HEINSE, Johann Jakob Wilhelm
Poeta tedesco, nato a Langenwiesen presso Ilmenau il 16 febbraio 1749, morto il 22 giugno 1803 a Aschaffenburg, dove dal 1787 era bibliotecario del principe di Magonza. Studiò a Jena e a Erfurt; ebbe la protezione di Wieland e di Gleim; divenne segretario di un avventuriero a Francoforte; poi precettore a Quedlinburg in casa della signora von Massow, la Julie della sua poesia e la grande passione della sua giovinezza; entrò in rapporti personali con Lessing, Goethe, Lavater, Jungstilling; fu chiamato da Johann Georg Jacobi a Bonn per redigere l'Iris; finché con l'aiuto dello stesso Jacobi e di Gleim, poté scendere in Italia, dove rimase, soprattutto a Roma, tre anni, dal 1780 al 1783, in consuetudine di vita con Maler Müller. E l'Italia fu il grande avvenimento della sua esistenza.
Aveva incominciato con dei settecenteschi Sinngedichte (1771). Aveva tradotto in uno stile saturo di color sensuale le Cérises di Dorat (1773) e il Satyricon di Petronio (Die Begebenheiten des Enkolp, 1773). S'era esaltato nel sentimento della sua paganità, traendone un romanzo ellenico, Laïdion oder die eleusinischen Mysterien (1774), dove il rococò di Wieland e l'accademismo neoclassico son superati nell'intuizione di una Grecia orgiastica sotto la serenità antica dell'arte. Aveva scritto una vita del Tasso (1774), che sarà la fonte di Goethe e l'origine della leggenda tassiana in tìermania. Aveva tradotto in prosa la Gerusalemme liberata (1781) e l'Orlando Furioso (1782). E in Italia soprattutto sentì il Rinascimento, interpretato attraverso le idee di Rousseau come natura che nell'esistenza sociale travolge tutte le convenzioni, come individualismo che trae dalle profondità degl'istinti liberati la piena potenza della vita e la bellezza dell'arte. Già a Düsseldorf nelle lettere sulla locale "Gemäldegaleriei" mandate al Teutscher Merkur (1782), davanti ai quadri italiani, era giunto vagamente a questa intuizione. Dalle ricche dirette esperienze d'Italia, dopo il ritorno nel Nord nacque - fra progetti varî sulla Roma di Alessandro VI - il romanzo Ardinghello (1787): in mezzo a un mondo dove tutto è, nella natura e nell'arte, voluttà continua di belle forme e di colori - la rappresentazione di un Kraftmensch, il quale, attraverso la vita avventurosa, giunge allo "stato delle isole felici". Otto anni dopo seguiva un nuovo romanzo Hildegard von Hohenttal (1795), che per gran parte pure si svolge in Italia. La trama dell'azione nei due racconti risente ancora troppo del romanzo d'avventura del Settecento: in tutti e due - e specialmente nel primo - un interesse grande è nella nuova concezione della vita che vi si presenta: nella novità di sentimenti, di cui è fatta l'analisi; nella novità del pensiero estetico, che s'esprime nelle descrizioni d'opere d'arte dell'Ardinghello, nelle analisi musicali dell'Hildegardis. Sopra un piano di pensiero che è ancora in parte quello dello Sturm und Drang, H. già vi anticipa, nella morale come nell'arte, molti atteggiamenti che saranno proprî dell'età nuova, dal Romanticismo fino al Jung Deutschland, fino a Nietzsche.
Opere: Sämtliche Schriften, ed. H. Laube, voll. 10, Lipsia 1838; Sämtliche Werke, ed. W. Schüddekopf, voll. 10, Lipsia 1910 e segg.
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