochdeutsch), e quella del nord, rappresentata dai Sassoni, rimasta lingua popolare (niederdeutsch). Si noti infine l'errata ascrizione di Sclavones (ma a quali popoli precisamente dell'attuale Iugoslavia D. si riferirà?) e Ungari al gruppo germanico. È stato ricordato che effettivamente " in un'ampia area slava, vicino alle Venezie, si ode effettivamente quel tipo d'affermazione: ja, con un a più o meno labializzato " (Bartoli), e d'altra parte che pure tra gli Ungheresi è in uso la particella jo, col senso di " bene "; meglio ancora si potrebbe tener presente che all'università di Bologna studenti schiavoni e ungheresi appartenevano alla natio teutonica. Ma non giova insistere, data l'evidente approssimatività del discorso dantesco.
Bibl. - F. D'ovidio, Sul trattato De vulg. Eloq. di D.A. (1873), poi in Versificazione romanza. Poetica e poesia medioeva'e, II (Opere IX II), Napoli 1932, 275-276, 279; M. Bartoli, in " Miscellanea Facoltà Lettere Magistero Università Torino " I (1936) 94; Marigo, De vulg. Eloq. XCI-XCLI, 47, 49-52; B. Terracini, Il De vulg. Eloq. e le origini della lingua italiana, Torino 1948, 49; G. Vinay, Ricerche sul De vulg. Eloq., in " Giorn. stor. " CXXXVI (1959) 372; A. Schiaffini, Interpretazione del De vulg. Eloq. di D., Roma 1963, 57-59.