Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nella seconda metà del Settecento, a partire dall’Inghilterra si sviluppa una tendenza artistica fantastica e visionaria che trova nel sublime di Burke un riferimento teorico e nell’opera di Füssli un modello formale. La scoperta della potenzialità creatrice del mondo interiore rovescia la tradizionale prospettiva di indagine del linguaggio artistico, portando alla ribalta il nuovo modo di sentire dei “nordici”, sentimentale e tenebroso.
Il bello e il sublime
Johann Heinrich Füssli, come afferma Giuliano Briganti incarna l’aspetto ambiguo di una “rivoluzione psicologica”, riflesso nell’arte dei macroscopici mutamenti dell’assetto socio-economico europeo – dalla rivoluzione industriale alla Rivoluzione francese – e di una ancora confusa reazione alle certezze del razionalismo illuministico. L’aspirazione di fondo dell’artista a introdurre in Inghilterra la pittura di storia, riscattando l’Europa del nord dall’inferiorità artistica cui il neoclassicismo di Johann Joachim Winckelmann l’aveva relegato, introduce in realtà tematiche nuove, condotte con una potenza visionaria che apre la strada alla scoperta dell’inconscio e del suo ruolo nell’espressione artistica.
La coscienza della rottura con la tradizione classica diviene radicale con William Blake. La sua opera, pervasa da un anelito spirituale estraneo a Füssli e connaturato alla poetica romantica, è pura proiezione dell’universo interiore dell’artista, simbolo del suo ruolo di genio emarginato.
Le due principali correnti artistiche che si sviluppano nella seconda metà del Settecento, soprattutto tra Francia e Inghilterra, sono ugualmente ispirate da un rifiuto della società esistente, esemplificata in arte dallo stile rococò.
Nella comune adesione al rinnovamento formale neoclassico, ai suoi valori di classica bellezza, purezza e monumentalità, si delinea accanto a un neoclassicismo ortodosso nella versione del bello ideale – teorizzato da Winckelmann e sviluppato da Jacques-Louis David come incarnazione dei nuovi valori morali e civili – anche un neoclassicismo che potrebbe definirsi “nordico”, fondato sul sublime teorizzato da Edmund Burke, ma anche sulla pittura di Füssli e degli artisti gravitanti nella sua orbita, come Barry o Mortimer.
Quasi contemporaneamente alla pubblicazione dei Pensieri sull’imitazione dell’arte greca in pittura e scultura (1755) di Winckelmann, Burke pubblica la sua Indagine sulle origini delle nostre idee del sublime e del bello. Nel testo si ribadisce l’idea dello scrittore tardoclassico autore de Il Sublime, secondo cui l’esperienza della bellezza può originarsi non solo dall’armonia del bello classico, ma anche da emozioni provocanti turbamento. Infatti, come la bellezza provoca attrazione e pacificazione dei sensi, con forza uguale e contraria agiscono sull’animo umano la repulsione, l’orrore e la paura, sensazioni che definiscono il sublime. Burke parte da presupposti dell’analisi illuminista, alla ricerca di principi universalmente validi, per fornire una sorta di casistica delle emozioni. D’altra parte il tentativo stesso di definire sensazioni di orrore e turbamento apre su zone oscure dell’esperienza, situate al di là dei limiti imposti dal sistema razionalistico, fondato sulla verifica e sulla percezione sensibile.
Dunque la poetica del sublime convoglia le aspirazioni sentimentali non soddisfatte dal razionalismo settecentesco, e diventa un punto di riferimento per il riscatto dei valori dell’immaginazione e del sentimento. Ben vi si rispecchia, del resto, anche un diffuso irrazionalismo inglese che trova un ulteriore punto d’appoggio nel movimento letterario tedesco dello Sturm und Drang. È lo stesso Füssli a operare la connessione, al suo arrivo a Londra nel 1764, forte del contatto diretto col gruppo tedesco e della prima, sommaria definizione di sublime fornita da Burke per comportamenti artistici già diffusi soprattutto in Inghilterra e in Germania, con il precedente italiano delle baluginanti invenzioni di Giovanni Battista Piranesi.
Il sublime di Giovanni Battista Piranesi
Nel 1745 Piranesi è già famoso in Europa grazie alle sue incisioni, in particolare la serie delle Antichità romane (1756), condotte con esagerazioni formali e distorsioni di proporzione che ben rientrano nel vocabolario del sublime burkiano; esse inaugurano inoltre un’immagine dell’antico opposta rispetto a quella apollinea del Winckelmann, con una monumentalità esaltata a tal punto da risultare incombente e sovrastante.
Un’immagine della grandezza del passato che successivamente si ritrova anche in Füssli e dove l’accento è posto sulla disperazione di un confronto sempre perdente.
In particolare, nella serie delle Carceri (1745-1761) è da sottolineare il rovesciamento delle regole spaziali e prospettiche del Piranesi con una libertà d’immaginazione assoluta, come avviene solo nell’arte romantica, la cui unica regola è l’espressione individuale dell’artista.
Nell’opera di Piranesi si può dunque cogliere la prima incarnazione artistica del sublime burkiano e con significativo anticipo rispetto alla teoria, a dimostrazione del fatto che questa registra una precisa atmosfera culturale.
Johann Heinrich Füssli: il lato notturno della Ragione
In questo contesto storico-artistico emerge la personalità dello svizzero Heinrich Füssli, il primo pittore del Settecento ad amare Michelangelo e Shakespeare (Briganti, I pittori dell’immaginario, 1989), traendo da questi ispirazione formale e tematica.La ricerca di Füssli si colloca entro quella che si può definire la versione nordica del neoclassicismo, movimento di cui egli accetta i presupposti formali aspirando a potenziarne l’impatto sentimentale e la forza drammatica dei soggetti. In questo senso diventa determinante il ricorso alle fonti letterarie – soprattutto Shakespeare e Milton – da cui l’artista attinge nuove possibilità emotive e drammatiche.
Füssli opera un rinnovamento del linguaggio artistico rivendicando la priorità dell’immaginazione nella creazione; sfrutta così l’estetica del sublime e dello Sturm und Drang, tentando l’impossibile fusione dei nuovi contenuti sentimentali con le tradizionali forme del classicismo.
La contraddizione di fondo, la stessa che in modi diversi è insita nell’opera di un artista come Giambattista Tiepolo, mostra il varco verso la nascente sensibilità romantica, in una fase delicata e ambigua di passaggio che può definirsi “preromantica”, senza mai perderne di vista la complessità storico-antropologica.
Grande importanza nella formazione di Füssli ha il contatto diretto col movimento letterario tedesco dello Sturm und Drang, avvenuto in Germania grazie all’amicizia con lo scienziato Johann Kaspar Lavater, legato a Johann Gottfried von Herder come ad altri animatori del movimento. La ricerca di nuovi orizzonti nelle potenzialità espressive – propria del movimento tedesco – lascia una traccia profonda nella concezione artistica di Füssli. L’artista stesso è a quei tempi uno studioso di letteratura: insieme a Lavater frequenta a Zurigo – patria di entrambi – le lezioni di Johann Jacob Bodmer, autore nel 1727 di un testo in cui rivendica l’autonomia dell’immaginazione.
Füssli inizia la sua carriera di pittore dopo l’arrivo in Inghilterra nel 1764. E nonostante sia catturato dalla magnificenza e dalla grandezza dell’antichità – come spiega anche nelle lezioni tenute alla Royal Academy londinese – è molto vicino a Sir Joshua Reynolds che rappresenta la corrente classica idealista ispirata al Winckelmann, autore peraltro da lui stesso tradotto. La sua idea dell’antico è tuttavia molto più in sintonia con quella abnorme di Piranesi.
Nel periodo romano, tra 1770 e 1778, Füssli elabora una concezione dell’antico nei termini del sublime, come è descritto nella sua drammatica rappresentazione dell’artista sopraffatto dalla grandezza del passato. Non si tratta dunque di una bellezza idilliaca e fonte di serenità: il modello stilistico prescelto da Füssli non è la calma bellezza delle statue classiche o il loro equivalente nell’arte italiana, vale a dire la pittura di Raffaello, bensì la potenza espressionista di Michelangelo, di cui l’artista esaspera lo studio caricato della muscolatura, sfruttato anche per temi estranei alla tradizione classica, come quelli biblici, omerici, danteschi, shakespeariani o delle saghe nordiche. Michelangelo è quindi la fonte di una nuova epica, incentrata sull’opera shakespeariana e a misura della civiltà anglosassone ansiosa di porre le basi della sua giovane cultura artistica.
Gli artisti nordici e Roma: la cerchia di Füssli
Dalla metà del Settecento, per gli artisti inglesi e nordici il soggiorno di studio e formazione a Roma diventa la tappa imprescindibile per una carriera nobilitata dal rapporto diretto con l’antico, oggetto principale dei loro interessi. Il viaggio in Italia significa spesso la possibilità di soffrire la fame, ma la spinta a rischiare è più forte delle difficoltà. Su questi artisti pesa infatti come un macigno il giudizio di Winckelmann secondo il quale non può esprimersi un’arte nobile in Paesi senza una tradizione uguale a quella dell’Italia, della Francia o della Spagna. Un pregiudizio che pone limiti di tipo storico, ma che talora si unisce a considerazioni anche di tipo climatico, per esempio nel pensiero dell’ammiraglio e pittore Carl August Ehrensvärd, scettico sullo sviluppo delle arti nei climi settentrionali, specialmente dopo il suo viaggio in Italia tra 1780 e il 1782.
Con questo fardello di preconcetta emarginazione, gli artisti provenienti dall’Europa del nord si riuniscono al Caffè degli Inglesi in piazza di Spagna, affrescato da Piranesi e trovano un punto di aggregazione attorno alla dirompente personalità di Füssli che si trattiene a Roma tra il 1770 e il 1778. Si incontrano così gli inglesi James Barry, Alexander Runciman, George Romney e più tardi John Flaxman, l’irlandese John Brown, gli scandinavi Àbildgaard e Sergel e l’anonimo Maestro dei Giganti, artisti nordici definiti da Briganti (1989) come un “gruppo di artisti che vivono ai confini dei territori preromantico e romantico e si esprimono in neoclassico, pur declinandolo in modi tutt’altro che ortodossi”. Uguale per tutti è la passione per l’antico sentito secondo l’accezione di Füssli e l’estetica del sublime, come modello assoluto ma irraggiungibile. Illuminati dai monumenti dell’antica grandezza, gli artisti dei Paesi nordici alimentano il sogno di trapiantare nella loro terra quella tradizione eroica, elegante e nobile; li accomunano diversi fattori stilistici, ma soprattutto “una specie di fratellanza psichica” (Cavina 1992), l’espressione interiore che indaga i sentimenti e le emozioni.
In tal senso i documenti grafici del periodo romano testimoniano con estrema coerenza la consapevole ricerca di espressione della propria interiorità e mentre questi artisti pensano di nobilitare la propria arte alla luce del classicismo, delineano la sensibilità preromantica che si sta diffondendo in Europa in collisione col dominio illuminista della Ragione. In Italia su questo versante si trova la pittura di Felice Giani.
Füssli dopo Roma: una nuova epica visionaria
Dopo il ritorno dall’Italia nel 1779, Füssli è a capo di una corrente di rinnovamento della pittura in Inghilterra che trova in lui e in artisti quali Barry o Mortimer le personalità di maggior rilievo.
Ambizione di questi artisti è introdurre con successo in Inghilterra la pittura di storia sul modello della tradizione continentale, nutrita di nuova linfa grazie alla dimensione del sublime e alla letteratura inglese; forte è infatti la voglia di riscatto dei Paesi nordici dalla loro presunta posizione di inferiorità teorizzata da Winckelmann.
James Barry polemizza contro l’indifferenza britannica per la pittura monumentale, dipingendo proprio nella Society of Arts grandiose pitture murali. E sulla base del modello della Sistina, Füssli comincia a pensare di dipingere un ciclo shakespeariano realizzato più tardi, tra 1786 e 1800, con opere ispirate anche a Milton; con una messa in scena che ha ben presente il teatro – in particolare le tragedie di Shakespeare – le sue figure emergono da orizzonti tenebrosi e indistinti, incombono in primo piano con una sensazione talora di profonda angoscia, talaltra di ineffabile malinconia, mentre sempre assente è la dimensione spirituale che infonde di sé l’arte romantica a cominciare da William Blake.
Nel 1781 l’Incubo apre la strada alla pittura fantastica e visionaria, diventando un vero e proprio modello per una tendenza pittorica che si sviluppa nel secolo successivo, passando attraverso successive mutazioni: dalla pittura visionaria del romanticismo al simbolismo, fino alle poetiche surrealiste del Novecento. Füssli opera un grande rinnovamento basato proprio sulla convinzione della positività e dell’immanenza del pensiero illuminista, con cui vorrebbe sostenere la stessa indagine dell’Ignoto, del mondo misterioso dei sogni e delle visioni.
Da Füssli a Blake
L’opera di William Blake denuncia una consapevole dipendenza dal tenebroso classicismo e dal sublime michelangiolesco di Heinrich Füssli e rappresenta la radicalizzazione del processo di rinnovamento del linguaggio artistico da questi intrapreso.
Nel 1779 Blake studia alla Royal Academy, dove simpatizza con Mortimer, Barry, quindi Füssli e i più giovani Flaxman e Stothard, uniti da medesime aspirazioni riflesse dall’estetica del sublime e in polemica con lo stile dominante di Reynolds. Blake è conscio della forza innovativa e aggregante dell’opera di Füssli: lo accomuna a questo artista il gusto per il fantastico che si esprime non tanto nella forma, rigorosamente ancorata ai principi classici della composizione, ma nei contenuti di grande impatto drammatico – attinti dalla letteratura e dai miti nordici – sottolineato dall’uso di larghe campiture di colore fortemente contrastato. Blake sfrutta anche l’organizzazione spaziale di Füssli, e le figure che appaiono come fantasmi da oscure zone senza sfondo in Blake diventano ancor più cariche di simbolismo visionario. Blake rifiuta il mondo della percezione sensibile, che resta per Füssli evidenza polemica ma pressante, e mentre quest’ultimo non supera mai il suo pessimismo illuministico, Blake rifiuta la cultura della tradizione razionalista, rendendo centrale nella sua poetica l’elemento trascendente, decisivo nella definizione dell’estetica romantica.
Anche il rapporto tra pittura e letteratura diventa qualcosa di veramente nuovo che sviluppa un universo autonomo, proiezione dell’animo dell’artista, costruito sui rapporti fra i testi e le immagini nell’originale forma dei testi miniati medievali.
Nella polemica tra Sir Joshua Reynolds e William Blake si può cogliere la contrapposizione fra la cultura della tradizione e dello studio accademico e la fede nell’ispirazione innata.
La posizione di Blake è quella del genio eroico che, proprio perché rifiuta ogni sistema prestabilito di conoscenza, impone lui stesso una personale visione del mondo fondata sulla verità trascendente degli archetipi mitici o biblici e dunque non passibile di mutamento, ma in polemica con le istituzioni vigenti e le tradizioni artistiche. L’esigenza pressante di libertà, inoltre, è spostata a livello individuale e interiore anche in conseguenza della sfiducia rispetto all’ottimismo illuminista. L’arte per Blake è pura immaginazione e del tutto indipendente da qualunque forma di razionalità, un universo parallelo a quello storico, di cui l’artista è creatore, legislatore e scienziato, così nel suo Newton, lo scienziato del mondo fenomenico diventa allegoria dell’artista.
Pittore, poeta, profeta e visionario, Blake sviluppa la propria visione dell’universo nutrita da una spiritualità assoluta, fondamento di una originale mitologia. Solo l’arte può trasmettere valori spirituali, che sono di per sé sovversivi e antistituzionali, come il rivoluzionario messaggio cristiano: Giuseppe d’Arimatea, l’apostolo segreto che ha portato in Inghilterra il cristianesimo, è un’altra rappresentazione allegorica della missione di Blake.
Lo stile preciso e delineato, coi contorni ben segnati, opposto a quello pittorico allora in voga, gli viene dalla formazione come incisore, mentre il colore violento dimostra ancora una volta l’influenza del michelangiolismo di Füssli; le figure sono ondeggianti, come prive di ossature, e con la muscolatura ben evidenziata. Innovatore anche nelle tematiche, egli trae spunto da episodi della storia inglese, per poi dedicarsi all’allegoria di spunti letterari tratti dalla Bibbia, da Shakespeare, Milton, Dante e dai suoi stessi scritti.
Le Canzoni dell’Innocenza (1789) e Le Canzoni dell’Esperienza (1794) sono le sue prime serie d’incisioni realizzate con una tecnica nuova: l’acquaforte in rilievo colorata a mano con la decorazione che accompagna via via il testo, secondo un procedimento analogo a quello dei manoscritti miniati medievali. Seguono i cosiddetti libri profetici, poemi in versi liberi ispirati alla Bibbia e a Milton.
Così nei Figli di Albione (1794) Blake raggiunge punte di estrema drammaticità, elemento che unitamente all’aspetto trascendente fa dell’artista un compiuto genio romantico.