Goethe, Johann Wolfgang
Poeta e scrittore (Francoforte sul Meno 1749 - Weimar 1832).
Pur dimostrandosi restio a scendere apertamente in campo filosofico, la sua attenzione nei confronti della filosofia fu sempre grande. Delle sue svariate esperienze intellettuali in epoca giovanile sono da ricordare, a stretto contatto con Herder, i suoi interessi per la tradizione magico-ermetica del Rinascimento, che traspare anche dalle redazioni più tarde del Faust, ma anche l’attenzione per concezioni ereticali di tipo gnostico, mistico e pietistico, ripetutamente documentate in Dichtung und Wahrheit (1811-14; trad. it. Poesia e verità) e nei Gespräche mit Eckermann (1836, 2ª ed. ampliata 1848; trad. it. Conversazioni con Eckermann). Ma già a partire dal famoso Studie nach Spinoza (1784-85), si delineano alcune caratteristiche del pensiero di G. che risultano da un singolare incrocio di temi illuministici e temi preromantici: nella sua visione panteistica, l’Universo è una totalità vivente e infinita, in cui tutto si lega con tutto, e infinito è anche ogni singolo componente di esso (profondità infinita dell’individuo), ma proprio per questo è essenziale il tema del limite; solo un uso rigoroso di esso, e quindi il riferimento al concetto di forma (Gestalt), permette un giusto rapporto conoscitivo con la natura, rapporto che non può essere quello meramente quantitativo della misurazione matematica, ma che non può nemmeno essere lasciato alla semplice intuizione: al contrario, solo un attento lavoro del soggetto conoscente su di sé, oltre che sull’oggetto, può far giungere alla visione di quello che G. chiama «il fenomeno originario», una struttura semplice ed elementare che, per gioco puramente combinatorio, può generare i fenomeni più complessi, quelli che si presentano alla nostra esperienza immediata. G., i cui interessi naturalistici spaziarono dalla botanica all’anatomia comparata alla teoria dei colori, dette un classico esempio del metodo del «fenomeno originario» nel suo Versuch die Metamorphose der Pflanzen zu erklären (1790; trad. it. Metamorfosi della piante), in cui fece vedere come l’intera struttura della pianta potesse essere ricavata dalle trasformazioni del seme (definito anche «tipo») e che la metamorfosi «crea le forme più diverse per metamorfosi dello stesso organo». Il significato filosofico di questa concezione risiede nel fatto che essere e divenire, unità e molteplicità, forma e trasformazione sono visti come due facce della stessa realtà: la natura è un continuo produrre e disfare forme, il teatro di un costante divenire in cui vige però anche un ordine rigoroso.
Sul piano epistemologico, G. sviluppa, in nesso a questa concezione, una fine analisi dei concetti di esperienza e di esperimento, che guarda esplicitamente, anche per l’influenza di Schiller, al tentativo kantiano, nella Critica del giudizio, di delineare un equilibrio fra astrazione e intuizione, fra meccanicismo e vitalismo, fra scienza e poesia. L’esperimento non può concepirsi come una mera sussunzione dell’oggetto sotto le categorie astratte, intellettuali del soggetto (come avveniva nella prima Critica kantiana); al contrario, si tratta di porre un limite all’attivismo del soggetto, per permettergli di aprirsi all’oggetto, al fine di far sì che l’oggetto si schiuda di fronte a lui (Versuch als Vermittler von Objekt und Subjekt, 1810, ed Einwirkung der neuern Philosophie,1820). In questo modo, G. si scontrava direttamente con la metodologia delle scienze naturali quale si era sviluppata dal 17° sec. in poi.
Il massimo sforzo che egli compì in questa direzione fu Zur Farbenlehre (1810; trad. it. La teoria dei colori), in cui esplicita è esposta la polemica con l’ottica newtoniana. Per G. la riduzione della luce a un mero movimento meccanico di particelle, misurabile quantitativamente mediante il prisma, è del tutto erronea; lo studio del fenomeno della visione deve mettere in rilie- vo il ruolo attivo dell’occhio e il fatto che la luce non è semplice ricezione di qualcosa di esterno all’occhio, ma emissione dell’occhio stesso: anche in questo caso, insomma, si tratta di non separare meccanicamente soggetto e oggetto, ma trovare il punto di equilibrio della loro intima connessione. Sulla base di queste premesse epistemologiche, G. opera una sistematizzazione del tutto nuova dell’ottica, partendo dai dati elementari della visione effettiva, e non da dati quantitativi, e privilegiando la polarità, innanzitutto quella fra luce e oscurità, come elemento fondamentale che governa il campo della visione.
Gli interessi filosofici di G., in gran parte indirizzati allo studio della natura, furono svariati: basterà ricordare ancora i suoi contributi all’anatomia comparata, e in partic. la sua scoperta dell’osso intramascellare; queste ricerche si inquadravano nell’ambito del grande dibattito del primo Ottocento sui temi delle catastrofi naturali e dell’evoluzione fra G. Cuvier e G. Saint-Hilaire, dibattito in cui G. prese le parti del secondo. Sul piano dell’etica, è anche da ricordare la pessimistica concezione dell’Entsagung («rinuncia»), cui approda il G. maturo di Wilhelm Meisters Lehrjahre (1796; trad. it. Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister): la civiltà moderna impone il sacrificio dell’individuo, attraverso la sua sottomissione ad autorità superiori e occulte, secondo una visione della società borghese che non può non ricordare gli accenti di Freud nel Disagio della civiltà.
La teoria dei colori e, in generale, le sue riflessioni sul metodo scientifico, furono l’aspetto più misconosciuto dell’opera di G. al suo tempo e per molti anni a venire, con gran rincrescimento dell’autore, che vi aveva dedicato moltissime energie. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento e poi, con una progressiva accelerazione, nel Novecento e ancora ai giorni nostri, ricerca scientifica e speculazione filosofica hanno operato una netta rivalutazione di tali lavori, pur riconoscendo i meriti di Newton: psicologia della Gestalt, strutturalismo, concezioni ecologiche della visione (J.J.Gibson), perfino ricerche matematiche (per es. la teoria delle catastrofi di R. Thom) hanno reso giustizia all’autore del Faust. In campo filosofico l’avvento della fenomenologia ha trovato nella concezione del fenomeno originario e nell’idea goethiana di visione un punto di riferimento essenziale, né bisogna dimenticare l’influenza che egli ha avuto su Wittgenstein. Infine, un filosofo della statura di Cassirer ha scorto, nella sua riformulazione del kantismo, un punto di riferimento fondamentale nel concetto goethiano di «forma» (Gestalt).
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