ANCILLON, Johann Peter Friedrich
Uomo di stato e studioso prussiano. Discendente da una delle migliori famiglie ugonotte emigrate di Francia dopo la revoca dell'editto di Nantes nacque il 30 aprile 1767 in Berlino, e vi morì il 19 aprile 1837. Il suo avo, David A., pastore in Metz, si era posto sotto la protezione del grande elettore Federico Guglielmo di Brandenburgo, che volentieri accoglieva questi réfuagiés francesi, ed aveva avuto da lui il posto di pastore nella chiesa francese di Berlino. Perciò i suoi discendenti figurarono sempre fra le più eminenti famiglie della cosiddetta "colonia francese" di Berlino.
Giovanni A. compì i suoi studî, di teologia e di storia, a Ginevra, dove lo mandò suo padre Luigi Federico, membro dell'Alto Concistoro (Oberkonsistorialrat). Divenuto poi pastore della chiesa francese di Berlino e insieme professore di storia all'Accademia militare, fattosi conoscere per la sua molteplice se pur non profonda cultura, e per i suoi talenti letterarî, entrò in contatto con la corte prussiana. Da allora, sempre più si occupò di politica e finì col subordinare ad essa la teologia. Alcuni viaggi in Francia e in Svizzera, nel 1793 e nel 1796, servirono a consolidare in lui quella concezione del mondo pietistico-reazionaria e, insieme, mollemente sentimentale, che egli espose nel suo Tableau des révolutions du système politique de l'Europe (1803, trad. tedesca di Mann, 1804-06). Nel 1808, fu nominato precettore dei principi reali; nel 1810 maestro del principe ereditario, la cui religiosità romantica si deve in gran parte a quest'influenza dell'A. Untuoso, dottrinario e puritano, A. seppe intromettersi nei più importanti affari di stato, già nella crisi che precedette la dichiarazione di guerra della Prussia a Napoleone I (febbraio 1813), sebbene egli si dimostrasse sempre contrario alle risoluzioni energiche. Nel 1814, il cancelliere di stato Hardenberg lo chiamò nel ministero, come consigliere segreto di legazione; e d'allora in poi A. fu ritenuto un'autorità in fatto di politica, specialmente grazie ai suoi scritti Über Souveränität und Staatsverfassung (1815), in difesa del sistema costituzionale, e Über Staatswissenschaft (1819), rivolto a giustificare la necessità di una rappresentanza nazionale in Prussia. Questo era allora presso a poco il programma di Hardenberg e degli ambienti liberali; il re, dopo le guerre di liberazione, il 25 maggio 1815 aveva promesso una rappresentanza popolare. E sebbene le opinioni espresse da A. sul problema costituzionale dimostrino la scarsa precisione e chiarezza del suo pensiero, tuttavia egli continuò la brillante ascesa, soprattutto per la sua servile cortigianeria. Nel 1818, fu nominato direttore della sezione politica del Ministero degli affari esteri. Quando poi il principe ereditario (più tardi re Federico Guglielmo IV) incominciò a influire personalmente sul problema della costituzione e a rivelare il suo entusiasmo romantico per gl'ideali del passato, A. propugnò una concezione del tutto opposta a quella di prima, caldeggiando una costituzione fondata sulla distinzione di classi. E con ciò egli è responsabile se allora la rappresentanza popolare, promessa dal re e progettata da Hardenberg, non fu istituita. La sua opinione si uniformava ai principî monarchici e di casta, quali erano, con varie gradazioni, professati dal re Federico Guglielmo III e dal principe ereditario. Così, mentre gli stati tedeschi meridionali, con i loro parlamenti, tenevano conto degli ideali liberali del tempo, la Prussia, che si diede solo delle rappresentanze provinciali, perdette per lungo tempo, come asilo della reazione, le simpatie del popolo tedesco. Già durante il ministero degli esteri del conte Bernstorff, A., come segretario di stato, dal 1831, aveva agito a favore del principio conservatore-legittimista; la Prussia rinunciò allora alla sua situazione di grande potenza e si fece remissivamente rimorchiare da Metternich. E quando, dopo la morte di Bernstorff, A. gli successe come ministro degli esteri (1832), egli contrassegnò il suo ministero col protocollo di Vienna, del 12 giugno 1834, nel quale si obbligava a non consentire un ulteriore allargamento dei diritti rappresentativi in alcuna parte della Germania. A. fu il rappresentante tipico del sistema della Santa Alleanza, che arrecò così gravi danni alla missione germanica della Prussia. Egli morì, profondamente rimpianto dal re, che gli aveva dimostrato un grande attaccamento personale, e con lui si estinse la sua famiglia.
Esperto uomo di mondo e bel parlatore, A. seppe abbagliare perfino i suoi avversarî, che si illudevano, non vedendo che egli nel fondo era antiliberale. A ciò si aggiungeva una certa tendenza alla irresolutezza, che lo rendeva proclive ai compromessi. Nonostante l'appoggio da lui prestato alla reazione feudale, non fu ben visto dai nobili. Egli è un fattore e un esponente dei più significativi del ristagno in cui cadde la Prussia dopo le guerre di liberazione (1815-40): pur tuttavia sarebbe contrario al vero aggravarlo di quella responsabilità, che piuttosto ricade sul re stesso e su uomini quali il duca Carlo di Mecklenburgo e Wittgenstein.
Oltre alle opere già menzionate l'A. scrisse: Nouveaux essais de politique et de philosophie, Parigi 1824; tlber den Geist der Staatsverfassungen und dessen Einfluss auf die Gesetzgebung, Berlino I825; Zur Vermittlung der Extreme in den Meinungen, Berlino 1828-31; Pensées sur l'homme ses rapports et ses intéréts, Berlino 1829.
Bibl.: H. von Treitschke, in Preussische jahrbücher, XXIX (1872), p. 778 segg., e Deutsche Geschichte im 19 Jahrhundert, voll. 5, ult. ed., Lipsia 1926; C. Schmidt, in Herzog-Hauck, Realencyklopädie für protestantische Theologie und Kirche, I, 3ª ed., Lipsia 1896, p. 497 (ivi, a p. 496, sulla storia della famiglia); A. Stern, Geschichte Europas seit den Verträgen von 1815 bis zum Frankfurter Frieden von 1871, I-VI, Berlino 1894-1911; P. Haake, König Friedrich Wilhelm III, Hardenberg und die preussische Verfassungsfrage, in Forschungen zur brandenburgisch-preussischen Geschichte, XXVI, XXVIII-XXX, XXXII (1913-1920); L. Dehio, Wittgenstein und das letzte Jahrezehnt Friedrich Wilhelms III, ivi, XXXV (1923).