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Goethe, Johann Wolfgang von

di W. Theodor Elwert - Enciclopedia Dantesca (1970)
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Goethe, Johann Wolfgang von

W. Theodor Elwert

L'atteggiamento di G. (Francoforte sul Meno 1749 - Weimar 1832) verso D. fu nel complesso di grande stima, non di amore. Comunque, fu un rapporto sottoposto a variazioni, oscillanti tra una non infinita ammirazione e una mal repressa avversione. È difficile accertare quando G. cominciò a occuparsi di D., ma non è da escludersi che ne abbia già preso conoscenza al tempo del suo soggiorno a Roma (1787-88), visto anche che l'epigramma XII dei Venezianische Epigramme sembra contenere al v. 5 una reminiscenza dantesca. La conversazione in casa del conte Fries, che G. colloca nel mese di luglio 1787, può contenere un ricordo di una conversazione effettivamente avvenuta, ma il testo dell'Italienische Reise fu scritto nel 1828-29, sicché il passo spesso citato (" A me l'Inferno pareva del tutto orribile, il Purgatorio ambiguo e il Paradiso noioso "), va tutt'al più attribuito al G. di quegli anni, e inoltre, visto il contesto, ha l'aria di una spacconata del giovane letterato per rintuzzare un importuno. Per di più, rimane assai dubbio se G. nel 1787 avesse già una conoscenza estesa della Commedia. In verità il G. cominciò a occuparsi seriamente di D. assai tardi, passata la quarantina.

Il primo testo che dimostra conoscenza diretta della Commedia si trova nella traduzione goethiana della Vita del Cellini del 1796, ove il G. aggiunge un suo commento a If VII 1. Ma occorre aspettare ancora qualche anno prima che il nome di D. riappaia negli scritti del Goethe. Si possono distinguere tre tappe nell'interesse di lui per Dante. La prima va dal 1799 al 1824, periodo in cui il G. subisce l'influsso dei romantici. La seconda è quella in cui egli legge la traduzione dello Streckfuss (1826-27). La terza (1828-30), meno intensa, in cui si occupa della traduzione del principe Giovanni di Sassonia, e in cui si ricorda del suo secondo soggiorno romano. Il G. non lesse mai la Commedia di sua propria iniziativa, ché l'impulso gli veniva sempre da altri. Nel primo periodo furono meno le associazioni letterarie che le opere d'arte che richiamavano l'attenzione del G., gli affreschi dell'Orcagna, i disegni del Flaxmann, i pittori tedeschi della scuola romana. Tutti questi incontri lo indussero solo a poche brevi osservazioni. La sola epoca in cui si espresse più volte e più esplicitamente sulla Commedia fu quando lo Streckfuss gl'inviò la sua traduzione, e il G. la lesse attentamente, ne rifece alcuni brani, ed espresse il suo giudizio tanto sul testo di D. quanto sulla traduzione. Ma già la traduzione del Filalete lo interessò molto meno.

Il giudizio del G. su D. percorre varie tappe; il primo è del 1805. Sulle orme dei romantici egli ritiene l'episodio del conte Ugolino il culmine dell'arte dantesca; allo stesso tempo esprimeva la sua ammirazione per l'Ugolino del Gerstenberg. Nel 1821, lodando l'Ildegonda del Grossi, vi scopre l'imitazione della " orrenda, spesso raccapricciante grandezza di D. " (" die widerwärtige, oft abscheuliche Grossheit "). Nel 1824, riprendendo un giudizio da lui espresso nel 1816 sugli artisti che seguono il nonsenso dantesco (" der Unsinn nach Dante "), nelle Zahme Xenien III, li ammonisce di nuovo di tenersi lontani dalla muffa dantesca (" Modergrün aus Dantes Hölle / Bannet fern von eurem Kreis "). Il giudizio però è meno negativo di quanto apparentemente sembra, perché il G. intendeva colpire la maniera dei pittori tedeschi romantici cattolici a Roma, i Nazareni, che egli aveva in uggia. Infatti, è dello stesso anno la conversazione con Eckermann (3 dicembre 1824), in cui G. biasimò bensì l'oscurità della Commedia, ma, assicura Eckermann, parlò con rispetto di D., dicendo che il termine " talento " non bastava, che D. era " eine Natur ", cioè qualche cosa di più potente e di universale. Ma anche all'epoca del suo intenso studio di D., quando leggeva lo Streckfuss, il G. si esprime in termini riservati. Scrivendo a Zelter (sett. 1826) egli diceva che " l'Inferno ha qualche cosa di piccolo e grande insieme " (" etwas Mikromegisches "), e perciò sconcertante. L'intera invenzione gli pareva più retorica che poetica, non soddisfacente, e solo la ricchezza nella descrizione dei dettagli imponeva il suo rispetto (" zur Verehrung genötigt "). Trapela da questo giudizio la ‛ poetica dei frammenti ' dei critici del Settecento e del Bouterweck, e infatti l'entusiasmo dei romantici dei primi anni del secolo l'ha sfiorato, ma non l'ha conquistato. Con ciò si spiega che il G. non abbia parte nella scoperta di D. iniziata dai romantici; egli non fu un pioniere, ma seguì il nuovo gusto fino a un certo punto. Scarsi furono anche i riflessi del poema dantesco nella sua opera. Si servì una volta della terzina dantesca nella poesia sulle reliquie di Schiller (scritta quando leggeva Streckfuss), e ci sono riflessi danteschi incontestabili nella scena finale del secondo Faust. Rimane perfino dubbio se il G. abbia letto la Commedia per intero; a parte pochissime eccezioni, quando ne parla, si riferisce sempre all'Inferno.

Bibl. - E. Sulger-Gebing, G. und Dante. Studien zur vergleichenden Literaturgeschichte, in " Forschungen zur neueren Literaturgeschichte " XXVII (1907); A. Farinelli, D. in Spagna, Francia, Inghilterra, Germania. D. e Goethe, Torino 1922; D. Valeri, D. e Goethe, in Università degli Studi di Padova. Convegno di Studi danteschi. D. e la cultura tedesca, Padova 1967, 199-204.

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