BENGEL, Johann Albrecht
Filologo neotestamentario e teologo luterano, nato a Winnenden (Württenberg) il 24 giugno 1687, morto a Stoccarda il 2 novembre 1752. Tra le sue prime pubblicazioni filosofiche sono da ricordare: Ciceronis epistolae ad diversos, vulgo familiares, Stoccarda 1719; Gregorii Panegyricus graece et latine, ivi 1722 (è l'orazione di ringraziamento e di addio di Gregorio il Taumaturgo ad Origene; ottima edizione); Joh. Chrysostomi de sacerdotio libri sex graece et latine, ivi 1725. In un Prodromus Novi Testamenti recte cauteque adornandi in appendice a quest'ultimo volume, già il B. annunziava quello che fu poi merito suo e gloria principale, lo studio filologico del Nuovo Testamento.
Eccitato dall'edizione del Mill (Oxford 1707), che sotto il testo volgare (men buono) dava un'ampia raccolta di varianti, volle rendersi conto della natura e del rispettivo valore di tali varianti. Introducendo per primo nella critica del Nuovo Testamento il principio della classificazione dei codici, ne distinse due grandi famiglie o (com'egli le chiama) nazioni: l'africana e l'asiatica. Le varianti divise in cinque classi: genuine; migliori della testuale, ma non certe; uguali alla testuale; meno buone; riprovevoli. Messo così un ordine nella massa confusa, pubblicò a Tubinga nel 1734 un Novum Testamentum graecum, dove nel testo alla lezione volgare sostituì la genuina (cioè tale da lui ritenuta), ma solo quando essa già si trovava in qualche buona edizione; nell'apparato critico poi segnalò le varianti indicandone con lettere greche il vario valore. Questa critica, pur così circospetta, anzi timida, sollevò fiere opposizioni, e il B. ebbe un gran da fare per difenderla a voce e per iscritto; pure fece strada, e se ora essa è di gran lunga superata dai grandi lavori del sec. XIX, al B. rimane il merito di precursore. Più duraturo valore conserva un altro scritto latino del B.: Gnomon Novi Testamenti in quo ex nativa verborum vi, simplicitas, profunditas, concinnitas, salubritas sensuum coelestium indicatur, Tubinga 1742, specie di commentario filologico, che ancor oggi si consulta con profitto per il senso letterale del Nuovo Testamento.
Non felice, eppure favorevolmente accolta fra i protestanti, fu invece la sua interpretazione dell'Apocalissi nel libro Erklärte Offenbarung J0hannis oder vielmehr Jesu Christi, Stoccarda 1740, popolarizzata nei "sessanta discorsi edificanti" (Sechzig erbauliche Reden über die Offenbarung Johannis, Stoccarda 1747), ove si mostrò "il più sistematico e il più fantastico dei millenaristi" (E. B. Allo, L'Apocalypse, p. ccxxxix). L'opera piacque specialmente al Wesley, che la tradusse in inglese, e così ebbe influenza sulla formazione dei metodisti. Né poco influì, per altro verso, il B. sullo svolgimento delle dottrine luterane in Germania.
Oltre agli scritti già menzionati segnaliamo ancora: un'armonia dei quattro Vangeli (Richtige Harmonie der vier Evangelisten, Tubinga 1736); Ordo temporum a principio per periodos oeconomiae divinae historicas atque propheticas ad finem usque ita deductus, ut tota series ex V. et N. Testarento proponatur, Stoccarda 1741; Cyclus, sive de magno anno solis, lunae, stellarum consideratio, Ulma 1745; e finalmente il Nuovo Testamento tradotto dal testo originale con note, Stoccarda 1753 (postumo).