GAAP (Gaab), Johann Adolf (Rodolfo)
Figlio di Adolf, nacque ad Augusta il 17 nov. 1667. Oltre al padre, anche il resto della famiglia lavorò nel campo dell'oreficeria, per cui è possibile ipotizzare che la sua formazione sia avvenuta all'interno della bottega familiare. Non si conoscono tuttavia le ragioni per cui il G. si trasferì a Roma; il Berliner (1952-53) ipotizza che un motivo poté essere la morte del padre nel 1695, che dovette lasciare la famiglia in difficoltà economiche, o forse una sua conversione al cattolicesimo. Secondo il Bulgari (1958), però, il G. si doveva trovare a Roma già nel 1691, quando risulta attivo nella bottega del maestro argentiere perugino G.A. Vincenti. Presso quest'ultimo realizzò un calice firmato e datato 1691, con il bollo del maestro Vincenti, che si conserva nel museo della chiesa di S. Francesco ad Assisi. Si tratta probabilmente della stessa opera per cui il Berliner proponeva una datazione tra il 1697 e il 1700 e che diceva regalato nel 1707 alla chiesa di S. Francesco dal cardinale L. Colloredo, protettore dei frati minori conventuali.
Al periodo romano dovrebbe risalire anche una medaglia in argento per pellegrini che il Berliner (1952-53, fig. 1) data al nono decennio del sec. XVII: si tratta di una medaglia ovale che raffigura sul recto la Madonna miracolosa di Einsiedeln e sul verso il Martirio di s. Meinrado.
La Madonna in gloria riprende l'iconografia del XV secolo, mentre lo stile si attesta sul gusto degli orafi tedeschi della seconda metà del XVII secolo. La scena del martirio denuncia, secondo il Berliner, un'evidente italianizzazione del gusto del G. e rimanda a Marcantonio Raimondi e al Martirio di s. Stefano del Cigoli (Firenze, Accademia). Tra le fonti del G. il Berliner ipotizza anche la Visione di s. Margherita da Cortona (Firenze, Museo di Palazzo Pitti) di Lanfranco e una medaglia di M. Soldani con Carlo V di Lotaringia.
Attorno al 1693 il Berliner colloca un'altra opera del G., che si conserva presso il Bayerisches Nationalmuseum di Monaco: si tratta del rilievo in bronzo dorato che raffigura il Compianto sul Cristo morto, vicino alla Pietà Doria di Annibale Carracci e ancora alle opere del Soldani, tanto da far ipotizzare un alunnato del G. presso quest'ultimo nella prima metà degli anni Novanta.
A Roma il G. dovette affermarsi bene nella sua professione come attesta la copiosa attività per i gesuiti. Ben presto infatti iniziò a lavorare nella chiesa del Gesù per il nuovo altare di S. Ignazio, progettato da Andrea Pozzo. La prima notizia sicura della sua collaborazione risale al 20 genn. 1696.
Si tratta di uno degli incarichi più importanti che il G. dovette ricevere a Roma e che si protrasse almeno fino alla fine del 1699, come attesta un pagamento del 28 dicembre di quell'anno. Tra i lavori documentati per la cappella di S. Ignazio si ricorda il rilievo con S. Ignazio che guarisce un indemoniato nel secondo riquadro dello zoccolo, fuso in bronzo dorato dal G. su modello in terracotta eseguito da Angelo De Rossi, che nella composizione aveva seguito le indicazioni del Pozzo. Nel 1697 con gli argentieri T. Germain, G.F. Ludovici e G. Piserone lavorò alle lampade in bronzo della balaustra; eseguì inoltre gli ornati della cartagloria (Berliner, 1952-53, pp. 240 s.) e con il Germain, C. Lobel e A. Cordier fu impegnato nei bassorilievi dello scalino mobile in argento, distrutto alla fine del XVIII secolo, da collocare sull'altare nelle ricorrenze solenni, per cui realizzò il riquadro con S. Ignazio che benedice s. Francesco Saverio.
Secondo il Berliner è probabile che il G. nel 1698 lavorasse per i gesuiti nella cappella del beato Luigi Gonzaga della chiesa di S. Ignazio. In virtù dei suoi rapporti con i gesuiti e con il Pozzo venne chiamato per realizzare il trono d'argento della statua di S. Feliciano nel duomo di Foligno e probabilmente per altre opere nella chiesa come attestano alcuni documenti del 1701.
Andrea Pozzo, su indicazione dei committenti, aveva dapprima chiamato Giacinto Montecatini da Foligno; ma l'artista non dovette mostrarsi del tutto all'altezza, e il Pozzo scelse quindi di affiancargli il G., di cui conosceva le capacità, e che diventò il maggior artefice dell'opera. Nel 1698 il Pozzo aveva già apprestato un bozzetto cui non si sa se il G. rimase fedele. La ricchezza decorativa e il virtuosismo raggiunti nella complessa scenografia dominata dal Martirio di s. Feliciano evidenziano comunque l'importanza che padre Pozzo dovette avere sulla formazione del Gaap. Il trono doveva servire originariamente come supporto per una scultura lignea più antica, poi, dato il sontuoso risultato ottenuto, fu commissionata una statua altrettanto preziosa allo scultore G.B. Maini, realizzata in argento da F. Giardoni e F. Tofani.
Alla realizzazione del trono fulignate dovette collaborare il fratello Georg Lorenza quella data insieme con lui ancora ufficialmente residente a Roma: il loro nome risulta infatti fra il 1700 e il 1701 negli atti della Confraternita di S. Eligio degli orefici.
Attorno al 1703-04 il G. realizzò anche il paliotto per l'altare del sacro anello nel duomo di Perugia, andato perduto (Lipinsky, 1981). Ancora alla fase romana, intorno al 1703, dovrebbe risalire la medaglia con il ritratto di profilo del pittore Carlo Maratta, soggetto che potrebbe far supporre una vicinanza del G. al pittore stesso; l'unico esemplare noto si trova presso il Münzkabinett di Berlino.
Poco più tardo, forse databile al 1705 (Berliner, 1952-53, fig. 10), è un calice in bronzo dorato, in cui la ricca decorazione evidenzia ancora una volta la maestria acquisita dal Gaap.
Lasciata definitivamente Roma, il G. si trasferì a Venezia dove lavorò verosimilmente tra il primo e il secondo decennio del Settecento; nello stesso periodo si recò anche a Vienna, ma non si conosce la produzione legata a questi soggiorni.
Nel 1714 venne chiamato a Padova dalla Congregazione dell'Arca del Santo (non si sa se per intercessione del Colloredo o per rapporti intervenuti durante l'attività veneziana), per lavorare alle imposte d'argento degli armadi marmorei che racchiudono il tesoro nella cappella delle Reliquie con Storie della vita di s. Antonio nella basilica del Santo. I documenti attestano che nel 1715 stava lavorando alla portella centrale e stava preparando i modelli di quelle laterali. Quello stesso anno, il 5 luglio, la moglie, Angela Giorni, diede alla luce il figlio Marco Antonio, cui seguì nel maggio di due anni dopo Felipe Leandro. Nel 1717 la Congregazione gli chiese di interrompere il lavoro nella cappella delle Reliquie per mancanza di fondi. Il G. tornò così a lavorare a Vienna, ma fu ben presto richiamato a Padova nella basilica del Santo, dove prese nuovi accordi con la Congregazione nel settembre 1721.
Al periodo padovano, come attesta l'aggettivo "Patav[inus]" nella firma, dovrebbe risalire il rilievo in rame dorato con L'allegoria della sovranità dell'imperatore Carlo VI (Berliner, 1952-53, fig. 12), in cui il G. al conservatorismo della maturità affianca una tecnica sicura che dimostra una particolare capacità nella resa prospettica.
Nell'aprile del 1722 ebbe un altro figlio, Giovanni Ermenegildo, che morì nel luglio 1723.
Il G. morì a Padova il 20 nov. 1724, lasciando incompiute le imposte della cappella delle Reliquie che furono completate da Angelo Scarabello e Andrea Barci.
Fonti e Bibl.: B. Gonzati, La basilica di S. Antonio di Padova, I, Padova 1852, pp. 190 s.; M. Faloci Pulignani, Il duomo di Foligno e l'architetto G. Piermarini, Foligno 1908, p. 63; P. Pecchiai, Il Gesù di Roma, Roma 1952, pp. 176 n., 187 s., 190 s., 261 s.; R. Berliner, J.A. G. Fragmente zur Biographie eines deutsch-italienischen Metallkünstlers, in Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst, III-IV (1952-53), pp. 233-252; C.G. Bulgari, Argentieri gemmari e orafi d'Italia, I, Roma, Roma 1958, p. 477; Padova. Guida ai monumenti e alle opere d'arte, Venezia 1961, p. 305; S. Köhl, in Neue deutsche Biographie, VI, Berlin 1964, pp. 1 s.; A. Lipinsky, Il trono d'argento nel duomo di Foligno, in Arte cristiana, LXIX (1981), pp. 119-124; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, p. 3.