Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Johann Wolfgang Goethe è il più celebre scrittore della letteratura e cultura di lingua tedesca, alla cui stagione aurea a cavallo fra Settecento e Ottocento ha anche dato il nome (Goethezeit). Dal grandioso successo europeo del Werther (1774), attraverso drammi, poesie, poemi e romanzi letti e riletti da generazioni fino ai grandi progetti ultimati negli ultimi anni di una vita lunga e intensissima (il Wilhelm Meister, 1829, e il Faust, 1831), il poeta ha convissuto con lo scienziato, il disegnatore, il direttore di teatro e l’uomo di Stato, rivestendo il ruolo del ribelle sturmunddranghiano, del viaggiatore in Italia, del sodale di Schiller, del fautore della Weltliteratur. Ultimo intellettuale a tutto tondo, classico della nascente modernità, Goethe è accostato a Dante e Shakespeare quale massima espressione della cultura europea.
Francoforte e Lipsia: Infanzia e giovinezza
Johann Wolfgang Goethe nasce a Francoforte il 28 agosto 1749, nella casa sul Großer Hirschgraben, oggi adibita a centro di ricerca e museo del più celebre figlio della città sul Meno e di tutte le terre di lingua tedesca. Il padre Johann Caspar, che lo spingerà a ricalcare i suoi studi di giurista, gli garantisce comunque, fin dalla più tenera infanzia, un intenso contatto con la cultura umanistica tutta, già per Goethe senior innervata da un amore per l’Italia visitata anni prima. Di diciassette anni più giovane, la madre Catharina Elisabeth nata Textor è pure esponente dell’alta borghesia locale. L’educazione del primogenito, oltre a giovarsi dell’ambiente familiare, colto e devoto, si basa, dopo una breve frequentazione della scuola pubblica, soprattutto su lezioni private e matura anche nel personale avvicinamento alla letteratura – specie grazie alla biblioteca paterna – e al teatro: al di là del citatissimo, “fatale” regalo della nonna al Goethe bimbo (un teatro di marionette), è spesso ricordato il contatto, negli anni dell’occupazione francese di Francoforte, con la drammaturgia classica del grand siècle.
Per gli studi di diritto la scelta cade su Lipsia: nei decisivi anni della tarda adolescenza (1765-68) Goethe entra così a contatto con un ambiente culturale più avanzato e aperto della città natale. In Sassonia il breve influsso del gusto rococò lì imperante lascia presto spazio, nei testi goethiani, alla maturazione di uno stile già personale, ad esempio nella lirica d’amore dedicata ad “Annette” o nelle prove drammatiche. I tentativi e gli studi letterari e artistici – in particolare, attraverso Adam Friedrich Oeser, l’avvicinamento all’estetica di Winckelmann che approfondirà negli anni italiani – si accompagnano inoltre già qui (oltre che alle passioni amorose ricostruite da generazioni di biografi) all’interesse per le scienze naturali. A segnare il ritorno a Francoforte sono una malattia con le sue ricadute e una lunga convalescenza e il contatto con la pietista Susanne von Klettenberg.
Johann Wolfgang Goethe
Sulla vita di Götz von Berlichingen
Götz von Berlichingen, Atto V
Heilbronn.
Torre.
GÖTZ, ELISABETTA.
ELISABETTA: Marito mio caro, ti prego, dimmi qualcosa. Il tuo silenzio mi riempie d’angoscia. Tu ti stai consumando dentro. Vieni, guardiamo un po’ le tue ferite; stanno migliorando molto. In questo buio desolante non ti riconosco più.
GÖTZ: Tu cercavi Götz? Da tempo è scomparso. Mi hanno mutilato a poco a poco, la mano, la libertà, i possessi e la reputazione. Che vuoi che importi la testa? - Avete notizie di Giorgio? È andato a cercare Giorgio, Lerse?
ELISABETTA: Sì, mio caro. Fatti animo, tante cose possono mutare.
GÖTZ: Chi è sotto i colpi di Dio non può farsi animo da solo. Nessuno come me conosce ciò che mi pende sul capo. La sventura sono abituato a reggerla. E ora non si tratta del solo Weislingen, né dei soli contadini, né della morte dell’Imperatore o delle mie ferite... È un complesso di cose. La mia ora è venuta. Speravo tanto che somigliasse alla mia vita. Ma avvenga la sua volontà.
ELISABETTA: Non vuoi mangiare qualcosa?
GÖTZ: Nulla, cara. Guarda fuori come brilla il sole.
ELISABETTA: Una bella giornata di primavera.
GÖTZ: Se tu potessi convincere il custode a lasciarmi stare nel suo giardinetto per una mezz’ora. Vorrei godermi quel bel sole, il cielo sereno e l’aria pura.
ELISABETTA: Subito. Lo farà volentieri.
Giardinetto della torre.
MARIA, LERSE.
MARIA: Entra, vedi come sta.
LERSE va.
ELISABETTA, CUSTODE.
ELISABETTA: Dio vi rimeriti per l’affetto e la lealtà che dimostrate a mio marito. [Custode esce]. Che cosa porti, Maria?
MARIA: La salvezza di mio fratello. Ma ho il cuore spezzato. Weislingen è morto, avvelenato da sua moglie. Mio marito è in pericolo. I principi stanno per avere la meglio su di lui, e si dice che sia rinchiuso e assediato.
ELISABETTA: Non dare retta alle voci. E non lasciar trapelare nulla davanti a Götz.
MARIA: Come si sente?
ELISABETTA: Temevo che non potesse durare fino al tuo ritorno. La mano del Signore è pesante con lui. E Giorgio è morto.
MARIA: Quel ragazzo d’oro!
ELISABETTA: Quando quei disgraziati diedero fuoco a Miltenberg, Götz mandò lui a fermarli. Ma proprio allora ecco piombare una delle schiere della Lega. - Giorgio! Se tutti avessero agito come lui! Ma avrebbero dovuto avere la coscienza a posto. Molti sono stati passati a fil di spada, e Giorgio con loro. È morto da cavaliere.
MARIA: Götz lo sa?
ELISABETTA: Glielo teniamo nascosto. Dieci volte al giorno mi domanda che cosa fa Giorgio, e dieci volte mi manda a chiedere notizie. Esito molto a dare quest’ultimo colpo al suo cuore.
MARIA: Mio Dio, che cosa sono le speranze di questa terra!
GÖTZ, LERSE, CUSTODE.
GÖTZ: Gran Dio, come si sta bene sotto il tuo cielo, e come ci si sente liberi. Gli alberi mettono le gemme e il mondo sembra pieno di speranza. Addio, miei cari, le mie radici sono tagliate, la mia forza sprofonda verso il sepolcro.
ELISABETTA: Posso mandare Lerse al convento, da tuo figlio, che tu lo veda e lo benedica ancora una volta?
GÖTZ: Lascialo, è più santo di me e non ha bisogno della mia benedizione. - Il giorno del nostro matrimonio, Elisabetta, non prevedevo di morire così. - Il mio vecchio padre ci benedì, e dalle sue pie parole parve scaturire una posterità di nobili uomini valorosi. - Tu non l’hai ascoltato e io sono l’ultimo. - Lerse, vederti mi rallegra più nell’ora della morte che nella lotta più accanita. Allora era il mio spirito a guidare il vostro, e ora sei tu che mi conforti. Ah, potessi vedere ancora una volta Giorgio, riscaldarmi al suo sguardo!... Voi tenete gli occhi bassi e piangete. - È morto... Giorgio è morto... Muori, Götz. Hai sopravvissuto a te stesso, hai sopravvissuto agli animi nobili. - Com’è morto? Ah, l’hanno catturato con quei criminali incendiari, e l’hanno giustiziato.
ELISABETTA: No, è stato ucciso a Miltenberg. Si è battuto come un leone per la sua libertà.
GÖTZ: Sia lode a Dio. Non c’era giovane migliore sotto il sole, né più valoroso. Scioglimi l’anima ora. Povera donna, ti lascio in un mondo ben depravato. Lerse, non abbandonarla. - Sbarrate i vostri cuori più accuratamente delle porte. Vengono i tempi della frode, ha già libero corso. I miserabili governeranno con la furbizia e l’uomo nobile cadrà nelle loro reti. Dio ti restituisca il marito, Maria, e gli risparmi la caduta dalle altezze che ha raggiunto. Selbitz è morto, e il buon Imperatore, e il mio Giorgio. - Datemi un sorso d’acqua. - Aria divina - Libertà! Libertà! [Muore].
ELISABETTA: Ah lassù, lassù accanto a te. Il mondo è una prigione.
MARIA: Nobile uomo! Nobile uomo! Guai al secolo che ha potuto respingerti!
LERSE: Guai a chi un giorno non sappia ammirarti.
J. W. Goethe, Teatro, Torino, Einaudi, 1973
Genio e natura: gli anni dello Sturm und Drang
Johann Wolfgang Goethe
Faust, Parte I
MEFISTOFELE
Se la pensi così puoi arrischiarti.
Impegnati, e nei giorni del presente
assisterai con gioia alle mie arti;
quel che io ti darò nessuno l’ha mai visto.
FAUST
E che vuoi dare tu, povero diavolo?
Lo spirito dell’uomo nel suo tendere all’alto
i pari tuoi lo hanno mai compreso?
Possiedi forse un cibo che non sazi,
un oro fulvo che non stia mai fermo,
ma come argento vivo ti scorra via di mano,
un gioco al quale non si vinca mai,
una ragazza che stretta al mio petto
con gli occhi già si vincoli ad un altro,
e il bel trastullo degli dèi, l’onore,
che si dilegua come una meteora?
Mostrami il frutto sfatto prima di essere colto,
e alberi che ogni giorno rinverdiscano!
MEFISTOFELE
È un compito che non mi fa paura;
posso servirteli tesori come questi.
Ma poi, mio buon amico, arriva anche il momento
di assaporare in pace dei buoni bocconcini.
FAUST
Se mai mi adagerò su un pigro letto in pace,
venga immediatamente la mia ora!
Se con lusinghe potrai tanto ingannarmi
che io mi compiaccia di me stesso,
se con il godimento ti riuscirà d’illudermi,
quello sia per me l’ultimo giorno!
Questa scommessa t’offro!
MEFISTOFELE
Accetto!
FAUST
Qua la mano!
Se dirò all’attimo:
Sei così bello! fermati!
allora tu potrai mettermi in ceppi,
allora sarò contento di morire!
Allora suoni la campana a morto,
allora non dovrai servire più;
l’orologio si fermi, la lancetta cada,
e sia passato il tempo che mi è dato!
[...]
(MEFISTOFELE)
Un foglietto qualunque va benissimo.
E una goccia di sangue per firmare.
FAUST
Se così sei del tutto soddisfatto,
accettiamola questa pagliacciata.
MEFISTOFELE
Il sangue è un liquido assai particolare.
FAUST
Ma non temere che venga meno al patto!
La tensione di tutte le mie forze:
è proprio questo che prometto.
Troppa importanza mi sono dato,
non appartengo che ai pari tuoi.
Lo spirito sublime mi ha spregiato,
la Natura davanti a me si chiude.
Il filo del pensiero è strappato,
da tempo mi disgusta ogni sapere.
Plachiamo allora le passioni ardenti
nella profondità dei sensi!
Nascosto dietro i veli impenetrabili
della magia, sia pronto ogni prodigio!
Tuffiamoci nel turbine del tempo,
nel vortice degli accadimenti!
Allora sofferenza e godimento,
trionfo e sazietà
si avvicendino pure come viene;
l’uomo agisce solo se non riposa.
J. W. Goethe, Faust, a cura di I. A. Chiusano e A. Casalegno, Milano, 2004
La ripresa degli studi, nel 1770 a Strasburgo, apre il quinquennio “geniale”, non da ultimo grazie agli spunti che in Alsazia Goethe riceve da Johann Gottfried Herder, di cinque anni più vecchio. Omero , Ossian, i “canti popolari”, l’arte gotica, Shakespeare sono le stelle polari del breve, intensissimo movimento dello Sturm und Drang (“tempesta e impeto”, denominazione posteriore tratta da un dramma di Friedrich Maximilian Klinger), movimento raccolto attorno ai due ventenni e al coetaneo Jakob Michael Reinhold Lenz che apre la Goethezeit e con essa, si può dire, la letteratura tedesca moderna. I cosiddetti Canti di Sesenheim, fra cui “Willkommen und Abschied” (Benvenuto e addio), il vitalistico ed entusiasta “Mailied” (Canto di maggio) e “Heidenröslein” (Rosellina di brughiera); il robusto dramma storico “irregolare” Götz von Berlichingen; i saggi rapsodici Von deutscher Baukunst, (Intorno all’architettura tedesca) e Zum Schäkespears Tag (Per l’anniversario di Shakespeare); le potenti odi in ritmi liberi fra cui spiccano Prometheus, Ganymed, An Schwager Kronos (All’auriga Cronos), Wanderers Sturmlied (Canto del viandante nella tempesta), Mahomets Gesang (Canto a Maometto) sono eccelsi esempi della stagione titanica che culmina e viene assieme superata in Die Leiden des jungen Werther (I dolori del giovane Werther, 1774), che rimarrà il più grande successo di Goethe in assoluto, anche a livello internazionale. Il romanzo epistolare, piegato dal venticinquenne poeta alla forma monologica delle sole lettere del protagonista gestite post mortem dall’editore fittizio, viene divorato dai contemporanei come vangelo del soggettivismo geniale, della poetica empatia con la natura e delle disperate, autodistruttive passioni di una gioventù ribelle alle costrizioni e tradizioni del vecchio mondo. La “febbre wertheriana” che ne deriva è in qualche modo, nella ricostruzione che Goethe ne darà a posteriori, ciò da cui, con la stesura della storia del suicida, l’autore si libera, non da ultimo grazie alle strategie formali (“grande confessione”). Della grande produttività degli anni sturmunddranghiani (non si dimentichino, nel 1775, i drammi Clavigo, Stella e l’inizio del lavoro a Egmont) vanno infine ricordate le scene di Urfaust, prima potentissima stesura del poema drammatico sul personaggio cinquecentesco che nella sua tormentata genesi accompagna l’intera vita dell’autore. Questo “Faust originario”, detto anche “Faust francofortese”, contiene già nella sua struttura slegata e nel suo prorompere irruente i nuclei fondamentali: il dramma dell’intellettuale alla ricerca di un più alto sapere e la tragedia della seduzione amorosa. Punto di partenza per le successive versioni pubblicate, l’Urfaust rimane inedito in vita: una copia del manoscritto, esito anche di successivi rimaneggiamenti e approntata da una dama di corte, emerge solo nel 1887.
Johann Wolfgang Goethe
Dubbi sulla morte
I dolori del giovane Werther
Mi convinco sempre più, mio caro, che l’esistenza di una creatura è assai poca cosa. Venne un’amica a trovare Carlotta ed io mi ritirai nella stanza vicina e presi un libro, ma non potei leggere; allora presi una penna per tentar di scrivere. Le sentivo parlare piano; si raccontavano cose insignificanti, novità del paese, che una si sposava, e che un’altra era malata, molto malata: aveva una tosse secca, le ossa del viso a fior di pelle, ed aveva degli svenimenti. “Non scommetterei un soldo sulla sua vita”, disse l’una. “Anche il signor N.N. sta molto male”, disse Carlotta. “È già tutto gonfio”, aggiunse l’amica. E la mia vivace fantasia mi trasportava al letto di questi infermi; vedevo con qual rimpianto si sentivano mancar la vita, Guglielmo, e le fanciulle parlavano di loro come si parla d’un estraneo che muore! E quando io volgo intorno lo sguardo e vedo questa camera, e gli abiti di Carlotta e le carte di Alberto, ed i mobili che mi sono famigliari, e perfino il calamaio, penso: tu imagini di esser tutto per questa casa! i tuoi amici ti apprezzano; spesso tu sei la loro gioia e pensi che non potresti vivere senza di loro, eppure se tu te ne andassi, se tu scomparissi dalla loro cerchia? sentirebbero, e per quanto tempo sentirebbero il vuoto che la tua perdita lascerebbe nella loro esistenza? per quanto tempo? L’uomo è così effimero che anche lì dove ha la vera certezza della sua esistenza, dove egli imprime l’unica vera traccia della sua presenza e cioè nel ricordo, nell’anima dei suoi amici, anche lì deve spegnersi e sparire, prontamente sparire!
J. W. Goethe, Opere, Firenze, Sansoni, 1944-1961
Maturazione e liberazione: Il primo decennio a Weimar e il viaggio in Italia
Johann Wolfgang Goethe
I dolori del giovane Werther, 10 maggio 1771
Lettera datata 10 maggio 1771
Una meravigliosa serenità s’è diffusa in tutta l’anima mia, simile al dolce mattino di primavera, e io in tutto il cuore la godo. Sono solo, e mi rallegro della mia vita in questa terra che è fatta per anime quale è la mia. Mi sento così felice, o mio carissimo, così totalmente sommerso nel sentimento del placido essere, che la mia arte ne soffre. Ora non potrei disegnare, nemmeno una linea; e tuttavia non sono mai stato più gran pittore che in questi momenti. Quando la cara valle intorno a me vapora e la luce del sole, già alto, s’adagia sulla impenetrabile oscurità della mia selva, e solo qualche singolo raggio s’insinua nell’occulto sacrario, ed io frattanto sto disteso fra l’erba alta accanto al torrente, e più presso alla terra mille svariate specie d’erbette mi appaiono straordinarie; quando il brulichìo di quel minuscolo mondo fra gli steli e tutte quelle innumerevoli inesplicabili forme di vermicciòli e moscerini mi pare di sentirli più presso al mio cuore, e sento la presenza dell’Onnipossente, che ci fece a Sua immagine, lo spiro dell’Infinito Amore che in perenne delizia c’innalza e ci conduce; o amico! e quando poi ai miei occhi è crepuscolo e il mondo intorno a me e il cielo tutto entro l’anima mia si giacciono come la forma di una donna amata; allora spesso mi prende nostalgia, e dico a me: “ah se tu potessi esprimere, se potessi alitare sulla carta ciò che con tanta pienezza e ardore vive in te, sicché la tua parola rispecchiasse l’anima tua come nell’anima tua si specchia l’infinità di Dio!” O amico!... Ma di questo io perisco; io soccombo alla violenza della sublimità di queste apparizioni.
Lettera datata 18 agosto 1771
[...] S’è alzato come un sipario davanti alla mia anima, e la scena della Vita Infinita si muta davanti alla mia anima nell’Abisso del Sepolcro eternamente spalancato. Puoi tu dire: “questo è” mentre tutto passa? mentre tutto precipita via con velocità fulminea, e avviene così raramente che qualcosa duri almeno quanto la forza congenita dell’esser suo pareva destinarle, perché il gorgo la rapisce prima, e la sommerge, e la sfracella alle rupi? Non c’è istante che non ti consumi, e non consumi i tuoi cari intorno a te; non un istante in cui non sii distruttore tu stesso, costretto ad esserlo. La più innocente passeggiata costa la vita a mille poveri vermucci, e un passo del tuo piede basta a demolire le faticose costruzioni delle formiche e a schiacciare tutto un microcosmo in una misera tomba. Ahimè, non sono le grandi, eccezionali catastrofi quelle che mi commuovono: le piene che travolgono i villaggi, i terremoti che ingoiano le città. Ciò che mi scava il cuore è questa forza di morte che sta nascosta nell’universa natura; la quale non ha generato nulla che non debba distruggere il suo prossimo e sé. Così, atterrito, barcollo. O Cielo, o Terra, o palpitanti forze intorno a me! Ormai non vedo nulla, tranne un Mostro che eternamente ingoia, eternamente rumina.
J. W. Goethe, Romanzi, cura di R. Caruzzi, Milano, Mondadori, 2003
Johann Wolfgang Goethe
Il re degli Elfi
Poesie
Chi cavalca così tardi per la notte e il vento?
È il padre con il suo figlioletto;
se l’è stretto forte in braccio,
lo regge sicuro, lo tiene al caldo.
Figlio, perché hai paura e il volto ti celi?
Non vedi, padre, il re degli Elfi?
Il re degli Elfi con la corona e lo strascico?
Figlio, è una lingua di nebbia, nient’altro.
“Caro bambino, su, vieni con me!
Vedrai i bei giochi che farò con te;
tanti fiori ha la riva, di vari colori,
mia madre ha tante vesti d’oro”.
Padre mio, padre mio, la promessa non senti,
che mi sussurra il re degli Elfi?
Stai buono, stai buono, è il vento, bambino mio,
tra le foglie secche, con il suo fruscio.
“Bel fanciullo, vuoi venire con me?
Le mie figlie avranno cura di te.
Le mie figlie di notte guidano la danza
ti cullano, ballano, ti cantano la ninna-nanna”.
Padre mio, padre mio, in quel luogo tetro non vedi
laggiù le figlie del re degli Elfi?
Figlio mio, figlio mio, ogni cosa distinguo;
i vecchi salici hanno un chiarore grigio.
“Ti amo, mi attrae la tua bella persona,
e se tu non vuoi, ricorro alla forza”.
Padre mio, padre mio, ora mi afferra,
Il re degli Elfi la mia vita ha spenta.
Preso da orrore il padre veloce cavalca,
il bimbo che geme, stringe fra le sue braccia,
raggiunge il palazzo con stento e con sforzo;
nelle sue braccia il bambino era morto.
J. W. Goethe, Tutte le poesie, trad. it. di R. Fertonani, Milano, Mondadori, 1989
Johann Wolfgang Goethe
Mignon
Poesie
Conosci la terra dei limoni in fiore,
dove le arance d’oro splendono tra le foglie scure,
dal cielo azzurro spira un mite vento,
quieto sta il mirto e l’alloro è eccelso,
la conosci forse?
Laggiù, laggiù io
andar vorrei con te, o amato mio!
Conosci la dimora? Su colonne grava
il tetto, rifulge la sala, riluce la stanza,
e statue marmoree mi volgono lo sguardo:
povera bambina, che cosa ti hanno fatto?
La conosci forse?
Laggiù, laggiù io
andar vorrei con te, o difensore mio!
Conosci il monte e il suo sentiero tra le nubi?
Cerca la strada da seguire il mulo nella nebbia,
in spelonche l’antica stirpe dei draghi dimora,
precipita la rupe e i fiotti d’acqua sopra.
Lo conosci forse?
Laggiù laggiù è la via
Che noi faremo; andiamo, o padre mio!
J. W. Goethe, Tutte le poesie, trad. it. di R. Fertonani, Milano, Mondadori, 1989
Nel novembre 1775, accettando l’invito del duca Carl August von Sachsen-Weimar, Goethe si trasferisce nella cittadina turingia e pochi mesi dopo decide di rimanervi. La piccola Weimar, grazie in particolare alla madre del duca, Anna Amalia, e alla presenza di importanti scrittori come Christoph Martin Wieland, è già una “corte delle muse” e conquista con Goethe il nome che ne farà una capitale della cultura europea e mondiale. Nel primo periodo weimariano, segnato dal rapporto intellettuale e sentimentale con Charlotte von Stein, Goethe assume una serie di incarichi istituzionali in ambito geologico, politico, amministrativo e culturale, coltiva gli interessi scientifici e di collezionista (soprattutto botanica e anatomia, con la “scoperta” dell’osso intramascellare), si esercita nella pratica pittorica e dà forma a progetti letterari compositi. Il lavoro alla materia faustiana procede accanto alla stesura di drammi, tra cui la versione in prosa della Iphigenie auf Tauris (Ifigenia in Tauride, 1779); lavoro a Egmont e, dal 1780, al Torquato Tasso, e all’inizio della serie di romanzi su Wilhelm Meister. Fra il 1777 e il 1785 nasce infatti il manoscritto della Wilhelm Meisters theatralische Sendung (Vocazione teatrale di Wilhelm Meister), che come Urfaust rimane inedita in vita e sarà recuperata dai filologi nel primo Novecento. Da questa stesura, ritenuta di particolare valore per la freschezza con cui racconta il tentativo del protagonista di abbandonare il suo contesto borghese mercantile per inserirsi nella vita teatrale settecentesca, procederà dopo il soggiorno italiano, per aggiustamento e ampliamento, il romanzo di formazione più celebre della letteratura mondiale.
Sempre nel primo decennio weimariano, segnato complessivamente da un progressivo avvicinamento a forme (neo-)classiche, vanno registrate la seconda, più composta stesura del Werther (per l’edizione delle opere in otto volumi del 1786) e alcune delle liriche goethiane più alte in assoluto: la Harzreise im Winter (Viaggio invernale nello Harz) i due Wandrers Nachtlied (Canto notturno del viandante ), Gesang der Geister über den Wassern (Canto degli spiriti sopra le acque), Grenzen der Menschheit (Limiti dell’umano), Das Göttliche (Il divino), ballate come Erlkönig (Il re degli elfi), Der Fischer (Il pescatore), poesie legate al rapporto con la von Stein (Warum gabst du uns die tiefen Blicke, “Perché ci desti sguardi profondi”) (Warum gabst du uns die tiefen Blicke, Perché ci desti sguardi profondi) o alla materia del romanzo di formazione quali le varie Mignon (si vedano “Conosci la terra...” e “Solo chi conosce la nostalgia...”) e Der Harfenspieler (“L’arpista”). Una produzione composita, come sarà caratteristico della poesia goethiana tutta, che spazia dalla concentrazione lirica dei testi brevi al gesto narrativo delle ballate, dall’avvertimento sottile delle vibrazioni del cuore alla prorompente vitalità del titanismo e della sua revoca, dalla perfetta empatia con il ritmo e la voce della natura alla riflessione etica e finanche filosofica. Una messe di testi lirici goethiani diviene inoltre, e fin da principio, fonte d’ispirazione per musicisti di grande calibro e viene così trasformata in Lieder di vasta risonanza; lo stesso Goethe espresse ad ogni modo a più riprese la propria convinzione rispetto alla preminenza della parola sulla musica, come dimostra la sua predilezione per le composizioni “rispettose”, ad esempio, dell’amico musicista Zelter, rispetto agli assai più alti esempi di liederistica su testi goethiani quale quella di Franz Schubert.
A chiudere una stagione pur ricca ma frustrante a vari livelli è la fuga in quasi totale segreto, nel settembre 1786, verso sud. Inizia così quel “viaggio in Italia” che Goethe ricostruirà decenni dopo nell’omonimo libro autobiografico di viaggio. I due anni nella penisola, oltre alle varie tappe verso e da Roma e ai periodi napoletano e siciliano (primavera 1787) sono dominati dai due lunghi soggiorni nella capitale e costituiscono la principale svolta artistica e intellettuale della vita di Goethe, nelle sue parole una “vera rinascita”. L’antico, il rinascimentale, il neoclassico in arte, fenomeni naturalistici di tipo botanico (la Urpflanze) e geologico (i vulcani, i terremoti), esperienze di natura folclorico-culturale come il carnevale – il biennio italiano, ricco anche di contatti con intellettuali e artisti locali e stranieri, è una riserva di conoscenze vissute intensamente che segna in maniera indelebile il Goethe maturo e senile. Il lavoro alla scrittura, specie drammatica, culmina nella stesura definitiva in pentapodie giambiche della Ifigenia (1786-87), nella chiusura di Egmont (1788) e nel procedere di Tasso e Faust, che vengono licenziati dopo il ritorno a Weimar (il secondo in una versione frammentaria: Faust. Ein Fragment). La riscrittura neoclassica della tragedia di Euripide, che affida all’eroina greca il messaggio ideale dell’umanesimo settecentesco, e il Dichterdrama (“dramma di poeta”) sul tormentato italiano e sulla “sproporzione del talento con la vita” sono da considerarsi già tra i frutti migliori della stagione classica della letteratura tedesca che si aprirà “ufficialmente” nel decennio successivo.
Il ritorno, la rivoluzione, il sodalizio con Schiller: Weimarer Klassik
Johann Wolfgang Goethe
Wilhelm e il rispetto
Anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister, cap I
Ora Guglielmo giunse all’ingresso di una valle boscosa circondata tutt’intorno da alte mura. A un segno convenuto una porticina si aprì e un uomo serio, di bell’aspetto, accolse il nostro amico, che si trovò in un luogo ampio, ricco di splendida verdura, ombreggiato da alberi e cespugli di ogni specie così che attraverso questa fitta e alta vegetazione naturale si potevano scorgere appena le mura maestose e i nobili edifici; le benevole accoglienze dei tre riunitisi colà a poco a poco, si conclusero infine con una conversazione a cui ciascuno portò il suo contributo, e che noi tuttavia compendieremo solo brevemente.
“Poiché ci affidate il vostro figliolo, siamo obbligati di farvi conoscere più profondamente la nostra istituzione. Avete già veduto molte cose che non si comprendono alla prima; cosa desiderate che vi spieghiamo avanti tutto?”
“Ho veduto molti saluti in forma di gesti seri, decorosi eppure strani, e vorrei conoscerne il significato; da voi l’esterno si riferisce sempre all’interno, e viceversa; fatemi conoscere dunque questo rapporto”.
“Fanciulli sani, bennati” risposero quelli “portano già molto con sé, la natura ha dato a ciascuno tutto quanto di cui può aver bisogno nel tempo e nella durata. Sviluppar questo è nostro dovere, spesso si sviluppa meglio da sé. Ma una cosa nell’uomo non è innata, e tuttavia è il fondamento di tutto perché l’uomo sia compiutamente uomo. Se riesce da solo a indovinarla, lo dica.”
Guglielmo rifletté un poco, quindi scrollò il capo.
Quelli, dopo una pausa solenne, dissero: “Rispetto!” Guglielmo stupì. “Rispetto!” ripeterono più volte. “Manca a tutti, forse a voi stesso”.
“Tre specie di saluti avete veduto e tre specie di rispetto insegniamo noi. Solo quando esse confluiscono e formano un tutto, il rispetto è intero, pieno, operante. La prima è il rispetto per quanto è sopra di noi. Così il gesto d’incrociar le braccia sul petto, di alzar gli occhi al cielo, è quanto imponiamo a bambini ancora incapaci di più alte ragioni. Desideriamo da loro la testimonianza che lassù c’è un Dio, la cui immagine si rivela ad essi nei genitori, nei maestri, nei superiori. Il secondo è il rispetto per quanto è sotto di noi. Le mani piegate, quasi legate sul dorso, lo sguardo chino, sorridente, dicono che bisogna guardare la terra con occhio lieto e sereno; la terra ci dà l’alimento e ci concede infinite gioie, ma accompagnate da sproporzionati dolori. Se uno, per sua colpa o innocente, soffra nel corpo, se altri, di proposito o per caso, lo ferisca, se la materia inerte gli rechi un dolore, rifletta fin d’ora che tali pericoli lo accompagneranno per tutta la vita. Ma liberiamo il discepolo al più presto da questa posizione, appena siamo convinti che l’insegnamento di questo grado ha avuto su di lui una bastevole efficacia, allora gli comandiamo di farsi animo e, rivolto ai camerati, di guardar verso di loro. Ora egli sta dritto e ardito non egoisticamente isolato; soltanto in unione con i suoi simili fa fronte contro il mondo. Non sapremmo aggiungere altro”.
J. W. Goethe, Opere, Firenze, Sansoni, 1944-1961
Johann Wolfgang Goethe
Mefistofele e il Signore si sfidano
Faust, vv. 296-353
IL SIGNORE: Conosci Faust?
MEFISTOFELE: Il dottore?
IL SIGNORE: Il mio servo!
MEFISTOFELE: Vi serve in modo strano, a dir la verità.
Lo stolto non si ciba dei cibi della terra,
la mente in fermento lo porta lontano,
mezzo cosciente della sua pazzia;
dal cielo pretende le stelle più belle,
dalla terra ogni suprema voluttà,
e nulla, né vicino né lontano,
appaga il suo animo sconvolto.
IL SIGNORE: Se ora mi serve solo confusamente,
io lo guiderò presto alla chiarezza.
Quando il virgulto è verde il giardiniere
sa che il futuro porterà fiori e frutti.
MEFISTOFELE: Che cosa scommettete? Perderete anche lui,
se mi date licenza di guidarlo
cautamente a spasso a modo mio!
IL SIGNORE: Finché vive sulla terra,
ciò non ti sarà vietato.
Finché cerca, l’uomo erra.
MEFISTOFELE: Allora grazie, perché con i morti
non me la sono mai vista volentieri.
Soprattutto mi piacciono le guance fresche e piene;
con i cadaveri non mi ci metto:
mi piace fare come il topo e il gatto.
IL SIGNORE: Va bene, questo ti sarà concesso!
Distogli quello spirito dalla sua fonte prima,
guidalo pure, se saprai capirlo,
giù con te sulla tua via.
E vergognati, quando dovrai ammettere:
un uomo buono nel suo oscuro impulso
è pur cosciente della retta via.
MEFISTOFELE: Benissimo! Però durerà poco.
Non tremo affatto per la mia scommessa.
Se raggiungo lo scopo, permettete
che gridi il mio trionfo a squarciagola.
Dovrà morder la polvere, e di gusto,
come mio zio, il famoso serpente.
IL SIGNORE: Vieni anche allora liberamente;
i tuoi simili non li ho mai odiati.
Di tutti gli spiriti che negano
il Beffardo mi è il meno antipatico.
L’attività dell’uomo facilmente si affloscia,
egli ama presto indulgere al riposo assoluto;
volentieri perciò gli do un compagno
che lo stimola e deve fare il diavolo.
Ma voi, figli di Dio veri, gioite
della ricca bellezza della vita!
Il vivo divenire attivo eterno
vi stringa in dolci vincoli d’amore,
e le ondeggianti forme del fenomeno
fissate con durevoli pensieri.
J.W. Goethe, Faust. Urfaust, introd. di I.A. Chiusano, trad. di A. Casalegno, Milano, Garzanti, 1994
La nuova stagione di Weimar, dal giugno 1788, vede anzitutto l’alleggerimento dei compiti pubblici di Goethe, che mantiene il ruolo di consigliere e dal 1791 assume la direzione di quel teatro di corte che tanta parte ha nei successivi decenni, specie durante la collaborazione con Schiller(per queste scene i due scriveranno e adatteranno molti testi drammatici); Goethe, che ha esperienza di attore, si dedica anche a questioni pratico-organizzative, non manca di regalare ai posteri le sue Regeln für Schauspieler (Regole per attori) e lascerà l’incarico di direttore solo nel 1817.
Immediatamente dopo il ritorno da Roma, l’incontro con la giovane Christiane Vulpius è l’inizio di una convivenza “scandalosa”, subito coronata dalla nascita del figlio August (1789); Goethe sposerà la donna solo nel 1806. Le Römische Elegien (Elegie romane), alta lirica erotica di matrice classica, compongono l’esperienza italiana e il nuovo legame affettivo di Weimar e, al di là delle questioni biografiche, propongono nei loro magistrali distici elegiaci una plastica rappresentazione del rapporto fra antico e moderno, fra vita e poesia, nella forma fluida e ispirata, naturalmente profonda che Schiller definirà naiv. Anche per motivi di convenienza, le elegie rimangono in gran parte ancora nel cassetto come gli aspri Venetianische Epigramme (Epigrammi veneziani) che discendono dal secondo, breve e deludente soggiorno italiano del 1790. Nel settembre 1788, pochi mesi prima dello scoppio della Rivoluzione francese, Goethe incontra per la prima volta Schiller; ancora qualche anno di impegni vari e di interessi multiformi debbono passare prima che inizi quella stretta collaborazione del decennio 1794/95-1805 che passa alla storia come Weimarer Klassik, classicismo weimariano. Nei primi anni Novanta Goethe, che matura una visione negativa sugli eventi francesi, segue col duca le campagne antirivoluzionarie, a Valmy nel 1792 e a Magonza nel 1793 (di qui i tardi scritti Campagne in Frankreich 1792, “Campagna di Francia”, e Belagerung von Mainz, “Assedio di Magonza”), approfondisce gli studi scientifici, specie di ottica, si dedica alla scrittura drammatica, epica e narrativa.
È del giugno 1794 la proposta, da parte del professore di storia di fresca nomina all’università di Jena la cui chiamata Goethe ha appoggiato, di collaborare alla rivista “Horen” (“Le Ore”). Qui usciranno dal 1795 opere di Goethe, fra cui i citati Epigrammi veneziani ed Elegie romane; dalla discussione con l’amico Schiller, documentato in un fitto carteggio, Goethe trae un generale, nuovo slancio creativo, che si esplica fra l’altro nella conclusione e pubblicazione dei Lehrjahre (Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister, 1796), nel confronto con la rivoluzione francese (il ciclo narrativo Unterhaltungen deutscher Ausgewanderten (“Conversazioni di esuli tedeschi”, 1795), con il celebre Märchen (Fiaba); il fortunato poema idillico in esametri Hermann und Dorothea (Arminio e Dorotea, 1797); la tragedia Die natürliche Tochter (La figlia naturale, 1803), in una produzione a braccetto con Schiller – si pensi alle satiriche Xenien (1796) o al cosiddetto Balladenjahr (1797, Anno delle ballate) di Goethe – fra le più note Der Zauberlehrling (“L’apprendista stregone”), Die Braut von Korinth (“La sposa di Corinto”), Der Gott und die Bajadere (“Il dio e la baiadera”). Dal sodalizio Goethe-Schiller discendono queste note opere, gli altrettanto celebri drammi e le poesie della maturità schilleriana, nonché una ben precisa idea di umanesimo conservatore, intriso d’istanze pedagogiche e per molti versi culmine del Settecento europeo.
Anche la ripresa, da parte di Goethe, del lavoro al Faust deve molto a Schiller; la “prima parte della tragedia” che costituisce la versione definitiva della sezione più fortunata del poema drammatico, quella del patto col diavolo e della tragedia di Margherita, vede però la luce dopo la morte del sodale, avvenuta il 9 maggio 1805. Si conclude così un momento forse irripetibile della storia letteraria tedesca, presto idealizzato e mitizzato, in cui i “dioscuri” di Weimar, il “sentimentale” Schiller e il Goethe “olimpico” conducono la loro battaglia estetica, mentre nella vicinissima Jena e poi in altri centri tedeschi si accende nella generazione romantica una nuova idea di poesia e di cultura, che, in rapporto dialettico con le proposte classiciste, determinerà il corso della scrittura e riflessione europea tutta.
Weimar, il mondo: il tardo Goethe
Dopo la scomparsa di Schiller, che Goethe vive con sconcerto, la stagione del classicismo weimariano muove per varie ragioni al termine. L’interesse goethiano di questi anni per la poesia popolare e quindi per l’arte medievale tedesca è una delle tracce dell’apertura verso alcuni aspetti della cultura romantica; su un piano generale trova compimento nei quasi trent’anni di produzione senile l’idea della Weltliteratur, letteratura universale, vale a dire una visione aperta, composita e transnazionale della cultura. La ripresa della serie di romanzi su Wilhelm Meister, con l’inizio della stesura dei compositi e vasti Wanderjahre nel 1807 (“Anni di vagabondaggio”, o “di peregrinazione”, con il sottotitolo Die Entsagenden, “I rinuncianti”), produce in breve tempo l’enuclearsi di una progettata novella in un romanzo a parte, quelle Wahlverwandtschaften (Affinità elettive) che vedranno la luce nel 1809. Tipica opera della prima senilità goethiana, le Affinità elettive compongono mirabilmente lo spunto scientifico e la costruzione simbolica in una vicenda d’amore e morte di notevole risonanza, oggi una delle opere più lette dell’autore tedesco e dell’intera età di Goethe. Il matrimonio di Eduard e Charlotte viene messo in crisi dall’arrivo del Capitano e di Ottilie, una crisi che il concepimento e la nascita del figlio della coppia non scioglie.
Attento comunque anche al dipanarsi delle guerre napoleoniche sul suolo tedesco (Goethe incontra, come noto, l’imperatore dei francesi in due occasioni, nel 1809), il poeta segue con attenzione quelli che accanto alla produzione narrativa e lirica sono i grandi filoni della sua tarda produzione: il discorso scientifico e la rielaborazione letteraria della propria vita. Il lavoro agli scritti scientifici, anzitutto: l’ottica antinewtoniana de Zur Farbenlehre, (“Della teoria dei colori”), magnum opus del Goethe scienziato, esce ad esempio nel 1810; negli anni successivi trovano espressione e sistemazione gli interessi botanici, mineralogici, meteorologici, geologici. Accanto a ciò, le varie forme di scrittura autobiografico-memoriale, per certi versi definibili in termini di costruzione del proprio mito cui contribuiscono anche la raccolta e sistemazione delle proprie opere – essa culmina con la Ausgabe letzter Hand, l’ultima edizione autorizzata delle opere, nonché, sempre nella fase tardissima, con le parole affidate al segretario Eckermann che questi pubblicherà come Conversazioni con Goethe negli ultimi anni della sua vita.
Per quanto concerne la ricostruzione autobiografica, fra il 1811 e il 1814 esce Aus meinem Leben. Dichtung und Wahrheit (Dalla mia vita. Poesia e verità ); solo nel 1831 a questi tre volumi si aggiungerà una quarta parte. Al centro dell’autobiografia goethiana sono gli anni della giovinezza, ricompresi fra la nascita sotto “felice stella” e la fine del quinquennio geniale con la partenza per Weimar. I venti mesi italiani sono invece protagonisti dell’odeporia della Italienische Reise (Viaggio in Italia, 1816-1829), la cui pubblicazione inizia subito dopo la morte della moglie Christiane. I due tardi apici della scrittura memoriale di Goethe, assieme ad altre opere minori di natura autobiografica, fissano dunque quei momenti dei primi quarant’anni del poeta che egli evidentemente considera fondanti la sua identità esistenziale e artistica – ciò non toglie che, nella sua visione, l’intera, vasta sua opera vada intesa nella sua complessa totalità di “frammenti di una grande confessione”. Sia Poesia e verità che il Viaggio in Italia fondano inoltre, come già diversi esempi della produzione romanzesca, drammatica e lirica, una vera propria tradizione nelle lettere tedesche – in questo senso tutta l’opera goethiana funge nel discorso letterario tedesco da “classico” riferimento, eventualmente anche da dissacrare, per generi quali il romanzo di formazione, il dramma d’artista, il dramma d’ispirazione antica, la ballata, l’elegia, l’autobiografia, il libro di viaggio e via dicendo.
La lirica del tardo Goethe culmina certamente una prima volta nell’imponente ciclo del West-östlicher Divan (Divano occidentale-orientale ): dalla lettura del poeta persiano Hafis e da un interesse per l’Oriente che, di lunga data, Goethe approfondisce nella sua fase senile, si origina un’ispirazione che matura negli anni 1814-15 e giunge a compimento con l’edizione in volume del 1819. Negli otto “libri” del Divan, accompagnati dalle Noten und Abhandlungen zu besserem Verständnis des west-östlichen Divans (Note e saggi per una migliore comprensione del Divano occidentale-orientale , con questo titolo nella seconda versione ampliata del 1827), sono raccolti alcuni assoluti capolavori quali Selige Sehnsucht (Beato struggimento), Gingo Biloba e anche poesie che, come Marianne von Willemer rivelerà anni dopo la morte di Goethe, sono ispirati da questa giovane amata dal poeta sessantacinquenne (Suleika). Ulteriori apici della produzione senile sono considerati inoltre, nell’ininterrotto flusso lirico del poeta, la Trilogie der Leidenschaft (Trilogia della passione, 1823-24), che accosta a posteriori in un trittico ideale An Werther, in cui il poeta si rivolge al protagonista del suo romanzo giovanile, la celebre Elegie, nota come Elegia di Marienbad, sull’estremo amore e l’estrema rinuncia legati a Ulrike von Lewetzow, e Aussöhnung (Riconciliazione), nonché gemme tardissime quali le due Poesie di Dornburg, scritte dopo la morte del duca Carl August, nel 1828.
L’ultimo, grande e sorprendente periodo creativo goethiano si situa attorno agli ottant’anni e vede la chiusura delle due opere di una vita, i progetti su Wilhelm Meister e su Faust, in anni in cui, dopo quelle di Schiller, della moglie e del duca Goethe deve sperimentare anche la morte del figlio August (1831) e, pure nel procedere indefesso d’una vivacissima e poliedrica produzione poetica e intellettuale, avverte se stesso e la propria opera sempre più come un monumento vivente, celebrato dai numerosissimi visitatori e ammiratori. Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister sono chiusi nel 1829 e propongono nella loro struttura aperta, ricca d’inserti e digressioni, una vera e propria summa della composita ispirazione del Goethe tardo, nonché una sorta di metaguida all’evoluzione del romanzo moderno. Il manoscritto di Faust. Der Tragödie zweiter Teil, la “seconda parte della tragedia”, viene sigillato nel 1831, con l’indicazione che venga pubblicato dopo la morte che giunge a Weimar il 22 marzo 1832.
Sono passati sei decenni dall’Urfaust. Con i cinque atti del Faust II, come la seconda parte viene spesso indicata per brevità, l’unità d’ispirazione del Faust I lascia spazio a una complessa fantasmagoria: essa risente nella sua stratificazione di una gestazione lunghissima, certo, e soprattutto della eterogenea natura dei materiali poetici, concettuali, in fondo anche d’esperienza esistenziale che Goethe vi profonde. Non si tratta però, come spesso si legge, di un’opera disunita. Già la “prima parte” del 1808, quale esito del classicismo, aveva dato all’incandescente nocciolo sturmundranghiano del prosimetro Urfaust e alla stesura frammentaria del 1790, ancora priva del “patto” con il diavolo ma già integralmente versificata, una solida compiutezza – alla maturazione degli spunti giovanili contribuiva lì in molta parte la collaborazione con Schiller. La “seconda parte”, poi, compone come forse nessuna altra opera della letteratura mondiale una pluralità caleidoscopica con una metamorfica, spesso volontariamente occultata, unitarietà d’impianto. Dal monologo di Faust che, dopo la dedica e i due prologhi, apre con le note amare dell’intellettuale tormentato dallo Streben (tensione verso l’ideale) la vicenda, fino all’apoteosi finale che canta in note estatiche la salvezza di “chi sempre faticò a cercare”, mostra una sua unità: i due Faust sono un unico, grandioso poema, certo aperto e “incommensurabile”, ma soprattutto opera della modernità – lo conferma la fortuna indiscussa che la versione goethiana del mito moderno di Faust ha avuto presso le generazioni successive.
L’opera tutta di Goethe, d’altronde, e la sua stessa figura nelle diverse declinazioni e prospettive, sono al centro di una ricezione ramificata, che riempirebbe un’intera, ideale biblioteca: scrittori e interpreti, artisti e filosofi, musicisti e intellettuali non solo tedeschi misurano la validità e attualità della propria lettura del mondo e dell’uomo moderni sulla matrice goethiana, che è stata e viene tuttora tradotta e trasformata in forme, lingue, contesti e media eterogenei.