GOETHE, Johann Wolfgang von
Poeta universale che, nel secolo dell'illuminismo, all'alba della fervida aspirazione romantica, riproduce il vasto e universale mondo della conoscenza vagheggiato nel Rinascimento, e, pur raffigurando l'anima, lo spirito, le tendenze, la fede, i dolori e le estasi del suo popolo, radicato nella sua terra settentrionale, ne trae una poesia aperta a tutti i cieli, tocca dalle aure miti e forti di tutti i climi, nella quale la realtà più tangibile sbocca all'ideale più eccelso, il fuggevole annunzia l'eterno - alles Vergängliche ist nur ein Gleichniss.
G. nasceva il 28 agosto del 1749 a Francoforte sul Meno. La famiglia, agiata, discendeva da una borghesia umile, ma laboriosa. Il nonno esordì sarto, per finire oste, e aveva aperto intendimento. Il padre, Johann Caspar G., nato nel 1710, era persona studiosissima, giurista di molta valentia, tra gl'"illuminati" del suo tempo, certo uno degli spiriti più chiari. Incrollabile nei principi, di invitta coscienza, disposto a sacrificare l'umore gaio che aveva da natura all'imperativo rigido che gli batteva nel cuore. Austero in apparenza, di dura scorza, ma in fondo tenero e tutto calato nell'anima dei suoi intimi, come rivelano le confessioni del figlio. E un retaggio spirituale paterno, oltre quello cospicuo materiale dei beni di fortuna, si può supporre nell'"ernstes Führen" della vita diritta, rivelato dal poeta medesimo, nel sentimento dell'ordine, del vigile classificare e disporre, e in quel fare della vita una scuola di educazione perpetua. Nato per guidare e ammaestrare, come lo fu, in altra sfera, il figlio poeta. La storia ce lo tramandò vecchio di colpo; e incrudelì sulla supposta rigidezza e pedanteria di quel protestante puritano. Ma aveva pur goduto dell'età verde e fresca, e compiuto lunghi viaggi, in Germania, nell'Austria, in Francia, in Olanda, e steso, in italiano, dal 1740 in poi, una raccolta di appunti su cose italiane, e, per decennî, il suo appoggio sentimentale nelle calamità sopportate, fu quel Viaggio sui cui fogli lo vedeva troppe volte chino e assorto il figlio, l'opera tardi esumata e data in luce dall'Accademia d'Italia nel 1932. Gli affetti non tiepidi di questo signor consigliere passarono al figlio, che fece del mondo italico l'innesto salutare al mondo germanico. La madre, Katharina Elisabeth, che discendeva dai Textor, era natura vivacissima, briosa nel suo equilibrio interiore; la sorreggeva in ogni angustia la fede salda nella bontà degli editti divini, che sapeva dai Vangeli, passati alla sua tenace memoria. Robusta donna, bimba anche come sposa e madre, la "Frau Rath" raccontava piacevolissimamente le sue cose d'incanto e le bizzarrie, e scriveva lettere fresche, scorrette, che sono un amore, appassionate, fantastiche, sensate, come voleva l'immediatezza dell'istinto, rimasto un po' legge.
Dei numerosi bimbi non sopravvissero che Wolfgang e Cornelia; e perché si temeva della fibra delicata, le angustie e le ansie nella casa, che di nulla pareva difettasse, non avevano fine. Impressionabilissimo il fanciullo e di una mobilità inquietante, aveva gran bisogno di amore, di libera espansione. Bimbo, trova nella sorella il primo femminino eterno che lo conforta e solleva. Congiunti, smaniosi di tutto confidarsi, s'aprono alla vita, e si appassionano concordi alle prime letture e imparano lingue: francese, inglese, italiano - aria italiana si respirava in quell'ambiente francofortese, e si spandevano soavi e placide le onde dei canti metastasiani - gemme e stampe e incisioni delle città d'Italia, che il padre sempre sospirava, spiccavano alle pareti. E si sogna già nell'infanzia il "paese di luce" della povera Mignon. Gli eccitamenti erano continui: Francesi che s'installano in casa, nel 1759, costumanze nuove dei forestieri che irritano il padre e attraggono il figlio, recite di commedie e drammi, galanterie, giuochi di società, pastorellerie, a tutto s'affeziona lo spirito dell'adolescente. Gli corrono facili i versi già dal decimo anno. Immagina su testi d'opere italiani le sue fantocciate. Il teatro è la grande palestra di vita in cui si avventura; e bisognerà ch'egli si eserciti scrivendo il primo pasticcio d'un dramma, in francese, con un simulacro d'azione e larve di persone, tolte alla mitologia corrente e alle divinità rispettate nell'Olimpo. La grande facilità dei primi abbozzi gli deriva da questi rapidi e innocenti trastulli. Ha appena 15 anni e fantastica la sua Höllenfahrt... Christi, una discesa agli abissi lugubri, con grande gaudio del cielo e tremore di stelle, strofe concitate che s'allineano, e già tradiscono la preoccupazione religiosa, con fervore di pietà che s'insinua nei più spensierati abbandoni. Così presto lo scuote il Memento biblico. E non meraviglia che siano riverbero delle letture dei Vangeli i drammi che abbozza e che dalla mente via via gli dileguano: Ruth, Belsazar, Isabel, Selima, e ammannisca una Storia di Giuseppe, che realmente deve avere scritta, e che non si è più ritrovata. Divaga, imita i modelli in voga; ma già nei primi saggi è pieno e intenso il sentimento. Giardini e campagne e colli l'incantano. È un'anima indubbiamente nel cuore della natura - "Natur so hold und gut" - e a quest'anima tutta pende la sua. Oltre alla sorella trova prestissimo una dolce compagna, un'umile Gretchen, di non soverchio candore, e la prima storia d'amore termina in una rinunzia obbligata.
Uno strappo e un castigo che gli s'infligge; lo mandano quindi nel 1765 a Lipsia, per studiarvi diritto coi sapienti di quell'università. I dotti giuristi l'annoiano; lo distraggono i poeti e i banditori del verbo poetico, coi quali può famigliarizzarsi, anche se li critica non dolcemente: Gellert, Gottsched. Ha il cuore in tumulto; il demone dell'instabilità lo spinge. In quell'età barocca egli atteggia al barocchismo l'arte che pur gli esplode dall'intimo. L'hanno compagno gli anacreontici; appena distingui i suoi versi dai versi dei maestri e autori in voga; ma presto l'esercizio, il giuoco, la gara cedono alla necessità dell'effusione sincera; e l'immagine, che può, che deve fissare, lo toglie al suo sentire convulso, al suo correre dall'uno all'altro eccesso. V'è pur tanto tenero abbandono e tanta grazia in quei guizzi di poesia istantanea, o d'occasione, una musica interiore che soavemente s'esala. Si accora, si veste di mestizia, come la luna, sua compagna, "sorella della prima luce", con quel suo volto così caro, su cui la nube argentea si distende. Vivente della stessa vita del poeta è la natura, amante appassionata come lui. S'imbatte in una fanciulla, di modesta famiglia, Kätchen Schönkopf, che succede a Gretchen nel possesso temporaneo del suo cuore. Un amore vero, "eine wahre Liebe", che l'ispira. Ma appena ne è avvinto il poeta, e già pensa a togliersi al legame fatale; e, simile alla farfalla - der Schmetterling - del suo canto di congedo, vola e intreccia ghirlande al suo amore: scene idilliche che riflettono i suoi capricci, Laune des Verliebten, esperienze di pastori e pastorelle, fide e infide, dolcemente ondeggianti nelle loro amorose sofferenze. La sorella Cornelia doveva leggere, per suo consiglio, la pastorale del Guarini, a cui tanto s'era affezionato il padre. Si esercita, anche disegnando, alla visione più netta e limpida. Trova un maestro valente, l'Oeser, amico del Winckelmann; e già s'innamora della semplicità e dignità degli antichi. All'intelligente figliola di questa guida, a cui tante volte dovrà tornare col pensiero, Mademoiselle Friederike Oeser, dedica il gruppo dei suoi migliori canti di Lipsia: Lieder mit Melodien.
Una prima tappa di studî si chiudeva nell'estate del 1768, quando lo riaveva la natia Francoforte. Per un tratto la virtù creativa s'affloscia: alla soglia dei vent'anni s'ammala e pare debba consumarsi il suo piacere alla vita. Si raccoglie, cala nel santuario della sua coscienza, e ode temibile la voce di Dio. Era già forte di studî biblici - confesserà di dovere alla Bibbia quasi unicamente la sua "sittliche Bildung" - ed era anima religiosa per natura, benché s'aprisse al mondo pagano, come a tutti i mondi. Ora passa su di lui una gran vampa di misticismo. E lo vediamo preda a una fervida devozione, accogliere i suggerimenti del Langer, piegarsi alle pratiche dei pietisti, che formavano setta e riconoscevano nello Spener la guida in tutti gli sbigottimenti dell'anima. Decisamente, in quest'universo l'invisibile importa più del visibile, e s'empiono tutti gli spazî di arcani e misteri. Le ansie di Faust entrano nel suo cuore; e lo soccorre nel suo ardore di ricerca un'anima profondamente religiosa e romita, la "schöne Seele", di cui avrà perpetua, tenerissima memoria, già avvinta alla madre, Susanna Katharina von Klettenberg. Con lei s'infervora per aver luce nei labirinti dell'occulto, e sentire l'alito di Dio, e uscire dal carcere che ci rinchiude. Anticipa gli esperimenti del suo eroe, votato alla magia e all'alchimia; maneggia lambicchi e distilli in un laboratorio; e lo anima Paracelso, di cui legge con l'amica gli scritti. Questi ardori di fede passarono, quando la salute tornò gagliarda; ma non costituirono una dissipazione della vita, che allargava cosi la sua cerchia d'azione, e affrontava, senza flettere, i più serî problemi.
Un'alta missione educatrice è affidata dal destino al poeta. E G. la sente in sé nel suo più fresco vigore, a 21 anni. E gli pare bene di svelare gli abusi, gl'inganni, le turpitudini della società molle, avida di piaceri e di lucro che lo circonda, non per raddrizzare un mondo che cammina alla cieca, ma per la voluttà di agitare la sferza. Scrive, non senza lo stimolo della Minna del Lessing, la commedia burlesca Die Mitschuldigen (1769). Figure un po' convenzionali, non intimamente vissute si agitano, si rincorrono, intrigano, delirano sulle scene. Le ritrae e le morde il poeta, ma con ironia sottile, con malizioso abbandono e sempre compostamente.
Poi, nella primavera del 1770, è lanciato a un turbine di nuova vita a Strasburgo, ove doveva compiere gli studî giuridici, male avviati a Lipsia, munirsi di una laurea e mettersi in seguito a un impiego. Ma non gli verrà altro stimolo che dalla sua passione per la natura, la poesia e l'arte, nessun'altra legge che quella dettatagli dal cuore. È uscito dai tormentosi abbattimenti, ed è ancora in lui tanta materia infiammabile, tanta esuberanza di desiderio e di entusiasmo. Sa di essere nel suo sviluppo maggiore; cerca gli spiriti eletti a cui avvincersi. Aveva avuto scintille dall'Émile, dalla Nouvelle Héloïse e dal vangelo del Vicario savoiardo. Saturo di ragione, anelava al vigore e al candore dell'intuito. E dovrà essere il sentimento che muove il mondo - "Gefühl" - impeto, passione, ardenza del cuore. Gli occorre un apostolo, e lo trova in un giovane pastore d'anime, il Herder, che aveva il culto fervido della natura incontaminata, e portava, con l'esempio di Hamann, il vangelo d'una poesia istintiva che è alle origini dell'umanità, vedeva Iddio operante al tessuto della vita, destinata a rifarsi, a rinnovarsi in un eterno divenire, e, specchio di Dio, l'individuo, in cui tutta veniva a riprodursi la divina vitalità.
Le dottrine e le idee di Herder sono una rivelazione per il giovane. Ora è una forza che agisce in lui, di conserta col Vangelo dei Profeti, il fascino possente di una nuova Apocalisse. Herder sarà attivo ormai nell'intera vita di G. E rattrista pensare a un dissidio fra i due spiriti negli anni estremi del grande e focoso sermoneggiatore, in tante affinità di pensiero e di sentimento. Dell'umanità herderiana tutta doveva colorirsi l'umanità di G. Alla radice della speculazione cosmica del poeta di Faust trovi Herder. E l'efficacia non si misura. Né può immaginarsi senza lo stimolo herderiano, l'accordo intero con la filosofia della natura dello Schelling, e la simpatia accordata all'idealismo di Hegel, ch'era in fondo sostanza del suo pensiero. Al giovane poeta, che gli si affida, Herder rivela il segreto della poesia del popolo, di tutti i popoli, poesia che è grido di natura e ha la semplicità della voce della prima infanzia. G. adunerà pur lui questi canti, e lo spirito e il ritmo cercherà di trasfondere nei canti suoi più ingenui. E andrà G. allo Shakespeare per consiglio di Herder. Shakespeare gli si palesa titano, coronato di procelle e di turbini, capace di condensare in sé tutte le forze di cui natura dispone, lui stesso natura che esplode, che ordina l'infuriare delle passioni e lo spegnersi negli abissi del cuore. Chi eguaglierà e riprodurrà la forza creativa di questo divino selvaggio? "Riconobbi, sentii nel modo più vivo allargata all'infinito la mia propria esistenza". Shakespeare era un primitivo; e primitivi dovevano pur essere Omero, Eschilo, Sofocle, Pindaro. Ossian già l'avevano conquistato ì mesti cantori degl'idillî lunari e dei taciti abbandoni alle paurose solitudini. Anche all'apprezzamento dell'architettura e della pittura Herder è di sostegno. Un primitivo certamente anche l'audace che sollevò al cielo la mole gigantesca del duomo di Strasburgo. Non esce dallo stupore G. al contemplarla. E ha scoppî di tenerezza per gli antichi Germani, primi a ideare, nel suo concetto, l'arte di tanto vigore e tanta fede, il gotico. E solleva un inno al maestro Erwin, Von deutscher Baukunst domini magistri Ervini a Steinbach (1770).
Questo conquistatore di nuovi mondi a Strasburgo porta tutta l'ardenza passionale nell'idillio che si concede a Sesenheim con Friederike, figlia d'un curato protestante. E anche il canto, compagno a quest'amore, gli sorge come da vena miracolosa. Freschi e forti ritmi, il respiro stesso dell'anima, in cui celere scorre e trabocca il sentimento. Natura e lui, Dio e l'amata sono tutt'una cosa, o persona, vivente una sol vita. Né ci sorprendono i miti che si creano, l'anima, il senso, il pensiero umano posti nella materia inerte, l'astratto fatto concreta figura, la sera che culla la terra perché s'addormenti, l'oscura tenebra che vede con cent'occhi. Ma l'idillio trascorre. Il nodo si frange. Il poeta attende agli ultimi studî per coronarsi dottore, si congeda tra lagrime dall'angelica Friederike e riacquista la sua libertà per procedere oltre. Così, dice, ha voluto il destino. E ripetute volte ancora opporrà un volere ferreo a una travolgente passione del cuore. Ben sa di gravarsi di colpa. E immagina di punirsi, di flagellarsi, di espiare, riproducendo nei drammi scritti il suo dramma vissuto, dando agli eroi, così poco eroici, le sembianze di lui stesso, sempre pronto ad avvincere e pronto ad abbandonare. Weislingen, Clavigo, Faust avranno la coscienza esacerbata come lui. E risorgeranno eterne, fantasmi minacciosi, oppure soffuse di tenerezza e di grazia, le donne che rimasero sole e deluse, dopo tanto impeto d'amore.
Chiuso l'episodio di Sesenheim, G. ha 22 anni, un titolo, un mondo in sé che tumultua e che anela manifestarsi, una pienezza di vita capace di sfidare le tempeste, il suo Sturm und Drang nel cuore, le audacie di Prometeo, la smania di creare, di plasmare uomini, colossi, torreggiantì sugli uomini comuni. Tali li creava lo Shakespeare, e tali riusciranno a lui. Più della grazia gl'importa ora la forza, l'energia dell'azione, la passionalità. Ed è buona palestra, per dare sfogo alla sua vita esuberante, il teatro. Vi tumultueranno gli eroi della sua immaginazione e del suo cuore, gli eletti dell'umanità, anche se perversi. Così nacque il Götz, che s'annunziava nel primo getto, passato alle scene nel 1771, come storia drammatizzata, Geschichte Gottfrieds von Berlichingen mit der eisernen Hand, e più tardi, nel 1773, si rimaneggiava e suonava vero Schauspiel. Una natura che esplode è il cavaliere indomito, un primitivo, gettato in un vortice, tra uomini corrotti e astuti che vuol combattere, condurre al diritto. E corre invece coi suoi bollori alla rovina. Spinti da un demone anche gli eroi minori che agiscono nel dramma; appaion tutti sollevati sul comune. E s'intreccia in questa storia di ribellione e di morte la storia di un amore tradito, riverbero dell'offesa fatta dal poeta che si ordina la sua espiazione. Ogni poesia di G. diventa ora brano della vita sua propria, che distacca da sé, una confessione che non può trattenere.
Col sopraggiungere della fama G. è preso dal disgusto d'ogni frivolezza: Hans Sachs, Lutero sono energiche figure che lo dominano. Ed egli stesso è come il suo Wanderer, che ritrae nell'inno pindarico, Wanderers Sturmlied. Il turbine è il suo elemento - "Wen du nicht verlässest Genius". - Il genio è con lui e non lo abbandona. Sempre più si desta la virtù combattiva; bisognerà agitare la sferza per colpire gl'ignavi, i miseri filistei, gli spacciatori di vuoto, i teologi onniscienti e fanatici, il carnevale dei pigmei che si gonfiano. Ride con grazia maliziosa; assesta i suoi colpi nelle farse e nelle satire: Jahrmarktsfest zu Plundersweilen, il Fastnachtspiel von Pater Brey (1773). L'umore folle lo spinge a una caricatura dei letterati, i successori d'Omero nella sua patria, che davano, per opere, trastulli - Götter, Helden und Wieland (1773-74) -. E vi frusta con le anemie altrui le proprie offese fatte alla Musa divina. Altri strali lancia nel Satyros (1773) contro gl'incauti che gli guastano e gli straziano il vangelo della natura creatrice, onnipossente, divina.
V'è sempre una vena di dolore aperta in questi scherzi; v'è un'anima di ribelle, che dura fatica per ammansarsi. Il poeta si dice posseduto dai demoni, trascinato da essi. E insorge, freme, impreca. Da questi diabolici o divini furori del venticinquenne è germinata la poesia più possente e duratura, schizzata rapida e come fulminea, e rimasta come fermento a tutte le opere, pur a quelle dell'età più avanzata, che si rifaranno a queste prime rapsodie.
Ai temerarî voli e alle sfide audaci lo aiuta la concezione ormai ferma d'un cosmo tutto pervaso della divinità circolante in ogni atomo della creazione. Amoreggiava con le dottrine platoniche. Leggeva Plotino con fervore. E già a Strasburgo agivano su di lui e favorivano le eroiche esaltazioni gli scritti di Giordano Bruno. Gl'inni alla natura risentono del De la Causa Principio e Uno e del De inmenso. Per un tratto potrà distaccare dal cuore questo favorito; ma al Bruno ritornerà, placato ogni impeto, nei tardi anni, e nel '29 ancora, quando la mente era tocca da tutti i sistemi degl'idealisti romantici che sfociavano nella concezione hegeliana.
A immagine sua adunque G. si foggia il suo Dio. Di ardire prometeico s'infiammano tutti i suoi eroi, i conquistatori, i reggitori di popoli, i profeti. Tutti hanno quel "heilig, glühend Herz" che vanta il Titano, fieramente opposto a Giove; tutti sanno di aver "alles selbst vollendet". Il dramma Prometheus può avere preceduto l'ode (1773-74); uno spirito medesimo vi circola; le scene del frammento si spezzano, esaurite le imprecazioni all'alto; e l'ode è come uno squillo di guerra. Si debbono detronizzare gli Dei; e al loro posto opererà l'uomo, servo di nessuno, l'uomo che si costruirà la sua capanna, e medicherà da solo le proprie ferite. È di quegli anni la confessione: "Ich fühle aufs lebhafteste meine Existenz um eine Unendlichkeit erweitert". Ma la tensione era condotta allo spasimo, e la creazione dei superuomini immaginati dovrà frangersi ai primi tentativi. I Titani iniziano - ahimè il compimento non è di loro. Un Caesar, concepito appena, resta abbozzo. Similmente un Sokrates, lanciato contro i Farisei e Sofisti, appena impugna il suo vangelo, scompare. Rimangono, per un tratto, i profeti e i fondatori di nuove religioni. Le poche scene di un dramma Mahomet (1773) appena riflettono l'elevarsi graduato dell'acceso araldo ai più alti cieli ove troneggia il suo dio; le immagini si amplificano, ma la rivelazione non avviene; in altra epoca dovrà riprendersi il canto. Alis e Fatema diranno lo svolgersi e il trionfare della gran fede nell'inno Mahomets Gesang. Anche Cristo compare, solo, per breve ora, ideato come fratello di Aasvero nel frammento Der ewige Jude (1774). Va tra le stelle il Figlio di Dio, e, impietosito dei guai che al basso avvengono, ridiscende agli uomini e non può dar pace, né spandere amore, misconosciuto e tradito com'egli è da tutti. Che ha giovato il suo sacrificio sulla croce?
È un'attività che ha del prodigio, così possente e rigogliosa è in questi frammenti la vita. Anche il Faust esce da questa ardente officina; titano che s'arroga a spingersi sino alla divinità e s'eguaglia allo spirito della terra; e stringe un patto col demonio, per procedere spedito alle sue conquiste. Senza sfigurare il carattere leggendario, il poeta modificava a capriccio il libretto popolare; e di una fantocciata creava un dramma, il dramma umano e universale, in cui ognuno riconosce il proprio aspirare, pungente e senza pace. Il sovrannaturale doveva farsi natura. E nell'amore di Faust per la povera fanciulla, G., ancora con fiamme d'amore inconsumate poneva tutta l'estasi e tutto l'inferno della sua passione e l'atroce pena dell'infelice a cui si spezza il cuore. Il frammento di questo Urfaust (1773-74) scritto di getto, tolto veramente dall'anima e già tragedia compiuta nel rapidissimo abbozzo di poche scene, tace l'estremo giudizio sull'eroe. E forse Faust passava distrutto, inabissato, come il mago dei tempi di Paracelso. Doveva riflettere G. a questa acerbità di destino, e immaginare, sempre memore della colpa propria, altra espiazione. Il dramma, che ora occulta, gli diventa il poema della vita. E l'occuperà per oltre mezzo secolo.
Il noviziato nell'avvocatura, con questi tumulti nel cuore, non poteva non riuscire penoso. Non c'era equilibrio, nessuna stabilità, mai pace. Nella sua città soffoca. Sospira la quiete dei campi; ed è felice quando lo mandano per le pratiche giuridiche a Wetzlar (1772), deliberato a fare poche comparse a quel tribunale. E subito un dolce idillio fiorisce, che rapido passa al dramma e si snoda con tragica fine. Compagno e confidente dell'ottimo Kestner, il poeta ne divide la vita affettiva. Lotte Buff, fedele alla promessa che le è sacra, apre l'anima all'amico con dolcezza e soavità. Ma i desiderî si fanno cocenti. E, quando esplode la confessione all'amata, Lotte ha lo schianto in cuore, ma virtù di ricordare all'amico l'amicizia, che è dovere di rispettare. Inevitabile il congedo, la fuga, l'errare disfatto nella città nativa, a cui fa ritorno. La primavera del '73 reca l'annunzio delle nozze di Lotte. Dovettero passare per la mente del poeta cupi pensieri di annientamento. Intanto il giovane Jerusalem, a Wetzlar, aveva troncato col suicidio il proprio martirio d'amore. Lui, il poeta, dispone d'altra forza. Non correrà alla morte violenta, ma a un'opera, in cui potrà rovesciare calda la sua passione, intero il suo fervore immaginativo. Nacque così il romanzo d'amore, scritto nei primi mesi del '74, Die Leiden des Jungen Werther, una storia, dice, "in cui raffiguro un giovane, che, dotato di un sentimento profondo e puro, e di vera penetrazione, si smarrisce in sogni fantastici, mina col pensiero la sua essenza, finché, distrutto da una infelice passione d'amore sopravvenuta, si spara un colpo mortale alla testa". Il debole che soggiace alla passione fatale, e narra le sue torture, e getta l'anima alla natura, ingenua, vergine, sola a commiserarlo, e si disgusta del comune, di tutto, e langue e geme e si scava nel cuore i neri abissi è il poeta stesso. E negli accenti della sua romantica passione era il vangelo della natura e degli spasimanti d'amore del Rousseau che ancora si riudiva. Sembrava che rivivessero i sentimentali di Richardson, e che l'Amleto shakespeariano tornasse nelle sembianze di questo Werther, irresoluto, cupo e decisamente malato. Questi invalidi, rosi da morbo interiore, hanno pur grande attrattiva. A loro va il cuore del poeta. Un decennio dopo esalata la prima confessione, G. riprende il Werther, lo lima, vi aggiunge nuovi episodî, e associa tratti di altra donna amata, Maximiliane Brentano, a quelli così spiccati di Lotte. Frattanto il romanzo passava nella vita sentimentale di tutti i giovani. E all'autore dava inquietudine per l'azione corrosiva che esercitava sugli esaltati e sui fiacchi.
Sanato con tale farmaco, G. procede. È l'autore d'un'opera che tutti debbono inchinare. Vengono a lui i più illustri. Viene il Lavater, l'autore della Physiognomik, già avvinto al padre. Viene il Basedow. Appare il Klopstock, con dimessa solennità. Le distrazioni non mancano. Nessuno eguaglia la virtuosità di G. nel risollevarsi rapido dai profondi abbattimenti. Esce spesso da Francoforte. Segue il Reno su fino a Colonia, stretta dalle sue ridenti spiagge. Si lega allo Jacobi, anima fervida e poeticamente filosofante, e, sotto un pergolato, al dolce mormorio delle acque, i due amici leggono Spinoza. Ma più d'ogni filosofo ha potere e fascino la donna. L'incanto è eterno. Ora è alla sedicenne Lili Schönemann che perdutamente G. si affeziona. Ma ritornano anche le ansie, i dubbî, le febbri. Per anni si trascina violenta una passione, e si vagheggia un'unione che non potrà mai compiersi. Ebbrezza e sconforto, impeti lirici e gridi di dolore si alternano.
Lo sorprendono le Memorie del Beaumarchais, quando ha gonfio il cuore e cerca un soggetto drammatico per le sue espansioni. Vi era narrata la storia dolente di un amore tradito e dell'onta avuta dal seduttore senza coscienza. Con la foga abituale, scrive Clavigo (1774), dramma con un finale lugubre - inspirato da una ballata popolare -: il seduttore trafitto sul cadavere della donna che si rifiuta e che troppo tardi ancora si desidera, un "casamiento en la muerte" come l'avrebbe immaginato Lope de Vega, il poeta della patria di Llavigo. Cara doveva essere a G. questa mescolanza di verità e di finzione in una storia di passione e di dolore aggiunta alla storia sua, un ideale trafiggersi, perché si alleviassero le sue colpe. La parola è enfatica talora, esagerato il pathos. Non solo la povera Maria, ma anche Shakespeare erano traditi. Carlos pare anticipi i giustizieri di Schiller. Eppure il dramma scuote; non lascia spazio alla riflessione.
L'attrazione più possente è per le ambasce del cuore. Dirà, nel '75, che, se tralasciasse di scrivere drammi, la morte lo coglierebbe. Può sbizzarrirsi, fantasticando or l'uno or l'altro innocente Singspiel - ne immaginerà uno ancora in Italia (Scherz List und Rache) -: capricci d'amore, distacchi e ritrovi, in Erwin und Elmire; la schietta natura che insorge contro la tirannide della società, in Claudine von Villabella. La sua natura lo dispone al grave. L'arte lo riconduce alla passione che esplode e non s'argina. Se un conflitto lacera questo cuore, quale scioglimento potrà invocarsi? Si affaccia il problema di Stella (1775), ispirato da un embrione di passione nuova nel poeta per la contessa Auguste zu Stolberg, che attraversava la grande passione per Lili. Fernando è un debole e un irresoluto come Werther; eppure è della natura del conte di Gleichen, e porta il dolce peso dell'amore di due donne, Cecilia e Stella. Quando lo depone e medita gli abbandoni, le fughe, gli smarrimenti, se lo ricarica, e il corpo e l'anima non gli si frangono. S'immagini lo scandalo che doveva produrre questo doppio matrimonio presso i ben nati di Francoforte e di tutta la Germania. Avessero almeno consumato le fiamme quel "glühend Herz". Tale scempio impensieriva la Stein, e darà anche affanno al poeta, quando si chinerà al vangelo della rinunzia. Occorreva il trionfo della necessità tragica, la morte di Fernando. La chiusa ideata nel '76 e risolutamente applicata al dramma nel 1805, precedeva di pochi anni lo scioglimento tragico delle Wahlver anwdtschaften.
Intanto, nella primavera del 1775, sempre con gli Stolberg, una lunga peregrinazione conduceva G. nella Svizzera, rimedio immaginato ai suoi mali d'amore. Monti e piani, il lago di Zurigo, che aveva cantato il Klopstock e canterà lui, i gioghi del Gottardo, le porte d'Italia, la terra cara al cielo, già tante volte sospirata. Dovrebbe discendere - il padre gridava Italia a ogni crisi passionale del figlio - ma il figlio s'arresta; ritorna come a precipizio. Una fuga a rovescio; ritorna nelle braccia di Lili.
E ancora una volta rifoggia a sua immagine la storia d'un eroe e, poco curando la fedeltà alle fonti, si crea il suo dramma di Egmont: l'eroe, che non sa di esitazioni e di pericoli, e va all'anima del suo popolo, lo rischiara come un sole, lo solleva, e appare messo di Dio. E, raggomitolata a lui, vivente del suo respiro, l'umile Clärchen, nata per il sacrificio e la purificazione e sublimazione dell'amore. Gli spiriti invisibili, che muovono il carro del destino, frangono le ruote, e cade il favorito degli dei. Poco chiara risultava la catastrofe. Le ultime scene sospese si riprenderanno dopo il decennio di Weimar, nel 1787. E il dramma avrà suggello armonico sotto il cielo d'Italia, così azzurro e così in pace.
Mentre così il poeta lottava tra indecisioni, e sospirava il sereno del Mezzodì, il provvidenziale invito di un giovine principe della piccola corte di Weimar segnava l'inizio di una vita nuova. A Weimar G. ha finalmente un'attività diretta a uno scopo, poggiata su un cardine morale. Presto è sollevato da Karl August alla dignità di ministro, e deve curare il disbrigo degli affari nel minuscolo stato, curare persino le finanze e la guerra. L'arte divina non gli sarà per molti anni che distrazione. Ora egli ha una casa nel centro, un "buen retiro" lungo l'Ilm, per l'estate, i suoi alberi, il suo giardino, un mondo per sé stesso, innestato nel mondo che amministra. Veramente, i tempi procellosi sono tramontati; le ribellioni titaniche non hanno più senso nell'uomo di stato, che vigila per l'ordine e la disciplina. E Dio gli concede anche altra donna per i bisogni del cuore, non fatta per le passioni veementi, ma per il sereno abbandono; donna matura, già sposa e madre di più figli, provata alla sventura, un portento di calma e di rassegnazione, Frau von Stein. La redenzione invocata ella sola poteva concederla. Sottile e penetrantissima d'ingegno, ella è guida sicura, deliberata a togliere le esuberanze, i fremiti inconsulti nel poeta, che le si arrende, e sogna e pensa e crea, fisso in lei. Da lei viene la calma, lo "stiller Frieden", medicina a ogni ferita dell'anima, moderazione e temperanza, virtù sconosciuta nel "wilder irrer Lauf" e nello stridere delle tempeste della gioventù. Pure da lei la persuasione che il segreto della vita sta nel dominarsi: tenere i freni a ogni irruenza e concupiscenza, avvezzare l'anima alla rinunzia. Alle confidenze giornaliere, agl'inni e cantici, in cui si trasfonde questo sereno amore, si aggiunge un migliaio e mezzo di epistole, le più incantevoli nell'epistolario immenso del poeta - la Stein distrusse le sue; gl'indelicati l'avrebbero misconosciuta e offesa.
Curvi insieme sulle pagine dello Spinoza, cercano insieme Dio nell'universo, nel gran Tutto. L'etica spinoziana, che portava a signoreggiarsi e a fortificarsi nel sacrificio era la più conveniente alla Stein, sempre intenta ad attutire i sensi dell'amato. E, infine, tutta di sacrifici era fatta quest'unione. Le anime si piegano alla devoziooe. E anche la poesia e l'arte sconfessano ora gl'impeti irrefrenabili. Il tono dimesso è il più insinuante e persuasivo. Il modesto Mieding, che tutto si concede agli altri, ha il suo trionfo (Auf Miedings Tod, 1782). Solo chi sa dominarsi e praticare con fermezza l'"entbehren", come imperativo di vita può essere guida al suo popolo (Ilmenau, 1783). Certo non s'imporrà un canone rigido del dovere al poeta, quando passa dagli affari dello stato alla vita dei suoi fantasmi e al tessuto della sua immaginazione. E ancora le prime ballate ridanno il fremito della vita in mondi arcani e paurosi, il fantastico che attrae e atterra, Da Fischer, Erlkönig, Der Sänger. Pure a Weimar, il poeta è allettato dal capriccio dei melodici Singspiele (Fischerin, Jähry und Bäteley). Ma la serietà, il raccoglimento profondo, l'interiorità s'impongono. La poesia dovrà tendere a placare i dissidî e a mettere pace, armonia dove è tumulto. Le voci di Dio vanno all'anima; e sono voci misteriose, oracoli dei destini umani che preoccupano il poeta. I suoi Geheimnisse toccano gli alti misteri e gli alti simboli, e si spezzano in un frammento di una vasta concezione cosmogonica, affermante il vangelo unico d'una pura umanità, la vera religione che congiunge e affratella e che Humanus può imporre ai dodici cavalieri, ossequiosi a tutte le fedi e che lui deve guidare. L'inesplicabile dovrà umilmente accogliersi. E già qui troviamo il poeta amoreggiare con la dottrina della trasmigrazione delle anime, rimastagli poi sempre cara. Decisamente, lui e la Stein vissero con altre sembianze in altri tempi, ed erano marito e moglie indivisi.
Ha i suoi misteri e vicende continue di sviluppo la vita che si agita in ogni fibra dell'universo. E sempre più si desta nel poeta la smania di conoscere e di esperimentare. Fin d'ora già s'avvezza a esplorare la natura, a esaminare piante e fiori, e zolle e pietre, come necessario complemento alla sua attività artistica. Esercita lo sguardo a una minutissima ed esattissima contemplazione di tutto, colpito, commosso, indotto alla riflessione da ogni fenomeno. Accumula tesori d'osservazione nella Svizzera, dove si reca nell'autunno del '79, nei peregrinaggi al Harz; si famigliarizza coi minatori della Sassonia; passa a Karlsbad, che rivedrà anche nei tardi anni. Più vede e più si convince dell'unità organica del mondo, e della semplicità infinita di ogni essere nella sua infinita varietà.
Anche la poesia deve rispondere a un ideale di semplicità e convergere a un solo centro di luce. Il semplice è per natura profondo. La donna del cuore, compagna, sorella, di ellenica soavità, gl'ispira l'Iphigenie, ed entra purificando, elevando e redimendo nel dramma stesso, che G. incomincia nel 1776, e rimaneggia poi e compie un decennio dopo, accarezzato dalle aure miti di Roma. Ma il ritmo giambico anima e rende solenne già la prima prosa, che il poeta dovrà poi rifiutare. Non turbini di azione, non il travolgere cupo e straziante del destino che Euripide raffigura, ma un concentramento di vita nell'unico dominio del cuore. Drammi del cuore saranno ormai tutti i drammi che G. vorrà portare alle scene. Si lavano le colpe e si espiano con la più schietta e pura umanità. Ifigenia eleva alle sue altezze gl'infelici che il destino martorizza, e sana la demenza di Oreste. Torce l'imprecazione in benedizione. Mitiga, appiana, porta la verità al trionfo. Su di lei s'inarca un cielo di saggezza; parla per oracoli e per sentenze. Ci avviciniamo con un tremito religioso a questa sacerdotessa del divino e dell'umano, e si flettono le ginocchia. Un riverbero della missione purificatrice compiuta da Ifigenia è pure nell'Elpenor (1781-83), scene d'augurio per il principe. A Antiope il giovine, allevato perché compia vendetta rigida e sanguinosa dei misfatti patiti, dell'uccisione dello sposo, reca non lo scompiglio e il trionfo dell'odio, ma il trionfo dell'amore e dell'umanità purificatrice.
Tuttavia, il regno dell'intera serenità non poteva avverarsi neppure nell'idillica Weimar. Faust, che non può appagarsi mai, che lotta con le sue due anime - e una va pur verso i sensi, mentre l'altra spazia alle alture dei cieli - Faust è sangue del sangue del poeta. E il poeta, scisso troppe volte ancora, immagine dell'inquietudine, l'opposto della natura così sublime nella sua calma, fragile di tempra, al forte marmo dedicava un suo saggio (Üiber den Granit, 1784). L'amore per la Stein era un'ansia sempre inappagata. E un fremito d'intera vita gli correva nelle carni. Troppi i negozî da sbrigare, e molti aggrovigliatissimi. Un piombo di cielo; e occorrerebbe spazzare tutte le nubi, o precipitare giù all'azzurro del Mezzodì. La Sehnsucht per l'Italia, tante volte ricacciata nel cuore, ed esalata nel canto di Mignon, già famigliare alla Stein (un verso di Edmund Waller: "That happy island, where huge lemons grow" ricompare nel "Kennst du das Land...") ora non può più vincersi. Ammala, se non raggiunge la terra che si promise. Un giorno del settembre del 1786 si libera e discende.
Per poco meno di due anni attende a un rinvigorimento del suo spirito nel paese d'incanto che percorre. V'era giunto il padre a 30 anni; lui ne contava 37. S'era arrestato il padre a Napoli; lui si spinge sino in Sicilia. Il paradiso di J. C. G. era Venezia; il suo è decisamente Roma, dove soggiorna a due riprese, la seconda volta per un anno; e avrebbe voluto passarci una vita. Procul negotiis tutto gli par mutato; e, se compara la patria che abbandona con quella che riacquista, è questa decisamente che gli reca tutti i vantaggi. Lassù le tenebre, e giù la luce. Lassù un paese di convenzione e di vita stentata, in Italia la libertà vera, un cielo puro, un popolo sano, vivente secondo natura.
I contrasti, cosi crudi, avevano più vita nell'immaginazione che nella realtà. Tuttavia mai, dice, si era sentito così profondamente umano: "ich kann nicht sagen was ich schon die kurze Zeit an Menschlichkeit gewonnen habe".
Un museo d'arte appariva l'Italia intera. Già prima, l'ideale della grazia in G. s'era sovrapposto a quello della forza. L'arte del Medioevo gli diventa estranea, lontana. I nuovi idoli sono Raffaello e Palladio. Dov'è chiarezza, luminosità, nitidezza di linee e di contorni, il G. trova il piacere maggiore. Parzialmente quindi gusta il barocco, e l'irrita lo sguaiato, il comporre senza freno e misura. Gigantesca la creazione di Michelangelo; ma alla sua natura chi accede? G. pensa alle forze diaboliche che agivano in lui stesso e che ha sedate. Più tardi l'inquieterà la veemenza di Beethoven. Non si pente di aver levato al cielo maestro Erwin, che ergeva la mole audace del gran duomo; ma erano febbri superate. Ora il gotico, che fa coincidere col germanico, gli dà quasi disgusto. È arte rozza e barbara. Il duomo di Milano erge invano le sue guglie, aduna montagne di pietre inerti. Finalmente si avverava in Italia il gran sogno della bellezza plastica. In nessun'altra epoca, in nessun'altra regione il poeta è stato preso dalla gioia del disegno come in Italia. Lo assistono e soccorrono il Tischbein e il Kniep. In fondo però era il paesaggio soltanto che l'assorbiva. La figura umana gli riusciva stentata. Smette, quando s'avvede che non ha rimedio il suo dilettantismo.
Intanto, con la scorta del Winckelmann, penetra nell'antichità classica e ne fa sostanza di vita. A lui, come al Winckelmann, sono gli Elleni che parlano attraverso le rovine di Roma. Quale armonia e semplicità serena, quale compostezza anche nel tumulto degli affetti! Troppo scompiglio e arbitrio era nell'arte dei suoi Germani; vi mancava il senso della forma. E ora gode di riconoscere, anche alle opere di fantasia, legge e forma. "Gestalt", "Gesetz", "Form". Ha come una febbre della "Gesetzlichkeit". E si ordina queste sue norme, che risolutamente pone nel cuore stesso della natura.
Gode la sua vita, fattasi contemplativa, e percorre le spiagge della Sicilia con l'Odissea per guida. Vorrebbe omerica più che shakespeariana l'arte propria. E distende, tra i sorrisi del mare e del cielo, le prime scene di un dramma sulle peregrinazioni e gli amori di Ulisse; ed è ben singolare ch'egli abbandoni poi i frammenti di poesia cristallina della sua Nausikaa. La sua stessa lirica ha ora movenza epica, ed è sapientemente arginata, come in Meeresstille und glückliche Fahrt. Domina ora placido dalle altezze raggiunte il suo mondo. E, con mano sicura, placa il dolore, e riconduce tutto, anche il tumultuare più acerbo, a serena armonia. Dolce era fantasticare alle aure miti di Villa Borghese. Rivivono, inondati da nuova luce, i drammi concepiti prima della discesa italica: Egmont, Tasso, Iphigenie. Pareva che nessun peso dovesse incombere sul poeta, nessuna forza ostacolare la creazione sua facile e spontanea. E l'uomo intero si rinnova sulla beata terra italica: "Die Seele quillt auf, der Mensch fühlt eine Art Verklärung seiner selbst, ein Gefühl von freierm Leben, höherer Existenz, Leichtigkeit und Grazie".
Né deve tacersi che, precisamente sul suolo italico, con tanta pace per la meditazione, e spettacoli così varî che s'offrivano alla vista, si approfondì il pensiero del poeta sulla natura. Qui trovarono sviluppo le teorie non timide del naturalista sperimentatore. "Sotto questi cieli si possono fare le più belle osservazioni", dice lui stesso. E gli pare a volte che più che poetare importi erborizzare, raccogliere pietre, anatomizzare, esaminare gli strati terrestri, seguire i fenomeni dell'aria e della luce. Ha una sua idea dominante, venutagli da una prontissima intuizione, l'idea dell'unità della natura e della composizione di tutti gli esseri organici, che si potrebbero pensare derivati da un unico "Urtypus" per un processo di continue metamorfosi. Un'estrema semplicità primitiva è da supporsi nello sterminato complesso dei fenomeni. Non è in Italia che egli intuì il concetto dì "Urpflanze", tipo ideale di pianta da cui tutte le specie deriverebbero, e gridò a Herder il miracolo? La natura procede per idee, e ha un ordine ideale che giammai si altera. Secondo leggi infrangibili, piana, senza mai scosse o rapidi trapassi, o repentini sconvolgimenti, essa compie le trasformazioni successive della vita di ogni essere "bildet regelnd jegliche Gestalt - Und selbst im Grossen ist es nicht Gewalt". L'idea della labilità relativa degli organi e quella dell'Urtypus" dominano tutta l'attività scientifica del poeta: ne dipendono la riscoperta dell'osso intermascellare dell'uomo (già notato dal Vesalio), il saggio sulla metamorfosi delle piante, quello sull'anatomia comparata, la formulazione della teoria vertebrale del cranio. Anche la sua teoria dei colori doveva fondarsi inevitabilmente sull'idea del fenomeno fondamentale, il colore iniziale, che dà origine alla scala degli altri colori, i sei figliuoli, generati dalla coppia meravigliosa la notte e il giorno, come diceva Schiller. G. non si doleva di essere cattivo matematico e non buon fisico. Gli repugnava il meccanismo dell'indagine. Liberamente rinvigoriva col suo potere fantastico il suo mondo di logica speculazione. E maggior fede gli si presta ai nostri tempi che non si facesse all'epoca dei trattati scritti e divulgati (il saggio Über den Zwischenknochen apparve nel 1784, il Versuch die Metamorphosen der Pflanzen zu erklären nel 1790; la Vergleichende Anatomie nel 1795; la Farbenlehre nel 1810; i Materialien zur Geschichte der Farbenlehre, postumi).
Riconoscere significava per il poeta amare, e, infine, scoprire quello che già s'irradiava nell'anima propria. "Se non avessi già per virtù di anticipazione portato il mondo in me, sarei rimasto cieco anche con gli occhi aperti" diceva; e, con un'immagine plotiniana: "se l'occhio non fosse della natura del sole, mai potrebbe fissarsi nel sole stesso" ("die Sonne könnt'es nie erblicken"). Indovina così, vive il lavoro riflesso di altri spiriti. E, certo, senza l'opera dei filosofi del suo tempo che l'illuminano per guizzi, il suo pensiero non si comprenderebbe. Kant lo scuote da una sua temporanea letargia riflessiva. Non s'accordava egli stesso con la "Critica della ragion pura", prima ancora che il verbo kantiano si bandisse? Perfettamente dovrà poi accordarsi con lo Schelling, e far sua ogni affermazione schellinghiana sui rapporti fra le arti figurative e la natura, il rinnovarsi e il ricreare perpetuo della natura con una sola forza, un sol battito del polso, "una sola vita". E Schelling l'avviava al pensiero evolutivo di Hegel, forse il più consono al pensiero suo proprio, benché gli sembrasse di aver lontane le astruserie del filosofo ideafista. Quante volte affermava pur G. l'inesauribile vitalità della natura, prodiga sino all'eccesso nella sua produzione, perché l'infinito fosse sempre presente e tutto si evolvesse, divenisse, senza mai soffrire ristagno! "Geprägte Form, die lebend sich entwickelt" è l'uomo. E la vita un continuo morire e un continuo rinascere. Il suo "stirb und werde" è pure sentenza hegeliana. Ed è ossequio a questa legge l'incontentabilità di Faust, il non soffermarsi mai a una meta o conquista raggiunta: "Im Weiterschreiten find'er Qual und Glück".
Il distacco dall'Italia e il ritorno a Weimar ripiombano il poeta nelle antiche pene e ambasce. Inganna il dolore, creando a Weimar un simulacro di Roma, una piccola reggia, che potrà sognare come sacro impero romano. Già da tempo l'amore spirituale per la Stein era combattuto dall'amore terrestre per Christiane, della famiglia dei Vulpius, creatura semplice, d'incantevole ignoranza, primitiva. La Stein perdeva il suo fascino. Per la vita dei sensi nulla importava. Dovette cedere infine l'amico alla rivale abborrita. Le lettere spedite a lei dall'Italia, la sostanza del "Viaggio", sono l'ultimo testimonio della trasfusione d'anime avvenuta e ora troncata.
Così G. canterà a Weimar, ripensandosi a Roma. E la poesia delle soavi rimembranze avrà forma di elegia, motivi e movenze tolte ai poeti del Lazio, Catullo, Tibullo, Properzio. Un'anomalia per G. questa riimmersione nella vita già vissuta, dalla quale alle sue Römische Elegien deriva non so che di statico, di riposante, pur nella forza dionisiaca dell'ispirazione. Anomalia anche quell'intera dolcezza che vi è diffusa, senza ombra di sofferenza, senza peso d'affanni, senza rinunzia. Gli dei sono benigni; ridono alla natura, che è tutta in festa, e alle altere rovine; ridono alla fortuna del barbaro, che ha conquistato Roma e ha tra le braccia amorosissima la sua donna, divenuta romana, naturalmente. Faust può aver suggerito Faustina. Ma non v'è mai bassezza o licenza nel godimento. Anche nel voluttuoso tripudio s'apre una vena di tenerezza, si direbbe spirituale. Ritroveremo il metro elegiaco, in Alexis und Dora, che già precorre anche per l'omerica serenità d'una unione intima, tutta candore, il grande idillio Hermann und Dorothea.
La sua unione con Christiane, che sorprendeva e irritava borghesi e nobili di Weimar, dava a lui tranquillità e sembianza di vita regolare, cullata nella pace. Ma, tra i suoi malati, a cui dava fama nelle opere, uno ve n'era che troppo intimamente gli restava vicino, poeta come lui, in urto con un mondo non fatto per comprenderlo: Torquato Tasso. Già da anni, lettore appassionato della Gerusalemme, attratto dalle Vite che avevano scritto il Manso e il Heinse, aveva ideato il suo dramma tassesco. La chiarezza definitiva gli venne laggiù nel paese della luce e del sole. E si dovevano fregiare dei ricordi d'Italia le scene nuove del Torquato Tasso che si compivano (nel 1789). Dolce rievocare i destini del poeta d'Italia più tribolato e più festeggiato, e ritrovare il cielo d'Italia, azzurro e in pace, una corte, piccola come quella di Weimar, provvida di mirto e d'alloro per i poeti, sapientemente governata da un principe, saggio e festoso, come il duca stesso di Weimar. Grandi intrighi non potevano avvenire in quella corte, e nemmeno G. li immaginava, attento unicamente alla storia dell'anima che svolgeva. E i conflitti non sono acerbi, benché tali se li crei, nella mente esaltata, il povero Tasso. Malattia ben grave era in questo spirito; e G., guarito dall'infermità sua propria, poteva farsene accorto contemplatore, vedere entro il reale, quello che il suo eroe - un "Werther potenziato" lo chiamerà lui stesso - torbidamente vedeva nella fantasia. Sdegnerà Torquato ogni medicina al morbo che lo rode e distrugge. L'irresolutezza amletiana è nelle sue vene. E ha di fronte un rivale, Antonio, tutto salute, avveduto e scaltro, l'uomo di stato che agisce con freddezza, fuori del sogno. Riuscisse a dominare sé stesso, a sedare le passioni convulse! Il demonio non è fuori di lui, ma nel maledetto suo cuore. Infurierà come Oreste. E come a Oreste verrà a lui, soccorrevole, l'alta donna che follemente egli ama, e porta, con la moderazione, la saggezza e la calma.
Ogni acerbità è alleviata dal canto - "gab mir ein Gott zu sagen was ich leide". - Dono di Dio, venuto a Torquato come a G. E l'Italia aveva pure parte a quel dono. Ora il destino voleva che, in un secondo viaggio, fatto nella primavera del 1790, per compiacere la madre del duca, l'Italia recasse noia e non piacere e conforto al poeta, partito da Roma con l'anima franta dal dolore. Ritorna a Venezia, s'irrita della lunga attesa, e si disgusta della città, degli abitanti, male governati, scostumati e corrotti. Mutato lui, o mutata la terra d'incanto che celebrava, vivente nel suo cuore? Patisce ora G. la sua Sehsucht a rovescio; e sospira Weimar, la sua casa, la sua donna. Agita la sferza, come l'agitavano tra i Latini Marziale e Orazio. E offre un lamentevole contrapposto alle Elegie, i Venetianische Epigramme.
Si rabbuia anche in patria. Grandi moti e grandi ribellioni si preparavano. Le guerre di Francia s'annunziavano. I suoi Germani si rivelavano sempre più ottusi per la poesia, indifferenti alle opere sue. Meglio votarsi alla natura, sempre aperta, sola a non respingerlo. Alle "Metamorfosi" aggiungeva il saggio Über die Gestalt der Thiere. E proseguiva gli esperimenti, portandosi, nel 1790, a Dresda, nella Slesia, varcando le frontiere slave. Uscì poi dal suo nido di Weimar, per trovarsi col suo principe sui campi di guerra di Francia; e vi ritornò con una tristezza amara. Disperava di sé stesso e del suo valore come poeta. Negli anni della più squallida solitudine si trova con Schiller, e risorge con lui a nuova vita.
Schiller era già a Weimar nel 1787, ma l'avvicinamento avvenne molti anni dopo, nel '94. Ed era l'"Urpflanze" congetturata dal poeta scienziato, che avviava il primo annodarsi dell'amicizia. E mirabile veramente fu l'accordo di questi antipodi dello spirito, che immediatamente avvenne dopo la prima conoscenza. È merito dello Schiller l'aver rinfrancato l'amico, ridonandogli la fiducia in sé, spronandolo ad altre opere. Commosso lo ringrazierà G.: "Sie haben mir eine zweite Jugend verschafft". Sempre affettuosa e calda la corrispondenza; sempre pronti e provvidi i consigli. Ed era uno scibile che si sviscerava serenamente in questo scambio di epistole, umane, ricolme di saggezza. Tutta un'estetica nuova qui si rischiarava. Pronto Schiller a riconoscere la superiorità dell'amico, genio che la natura prediligeva, natura lui stesso, agile, immediata, istintiva. I lambicchi della riflessione, che davano a lui tortura, l'avevano risparmiato. Dal giudizio e dalla critica dello Schiller venivano a Goethe nuovi semi d'idee e suggerimenti per dare forza drammatica ai conflitti svolti, alle scene immiaginate. L'azione dello Schiller sullo spirito di G. si protende sino alle estreme tappe di vita, l'ultimo affaticarsi per la concezione del Faust. Dall'amicizia nasceva, talvolta esplodeva, una collaborazione spontanea. Congiunti lanciano i loro Xenien (1797), agili e taglienti epigrammi, contro i letterati e filistei, che offendevano la missione sacra dell'arte. E ogni iniziativa dello Schiller è sorretta dall'amico. Saggi goethiani affluiscono alle riviste, agli Almanacchi delle Muse. Alle Horen (1796-97), a cui si volevano destinare frammenti del Meister approda, con la versione del Cellini (ritoccata e riordinata nel 1803), la novella Unterhaltung deutscher Ausgewanderten. E G. impara pur lui, sull'esempio dello Schiller, a comandare la poesia. Un seguito di Ballate (1797-98) manifesta la gara aperta fra i due amici. Più esperto G., attento ancora ai demoni che porta in cuore, comprende l'elementarità di vita, l'esplodere dell'istinto, nelle strane e fantastiche vicende che racconta. E riproduce, con un'aderenza dello spirito, che sapeva il raccogliersi pauroso negli abissi della coscienza, il fascino dell'occulto, il tremito del mistero, il brivido, la "volupté funèbre", come diceva la Staël, per il correre di fantasmi e spettri e vampiri, nei deliquî notturni. Riproduce, col simbolo della peccatrice redenta da Cristo, in Gott und die Bajadere, il fantastico dello Zauberlehrling, dello Schatzgräber, il lugubre della Braut von Korinth. Altre onde di canto lo porteranno al König in Thule (1800), al Hochzeitlied (1802). Incanti, seduzioni, misteri, voci arcane, le "Stimmen der Völker in Liedern", udite e accolte da Herder, udrà e accoglierà pur lui, movendosi or qua or là per i mondi della poesia e del sogno, nell'antica Scozia e Inghilterra, nella Germania antica, nell'antica Spagna. La Musa del popolo è voce di Dio. Schäfers Klagelied, Bergschloss (1803) ne ridanno l'umiltà e il fervore. Dal reale o immaginario i canti brevi sono portati al simbolo. Ogni fenomeno fuggente svela significati eterni. L'alleanza con lo Schiller favoriva la crescente gravità. Ma Schiller si spegneva nel 1805. Il funebre lamento Epilog zu Schillers Glocke, esprime il dolore per la perdita fatale. Ma non si dissocia G. dall'amico che continuerà ancor sempre a operare in lui.
La passione per il teatro dello Schiller, nato per scuotere le masse, accendeva pure G. Leva possente per il rinvigorimento della nazione già era apparso a G. il teatro, quando il duca, allo sciogliersi del contratto col Bellomo, nel 1791, gli offriva la direzione del teatro di Weimar. Non esitò ad accettare, e, per un quarto di secolo - sino al 1817 - durò nella reggenza delle scene della piccola corte. Tutta la Germania pendeva dal suo consiglio e dalle recite che egli ordinava. Si addestrò lui stesso all'arte scenica; e guidava, formava gli attori, con fermezza di sovrano. Come specchi di vita trasceglieva dagli antichi, dai moderni, e dai contemporanei i drammi che rappresentava. Euripide, Shakespeare, Calderón, Racine, Molière, Lessing, Iffland, Kotzebue; a quanti altri ancora diede ricetto nel suo teatro! Duro talvolta nelle sue esigenze, ma come umano nella grande universalità! Detta canoni per il bello teatrale, norme per gli attori (Regeln fiir die Schauspieler); e non ha eccessiva tenerezza per le opere sue proprie. Provvede, quando gli talenta o il bisogno urge, per le scene nuove. Scrive una commedia, Der Grosskophta (1791), dove intreccia vicende e inganni e processi di Cagliostro, figura che già l'attraeva quando vagava in Italia. Improvvisa, si può dire, con ricordi delle sommosse rivoluzionarie, l'atto del Bürgergeneral (1793). Abbozza uno scherzo di opera comica, Die Mystifizierte, che il Kayser, più tardi il Reichardt avrebbero dovuto mettere in musica. Nei tempi in cui W. von Humboldt stendeva il saggio sul Teatro francese, con una visione limpida di quel teatro che il Lessing aveva combattuto, compie le traduzioni del Mahomet e del Tancred del Voltaire (1799-1800).
Era insomma una missione quella a cui attendeva. E rispondeva pienamente a quell'ideale di educazione teatrale che, a somiglianza della Sendung poetica ritratta in Hans Sachs (Hans Sachs poetische Sendung), già aveva riprodotto nel primo abbozzo del Meister - Wilhelm Mehisters theatralische Sendung - compiuto nel 1776, ripreso nel 1785, portato vanamente a maturare in Italia l'anno appresso. Veramente, gli attori, i comici erranti apparivano al poeta maestri di vita. La scienza del mondo veniva calda e facilmente comunicabile da loro. Guglielmo - doveva avere il nome dallo Shakespeare - portato sulle scene dalla passione per il teatro, vi si aprirà alla vita e all'amore. E lo educheranno attori e attrici. Questo mondo di rappresentanti la farsa comica e tragica dell'esistenza umana, in eterne angustie. è raffigurato con grande maestria. Nessuna aspirazione, nessun'estasi e nessun martirio degli umili istrioni e dei candidati alla perfezione e beatitudine teatrale passava inosservato al poeta. Il quale, mentre tesseva le romanzesche avventure, si faceva interprete del dramma più profondo dello Shakespeare, persuaso che già si occultasse nel cuore di Amleto il morbo insinuato nel cuore del suo Werther. E v'è in questa Sendung, al tempo stesso, tanta dolcezza e tanto abbandono alla vita, tutta la soavità del femminino eterno - Marianna, la De Retti, e, in altre sfere, Mignon, Filina -. Un'onda lirica invade continuamente il racconto, tra i capricci del caso, la volubilità dei propositi, il tripudio dei sensi, il peso di occulti, fatali destini, l'oscura tragedia dell'arpista, il tacito patire, la Sehnsucht nostalgica della povera fanciulla che s'avvince a Wilhelm e sospira la sua terra.
L'ultimo decennio del secolo passava tra lo scompiglio e i turbini della grande rivoluzione. Convulso il mondo correva ad altro assetto, follemente, nel giudizio del poeta, che vedeva la natura agire con trapassi graduali, fuori d'ogni vulcanico sconvolgimento. "Ein Kind des Friedens" egli si chiama. Ma il duca lo trascina con sé, compagno delle sue spedizioni guerresche. E, calmo, con la mente ai suoi fantasmi, egli assiste (settembre 1793) alla cannonata di Valmy. Era pur testimonio dell'assedio di Magonza, che descrive, mescolando, come soleva fare, la poesia alla verità (Belagerung von Mainz, preceduta dalla Kampagne in Frankreich, 1793). In quell'anno può concedersi una nuova visita alle città renane e al gran fiume, rivedere la natia Francoforte e Heidelberg. Si spinge a Düsseldorf dal suo Jacobi. Ritorna; i fantasmi di guerra gli assediano la mente; rivede le turbe vaganti degli espatriati, senza tetto; e dall'oppressione si libera, dando vita drammatica a frammenti episodici di tanta e così vasta calamità. Il danese Holberg gli porge la trama degli Aufgeregten (1793-94). I torbidi rivoluzionarî di Strasburgo gli suggeriscono Das Mädchen von Oberkirch (1795). E ancora rugge la marea rivoluzionaria quando, alcuni anni appresso, inspirato da alcune memorie, che pure dovranno colpire il Balzac, progetta un'ampia trilogia drammatica, Die natürliche Tochter, di cui solo può offrire un frammento (1799-1803), concitato, vivo, stringente nelle scene di un'umanità che trabocca, la storia di Eugenie, vittima delle mene e dei calcoli del fratello. Discesa dalle altezze sognate, franta nell'anima, sposa non già un principe che vagheggia, ma un umile borghese che la salva. Dramma di rinunzia, di Entsagung, a cui doveva presumibilmente seguire l'insorgere degli offesi e traditi, la lotta disperata degli oppressi, sollevati contro gli oppressori, un ordine nuovo, sorgente sulle rovine dell'antico distrutto. Seguì invece un altro memento agli uomini, memento burlesco, la deliziosa epopea degli animali, maestri talvolta agli uomini di buon senso e di avvedutezza, il Reinecke Fuchs, disteso con placida solennità in esametri, rifatto, sul testo tedesco gottschediano, tradotto dall'antico, Reynke de Voss, con qualche aggiunta sul delirare di alcuni bravi ministri della fede.
Schiller insisteva perché l'amico desse compimento al romanzo, di cui occultava il già composto frammento, e dava consigli per la rifusione e il seguito delle vicende. L'ultima ripresa fu eroica e non patì oscillazioni. Uscì intera la grande e complessa storia degli "Anni di educazione", ideata: Wilhelm Meisters Lehrjahre (1795-96). Ma ora il noviziato al teatro non porta che a una prima tappa di vita. Altri campi d'azione s'impongono, altre guide si debbono scegliere, per uscire al sole dagli oscuri labirinti. E, come il poeta è attento scrupolosissimamente al suo proprio sviluppo, così converge ogni cura anche per la riuscita dell'allevamento di questa sua promettente e vigorosa pianta uomo, così simile alla sua, non mai dimentico che la vita dev'essere un'opera d'arte, come è opera d'arte la stessa natura. Lehriahre, ma sono già anche un primo assaggio dei Wanderjahre, poiché wandern, "errare", è destino della vita intera. Più ampio quindi, ora, il mondo. in confronto di quello percorso nella Sendung; e più difficile il compito da assolvere; più seria la meta da raggiungere, scavando entro il reale, vivendo nel cuore della società, attivo con essa, e cittadino ormai, non più dilettante, tra comici e virtuosi della scena. Ogni leggiero trascorrere si vendica (G. scrisse pure un saggio, Über den sogenannten Dilettantismus). Come nella vita da costruirsi e ordinarsi, così anche nell'arte che la ritrae, prevale l'elemento riflessivo. Il fantastico si attenua, perché trionfi la sensatezza, necessaria alla vita. E patirebbe grande umiliazione la poesia, se il poeta non gettasse nella prosa vittoriosa brani di tragedie sofferte, le tacite storie di sacrificio e di rinunzia, il martirio di Mignon e del padre infelice e pieno di mistero, con il suo canto triste e straziante. Attento ai destini di Guglielmo, G. pensa ai destini dell'umanità. Entro la palestra della vita attiva solleva la tribuna pedagogica, per bandire una morale e una fede, il vangelo della Bildung, e guidare al cammino retto, chi minaccia di traviare.
I Lehrjahre non erano ancora compiuti e ritroviamo G., nel 1795, preda alla sua febbre italica. I lidi natii della povera Mignon avevan pur tanto fascino. Ma non si risolse al nuovo viaggio, e restò ai preparativi: un cumulo di notizie su tutta la cultura e tutta la storia e la geografia fisica altresì, e l'etnografia e il disporsi dei regni della natura, l'intera vita insomma di questo benedetto paese che non si distaccava mai dal suo cuore. Il fido Meyer l'avrebbe accompagnato. Ma trascorre il 1797 e le carte adunate posano inerti. Soggiorna col Meyer a Stäfa sul Lago di Zurigo; va al Lago dei Quattro Cantoni, e, alla Tellskapelle, medita un dramma sull'eroe che franse le catene agli Svizzeri. Ne parlerà poi allo Schiller e l'animerà al suo Tell. Problemi d'arte e di critica l'assorbono quando rientra a Weimar; e fonda i Propyläen (1798), che hanno corta vita e dànno scarsa diffusione ai suoi saggi sul Laokoon e Diderots Versuch iiber die Malerei. Rinnova le discussioni sulla natura dell'arte, sempre più stretto al suo vangelo dell'arte antica, la sola che sappia ritrarre la vita, sdegnosa dell'effetto, al quale unicamente tendono i moderni. E darà poi (1804-1805) amorevolissimo rilievo alla figura del maestro che a Roma l'aveva avvinto (Winckelmann und sein Jahrhundert). Già aveva ragionato, appena compiuto il viaggio italico, limpidamente, di stile, di metodo, della necessità per l'artista di concedersi a uno studio esatto degli oggetti da raffigurare, di creare secondo un'idea organica, come crea la natura, la natura da imitarsi, entrando in gara con lei, non mai da riprodursi ciecamente, nel magnifico saggio: Einfache Nachahmung der Natur, Manier, Stil (1788).
Occorreva dare un esempio della semplicità degli antichi, di un'arte tranquilla e trasparente, che apparisse come ideale di serenità e di armonia al suo popolo ancora sbandato; e scrive in quell'anno di grande fertilità (1796-97) il placido e solenne canto epico Hermann und Dorothea. A un idillio famigliare, Luise, aveva dato vita poco innanzi il Voss. La spinta si offriva a un nuovo idillio, sempre in omaggio al destino degli umili e della forte e sana borghesia, da cui G. stesso traeva origine. Altro metro occorreva, altra sostenutezza di canto. Col soffio della poesia omerica quei semplici dovevano avere respiro d'intensa vita. Figure campestri, che si sollevano diritte e come statuarie sulle loro zolle. Subito le distingui. Modesti, senza ambizioni, still, getrost. E hanno pur tanta fermezza. Il poeta li vedeva discendere, staccarsi dal corteo degli emigranti, fuggenti il flagello della rivoluzione, simili agli esuli salisburghesi, spinti alla Prussia, nella Emigrationsgeschichte del Göcking, da cui traeva il suo embrione di storia. Non avranno lamento. E il poeta, negli esametri sonanti, canterà il loro destino che si svolge, dopo la guerra patita, in un'atmosfera di pace, di purezza, di rettitudine, di lavoro. E conduce, dopo la richiesta di matrimonio, all'unione più salda e più beata. Vicende di tutti i giorni che si annodavano e che, narrate, esposte in altro stile, produrrebbero stanchezze e tedio. Tante minuzie dovevano ricordarsi. La felicità degli amanti irradia su tutto una luce di sole. E G. teneva che si avvertisse come da questo piccolo specchio di vita borghese venisse il riflesso alla vita del gran mmndo, al Welttheater, su cui si agitano e dolorano le stirpi. Solo per le vie piane si giunge alla profondità, come insegnava Omero.
Era un gran ragionare di Omero all'epoca degli studî di F.A. Wolf. Nel canto dei semplici, condotti al loro asilo di pace, si arieggiava all'epica omerica. E G. ha cuore di misurarsi ancora col patriarca di tutti i poeti nell'Achilleis, dove immagina dare seguito all'Iliade, che si chiudeva con la caduta di Troia, e vibrare, con la lira omerica, le note di amore e di dolore di Pallade per Achille, quelle note che erano nell'anima sua e non nell'antico cantore di Achille, l'accoramento profondo, di cui a volte soffriva lui stesso, quando non s'obbligava alla serenità imperturbabile. Atena saprà la fine rapida del Pelide invitto. Morrà illacrimato - "selbst von dem Auge des Sohnes - Wälzet die Thräne sich kaum".
Al mondo omerico ancora s'avvince nel congedo elegiaco Euphrosyne, ch'egli dà a Christine Becker, giovane artista del suo teatro di Weimar, scomparsa nel primo fiore della vita, simile a Mignon, rapita sì presto alla sua "schöne Erde" L'avranno nei lidi di morte le sorelle Antigone, Polissena. Ma, prima di discendere tra le ombre, Eufrosine udrà il sussurro delle foreste e il mormorio delle acque, e invocherà dalla vergine natura il ricordo, il conforto della rinomanza - "solo la Musa accorda alla morte una sembianza di vita".
Così ora si tempra a elegia l'inno del grande affermatore della vita. Ancora sempre il cuore del poeta s'infiamma; s'accosta a lui Bettina Brentano, bimba di tanto accorgimento e di tanto abbandono nelle fantastiche effusioni. Ma è per Minna Herzlieb che il poeta s'accende. Con una corona di sonetti premia il tenero amore della fanciulla gentile. Ma nel suo spirito rassegnato è ora un religioso ricurvarsi su sé stesso. Agli dei più non vanno sfide e imprecazioni. Sale a loro la preghiera dell'uomo, conscio dei suoi limiti (Grenzen der Menschheit), bisognoso dell'appoggio divino, perché egli si avvii all'"ewig Guten, ewig Schönen". Con altro animo ora G. torna a Prometeo, che ritrova Titano ammansato. E, come aveva immaginato all'aprirsi del secolo il Festspiel, Paläophron und Neoterpe, con cuore ben altrimenti commosso, senza il fasto degli spettacoli di corte e dei drammi mitologici del Calderón, vantati per l'alto valore simbolico, stende un nuovo Festspiel, Pandora. Appena ode Calderón e gli antichi; e fa del poema una confessione dell'anima sua. Sdegnata Pandora quand'era apparsa, obliata nei suoi cieli, or tornerà a discendere all'incauto che la respinse, e darà ai terrestri i suoi doni. È la vita contemplativa di Epimeteo che ormai vince quella attiva di Prometeo. Sale ai cieli il lamento di Epimeteo, il suo sospiro d'amore. Sognava la bellezza. Possedeva Pandora, l'intera, piena beatitudine. Che era avvenuto, per precipitare nel vuoto così? I crucci degli dei hanno termine. E il fratello di Prometeo riavrà l'amore perduto, il conforto dei celesti, il sorriso della donna del cuore, un tempio, apertogli da Pandora come ara di pace, quello dell'arte e della scienza. E saranno sacerdoti di quel tempio i figli Fileros ed Epimeleia.
A sbalzi, il poeta tornava anche al Faust, non per mutare lo spirito infuso nel primo dramma, ma per levigarne le asprezze e dare seguito a quella storia di un'anima eternamente insoddisfatta, punta da tutte le smanie della conoscenza. Nel primo impeto, quando G., giovanissimo, si doleva con la Stolberg del suo "volo impavido per tutto l'orbe abitato" e del suo sciagurato destino, era stata la parte passionale della tragedia che egli aveva sviluppata. Precipitato nell'estasi e nell'inferno d'amore per Gretchen, Faust era restato in quegli abissi. La foga doveva sembrare ora a G. eccessiva. Il dramma gli si spezzava in episodî. Le scene dovevano completarsi e avere naturale collegamento. Il Faust peregrina con lui. G. lo porta in Italia; entro i giardini di Villa Borghese assiste, con accesa fantasia, al tumulto delle streghe shakespeariane. Come ideare, come inquadrare altre scene? E porre freno e ordine in quello scompiglio? Porta in luce un frammento nel 1790. Il tormento persiste. Sognava un'unità che ancora non aveva raggiunto. La fine dell'eroe non gli si chiariva. Il nuovo spirito portava a una nuova umanità.
Nel 1797 corre per G. un periodo di grande attività. Schiller stupiva. Bastava che "l'amico scotesse leggermente un albero, perché gli cadessero in grembo i più bei frutti". Nuove scene e i prologhi al Faust gli riescono spontanei. E incrollabilmente fissa resta la salvezza dell'uomo vagante col demonio. Questa salvezza, non intuita dal Marlowe, ma già concepita dal Lessing, era il cardine su cui doveva volgersi l'intero dramma, il termine fisso alla scuola della vita percorsa, termine del mistero eccelso. Il "gerettet" doveva essere sintesi della sapienza cosmica. E per questa sapienza, e perché lo spirito del male avesse la peggio nel patto fatale, era giusto che s'importunasse Dio nelle sue alte sfere, e gli facessero coro gli arcangeli, e si gridassero in quel consesso dei celesti le armonie divine, tutte infrangibili nelle eterne spire dei secoli. Il sovrannaturale, pascolo prediletto per il volgo, avido della tragica storia del mago e dottore, doveva farsi di una trasparenza naturale. E si doveva umanizzare, con Faust, il superuomo, anche l'Onnipossente stesso, anche Mefistofele. Certo colorito romantico in questo dramma classico delle meraviglie faustiche non dispiaceva. Per un decennio il lavoro si frange, poi si ripiglia, tanto l'eroe è serbato a lunghissima vita. Si provvedeva perché la gioia del vivere fosse sensibilmente cresciuta: adunate di popolo, passeggiate, allegri suoni di campane nel dì di Pasqua, la risurrezione di Cristo e la risurrezione di Faust, una Walpurgisnacht, come buon principio di sfrenatezza, preludio a una grande notte di Valpurga e gran mascherata, da idearsi più innanzi. Nel 1808 usciva, come 1ª parte, Faust, e si diceva "tragedia". E credo non si meravigliasse G. punto che delle avventure esposte le più atte a immancabilmente e profondamente scuotere il pubblico fossero quelle in cui il dramma culminava, e dove Gretchen soffriva il martirio d'amore, e pregava nel duomo, e languiva nell'oscura prigione, ancora delirante per l'uomo che la tradiva e le spezzava quel suo povero, fortissimo cuore.
Delirî di Faust e delirî degli anni ardenti del suo poeta. Le esperienze che seguirono, i nuovi nodi del cuore che si stringevano e si frangevano, portavano alla rinunzia. "Entsagen" è il grido che perpetuamente si ripete. Col farmaco della rinunzia il poeta medica le sue ferite. Fugge da Minna Herzlieb e scruta nel silenzio quella violenta passione che l'assale. È vita del suo cuore il dramma, disteso a romanzo, delle "Affinità", Die Wahlverwandtschaften (1809). Gli si pone un problema da risolvere, per giungere alla calma e farne legge universale per la vita. Ma tragica è la lotta che vi si raffigura, perché importa la sconfitta della natura, combattuta dal dovere. L'azione fatalistica della natura onnipossente si svolge con logica inesorabile, nei corpi e nelle anime umane, come in tutti gli organismi. Essa congiunge, disgiunge le sostanze spirituali, simili a sostanze chimiche, precipitanti l'una nell'altra. Eppure quest'azione s'arresta di fronte all'imperioso e terribile "tu devi". Sacra la natura, ma più sacra e inviolabile la legge morale che regge il nostro interiore. Siccome il poeta siede a giudizio, non abbandonerà un attimo l'idea dominante. Ed è di straordinaria compattezza questa sua opera sul processo organico delle anime affini, che esce dal tribunale inappellabile della sua coscienza. Due coppie che si avvicinano, Edoardo e Ottilie, Carlotta e il capitano; li strinse una legge; le simpatie reciproche minacciano di disgiungerli, perché altra unione avvenga, rispondente ai desiderî del cuore. In quegl'infelici è penetrato il filtro magico che accendeva e portava ai delirî d'amore Isotta e Tristano. Ma si osservano, si tolgono agl'impeti inconsulti della passione. Una coppia è più dell'altra sana e sa più resistere al filtro dissolvente della natura. Edoardo è della stoffa dei Werther e dei malati goethiani, aspiranti a un'impossibile felicità. Si lascia vivere e si lascia morire. Figura centrale è Ottilie, certo la donna più studiata, accarezzata, amata, in tutta la poesia del G. Recinta di un'aureola di soavità, di mestizia e di dolore, porta rassegnata il peso di tanta sciagura. Sa di essere vittima di una forza fatale che non perdona e che è oscura, inesplicabile. Avanza come involta entro un velo di mistero. Il destino può atterrarla, ma ella, così disfatta, ha pur voce fortissima sulla sua coscienza. La natura benedirebbe il vincolo con Edoardo; ed ella lo teme, lo disprezza e allontana; e se ne va pura e con lieta fronte alla morte; eroica nel dominare sé stessa. La morte le ridona la sua libertà spirituale. Della legge del dovere è fatta una legge cosmica. Figure angeliche pendono sulla tomba degli amanti che attendono l'eterno risveglio. Che sarà di noi, se il sentimento del divino ci abbandona? Non deve trasfondersi nell'al di là la vita verace? Le nostre tragiche esperienze, i conflitti che ci straziano non hanno valore di simbolo?
Per vigilare sé stessa e minutamente osservarsi Ottilie stendeva un suo diario. Anche il suo poeta ne stendeva per anni uno amplissimo. E ideava la storia della sua vita intera, fatta da lui stesso, storia non alterata come erano le Confessioni del Rousseau. Ma, infine, siccome la memoria dei primi anni talvolta si doveva infiacchire, e la vita era da lui concepita come opera d'arte, a somiglianza dell'opera uscente dal tessuto eterno della natura, così toglie consiglio e aiuto all'immaginazione; chiama la sua biografia Dichtung und Wahrheit. Che si capovolgesse il titolo poco poteva importare. Vi lavora a intervalli, assiduo dal 1809 al 1814, e congeda 3 volumi; con minor costanza nel '17 e '21; e, svogliato, col pungolo del dovere, nell'età più cadente, due anni prima di spegnersi. Alla soglia della morte si trova, con le ultime pagine illanguidite e stanche delle Memorie, alla soglia di Weimar. S'era mostrato curioso spesso d'altre memorie - tante ne affluivano - e aveva lui stesso dato veste tedesca alla Vita del Cellini; meno l'interessava la Vita dell'Alfieri; il cuore batteva alle confidenze della "schöne Seele"; e il pensiero correva alla Jugendgeschichte dello Stilling, l'amico di Strasburgo, alla vita del Lavater, tracciata da G. Gessner, alla vita del Moritz, romanzata nell'Anton Reiser, all'autobiografia di Johann Mu̇ller, che recènsiva nel 1804. Ma inconfondibile è la sua rievocazione della fanciullezza e gioventù con questi e altri specchi e documenti di vita. Si commoveva lui stesso, al riandare le sue prime vicende, quelle dell'anima ancora inesperta particolarmente. E sembrava, accarezzandola, contemplandola, volesse trattenere quella sua prima età fiorente. Non faceva d'altronde cosa nuova. Se le trascinava con sé, a ogni svolto di vita, queste care figure, in cui s'era imbattuto. Rivederle ora, ricercarle, e raddoppiare di calore, dove la rimembranza si faceva più viva, e si rinnovava l'idillio del cuore - quanto insistere su Friederike! - era per lui dolcezza volutttiosa. E ha un tono così pacato, tanta semplicità e limpidezza questa prosa dei ricordi, tutta intrisa di poesia. Né ci accorgiamo che il poeta intendeva sommettere a norme determinate la storia dello sviluppo graduato della sua vita, idearne la metamorfosi, come ideava la metamorfosi delle piante, e riteneva il concetto alquanto fatalistico di un divenire del suo organismo, sempre docile alla legge fissatagli al suo primo comparire sulla scena del mondo. L'aprirsi, il consolidarsi del suo spirito, nato per l'eterna mobilità, il foggiarsi e manifestarsi della possente personalità, "das höchste Gut der Erdenkinder", tutto è chiarito all'evidenza. Ogni impressione si ordina secondo le vicende storiche dei tempi. All'indagine di sé stesso va congiunto lo studio di ogni corrente della vita contemporanea. E tutto si dispone, perché ogni disaccordo si appiani e si elimini, e le armonie dell'anima individuale corrano serene alle armonie del gran tutto; non potendosi concepire l'universo fuori di unità e di saldo equilibrio.
Come membri sparsi, debolmente ricollegati all'opera così compatta, altri frammenti di memorie dovevano figurare: il Viaggio in Isvizzera (1797), il Viaggio in Italia, l'episodio della spedizione in Francia, le lettere, gli appunti svariatissimi. La vita seguiva, ed erano fresche le sue fonti, sorridenti all'età che avanzava. Quale vigore di creazione ancora nei suoi 65 anni, quando rivedeva la sua Francoforte! E quanta elasticità di spirito in quel suo portarsi a ogni centro donde s'irradiava poesia, in quel suo infervorarsi dei canti della Serbia, della Grecia, della Firilandia, della Cina, dell'India, del Brasile, e rifoggiare ballate e leggende. A mille cose attendeva, e voleva progredisse il suo Faust. S'era trovato con Napoleone, che leggeva il suo Werther e gli dava consigli. Natura dei suoi colossi e titani, spinto dai demoni alle conquiste e al dominio del mondo. Ammirevole come dopo tanta guerra largisse ai popoli la pace, quella pace che lui il poeta va sospirando! La battaglia di Lipsia fiacca il potere del dominatore. Nel 1814 G. festeggia con l'allegoria poetica Des Epimenides Erwachen il ritorno di Federico Guglielmo III, e dice dei destini di Napoleone, spinto alle altezze maggiori, destinato a rotolare negli abissi. Così si sommergono i mondi e sulle rovine altri mondi si sollevano.
Pure in quell'anno G. compie nuovi viaggi; e riesce a ospitarlo Sulpice Boisserée a Heidelberg, dove gli manifesta le meraviglie del suo museo, e gli ridona l'amore per la forte arte del Medioevo che gli rapiva l'inno della prima gioventù. E, lungo il Reno, sino a Bonn, retrocedendo su altre sponde, è tutto ammirazione per i tesori artistici, dovunque disseminati. Stende il saggio, Kunst und Altertum am Rhein, Main und Neckar. A Francoforte il destino gli tende altro agguato d'amore. Il dolce idillio con Marianne Willemer, sposa di Johann Jakob Willemer, si tronca con un risoluto distacco a un primo divampare di passione nel cuore del poeta. Ma la donna che da lui s'ispira, risponde al suo canto, e dal cuore in fiamme trae le liriche d'amore e di dolore che il poeta intrecciò con le proprie nel Divan - "Ach um deine feuchten Schwingen...". Un coro di musicisti ricantò quel carme.
Nel Westöstlicher Divan entrano in maestoso corso i flutti della poesia dell'Oriente e dell'Occidente, del Settentrione e del Mezzodì. G. li scopre alle fonti più remote, col pensiero rivolto alle prime scaturigini, ai canti semplici, embrionali. Ma era già tanta sapienza nelle liriche di Hafis, che l'orientalista Hammer-Purgstall gli dava tradotte e che egli ricrea con altri canti della Persia e dell'India. La lirica nuova scorreva per necessità col piombo grave degli oracoli e le sentenze. Davvero i concetti dell'inconsumabile e dell'eterno erano pascolo alla mente dei primitivi nei tempi della vergine cultura, ed era profetica la missione che s'annunziava? Fortuna che nel più agile libro, Suleika, egli raccolga, più che pensieri, sospiri e fiamme d'amore, la voce d'ardore di Marianne. G. ha qui ragione ancora: è "l'onda della passione che getta le perle della poesia alla riva". Corrusca la fronte, s'atteggia alla serietà degli antichi Bramani, scandendo i versi solenni del libro delle sentenze, del libro delle parabole e di quell'ultimo, che guida, toccando la soglia della morte, ai beati regni del Paradiso. Or pare che riserbi solo per chi ha sete di Dio e dell'eterno la magia del suo canto. Rimarrà torbido ospite sull'oscura terra chi non riuscirà a far suo lo "Stirb und werde". Austeri versi, come quelli dell'Orphisch (Urworte, 1818) col memento: "Così devi essere", e il grido alla legge sulla forma che il destino impresse, il rinvio alle Sibille e ai Profeti.
Poteva soddísfare il poeta di tanta sapienza questa tendenza al riflessivo come termine del suo sviluppo? A 70 anni sospira l'istintivo, l'ingenuo, ch'erano le sue forze di natura. "Tutto il nostro affaticarci - solo ha valore nel momento irriflesso. - Come potrebbe fiorire la rosa se riconoscesse lo splendore del sole"? Ma, se il lamento sorge, è scoramento fugace, lamento d'un forte. Riordinare quanto produsse nelle età fuggite, dare figura compatta alle opere sbandate e ancora frammentarie era ora obbligo di coscienza. Tuttavia il dovere, succeduto all'impeto, lo fa svogliato troppe volte. Le interruzioni, il troncare, prendere e riprendere riusciva inevitabile. Torneranno a vita i fantasmi che rievoca? Quante volte va ai fogli sparsi delle sue memorie italiche! Riveduti, accarezzati quei fogli con tanta dolcezza, i diarî, le lettere stentano a formare libro, la Italienische Reise. Ne parlava a tutti. Nel 1817 il lavoro pare proceda perseverante; ma si trascina poi per più di un decennio e giunge solo nel '29 a compimento. La freschezza delle prime impressioni si sacrificava al pensiero di stilizzare quanto era schizzo del momento, di dare al fuggevole sembianza di memoria duratura, di scartare le osservazioni che s'immaginavano futili, di assurgere dal particolare all'universale, dal reale al simbolo.
I legami con l'Italia, rimasto il paese della sua Sehnsucht, erano frequenti. Gli mandavano opere e lettere il Poerio, il Foscolo, il Manzoni. E al Manzoni G. si avvinceva di amicizia. Gli erano cari gl'Inni, lo scotevano le tragedie. Tentava risolvere i dubbi nascenti, placare il dissidio fra storia e poesia che dava tormento vano all'amico. Traduce il carme napoleonico, cura per la sua Germania un'edizione di opere manzoniane (1827). Ma, non solo in Italia: dovunque è fermento di poesia, vicino, lontano, egli porta il suo giudizio sereno. In passione del cuore gli si muta l'interesse per le opere di lord Byron, quasi immagini dei suoi grandi ardori giovanili che tornavano. Il Manfred era riflesso del suo Faust, Ma Byron rideva dei freni che egli s'era imposti. Ben vedeva G., impietositosi poi per la rapida fine, come corresse alla dissipazione quella vita byroniana vulcanica. Quanto più pacato e saggio il Carlyle che gli si avvicina, e l'intende, e con tanto amore lo giudical
Maestoso, specie di Giove che troneggia, lo trovò e lo salutò con un tremito a Weimar il Mickiewicz. Non s'avvedeva del dolore che portava nell'anima. Christiane gli era morta. Qualche conforto avrà dai bimbi del figlio, da Ottilie, la nuora. Ma la solitudine, sempre più silenziosa, lo impaurisce. Gli occorrono distrazioni, e ripete dopo il 21, i viaggi a Marienbad. Qui, a 72 anni, trovava, con la giovanissima amica Ulrike von Levetzow (aveva 17 anni), venuta con la madre a dividere gli ozî del soggiorno ai bagni, quella "äussere sinnliche Anregung" che gli sembrava indispensabile alla sua vita affettiva. Ma era tale fremito dei sensi nel vegliardo da reggerne appena. "Sono perduto a me stesso", grida. L'addio che s'impone gli pare morte. Ma le melodie che gli suona la Szymanowska lo placano. Può tornare alla vita, imporre silenzio al cuore, trasfondere il suo patimento in un canto liberatore, Trilogie der Leidenschaft (1823), e togliere devozione da quell'assalto del femminino eterno, dire di quella spinta che è nel petto d'ognuno ad abbandonarsi fidente al sostegno di quel Dio, "den ewig Ungennannten", che è guida alle pure e serene altezze. La donna della passione folle si faceva vestale e messa dolcissima del cielo.
Non sopraggiunsero altri sconvolgimenti. Risanato, poteva concedersi all'impero della saggezza, continuare le esperienze nei dominî della natura, rimaneggiare, condurre a compimento le opere interrotte, sognare ancora le eterne armonie, l'unità del mondo. E, pur non volendo, nei colloquî con Eckermann, sciupato il nucleo spirituale della sua nazione, mosso ad allontanare come veleno le novità esotiche che a forza s'introducevano nel corpo sano dei Germani sospirosi del nuovo, converge il pensiero in una letteratura mondiale, atta ad accomunare e accentrare il lavoro di tutti i popoli per l'intesa e la concordia di tutti; tutti degni di sedere al banchetto platonico che s'imbandiva; degnissimi i Germani, che aiutavano con le belle traduzioni e avevano resa flessibile la lingua loro, capace di dominare un mondo. Instancabile, come il suo Faust, più invecchia, più forte sente lo stimolo della sua missione, più allarga la cerchia di pensiero e di lavoro. L'umanità non ha confini, e chi la domina dovrà avere intera fiducia nelle forze proprie, non arrestarsi, non flettere mai. Con questa fede nella necessità di trasfondere l'opera dell'individuo in quella dell'umanità, attende alla continuazione del gran romanzo sull'educazione progressiva, e ne offre l'ultima parte: Wilhelm Meisters Wanderjahre, già pensata con lo Schiller nel '96, riassunta in una prima forma nel 1821, ripresa nel 1823, negli svaghi tormentosi di Marienbad, e, alfine, dopo più di tre decennî, conchiusa nel '28 e nel '29. Doveva compiere veri miracoli di costrizione, per trovare un collegamento alle varie parti, che si sbandavano a capriccio, dare unità agli episodî di vita che vi s'intromettevano. La freschezza del primo getto più non poteva riaversi. V'era nel primo Meister un gran soffio vitale. Qui si palesa lo sforzo. Il poeta, di così gagliarda naturalezza, si fa docente appassionato. Deve esortare, consigliare, ammonire, correggere, raddrizzare il Wanderer, destinato a essere campione della rigenerata e rifatta umanità. Restava il piacere d'intrecciare favole entro i fervidi ammaestramenti, e ordinare un seguito di novelle, il tessuto tenue e delicato di una fiaba, delizia dei romantici, la storia della "Nuova Melusina", quella commovente, Die pilgernde Törin, che insegnerà il potere d'amore, sempre vittorioso d'ogni forza o violenza usata, come l'insegnavano le novelle del Cervantes, che si dicevano "esemplari". Riconoscibili ancora le figure del primo romanzo. Risorte ancora le immagini del tempo migliore. Ma di quanto illanguidite! Altra vita ora, altri ideali, altri doveri sul suo cammino. L'uomo nuovo è il cittadino, e il cittadino d'una grande comunità che tende all'utile e al progresso. Va a fertilizzare terre, e considera la vita come campo d'azione e di lotta, solo degna di essere vissuta, se riesce a prosperare su libera terra a fianco di un popolo libero. Al poeta risolutamente si sarebbe potuto affidare una cattedra di pedagogia e di scienze sociali. Alle chimere e ai sogni dell'Émile, col fervore, la dottrina e le esperienze di un Pestalozzi e di un Fellenberg, il poeta ora sostituisce la sua "provincia pedagogica" per i giovani e gl'inesperti. Grande scuola, che provvede al dirozzamento progressivo e all'allevamento all'umanità, e piega l'anima a quell'unica religione, ch'era la salda, ferventissima religione di Humanus nei Geheimnisse, la Menschheitsreligion. Pur qui, nell'ultimo romanzo, un'onda molle di misticismo che ci ricorda gli smarrimenti dell'anima del poeta nella verde età, e, più che il riflesso, la vita nuova della "schöne Seele", che legge nei misteri della term e del cielo, la veggente Macarie.
Ottantenne, il poeta benedice il residuo di vita che gli potrà rimanere e lavora ai suoi "ultimi mondi". Se ne andrà come Leonardo, col corteo delle opere indefesse, tutte dirette al miglior fine. Tante tombe gli si erano aperte: quella della Stein, del suo duca, e, nel '30, nei lidi della sua Italia, anche la tomba del figlio Augusto. Ma doveva soffocare i gemiti, vincere la tristezza. Lo richiamava l'eroe simbolo della sua lunga vita. I destini di Faust, dopo il martirio di Gretchen, lo preoccupavano per un quarto di secolo. Quante scene di vita ideate e poi trasfuse in altre scene, o abbandonatel E quale cruccio per dare forma organica, unità, intima coesione all'opera che minacciava sbandarsi e frantumarsi in episodî! Nel '16, la storia dell'eroe rigenerato era chiarita nell'abbozzo dei cinque atti del dramma. Ma solo nel'27 il poeta riprende l'opera; vi si concentra; trova intera la sua luce. Le ultime note di questa sinfonia dell'anima battevano quando la morte si annunziava. Meraviglioso esempio di un'attività costante, riverberata sulla creatura del suo sogno. E una lontana sembianza deì ministeri del poeta a Weimar avranno i compiti che Faust assume e assolve: assistere degnamente un principe alla sua corte, farsi condottiero di schiere belligere, fertilizzare terre, tolte all'ingordigia del mare. E avrà Faust quell'espiazione delle colpe, il perdono, la grazia di Dio, il sorriso della divina femminilità, la liberazione, che il suo poeta sospirava. Una congerie immane grava sul poema, che s'allarga a poema cosmico e, nell'apparenza transitoria, vuol raffigurare l'eterno. Il potere fantastico s'indeboliva, per necessità, col carico degli anni e il consolidarsi dell'impero della ragione. E il poeta compie prodigi, perché il fantasmagorico almeno risarcisca il raggiare dell'ispirazione. Un gran macchinario di forze agenti in tutti i regni, dai bassi Tartari all'empireo altissimo, è messo in opera. E si deve giungere sino alle madri, le prime inalterabili immagini di vita, le sostanze prime. Rotolano i secoli nell'immensità del creato; si tolgono i ljmiti allo spazio e i limiti al tempo. La Grecia risorge e dona armonia e bellezza ai Germani che avanzano. Menelao riperde Elena, che placida si abbandona e rivive nelle braccia di Faust. Dalle profondità più occulte si ridestano gli spiriti sorgentì alla luce più sfavillante. Mascherate, tregende di una classica notte di Valpurga, il miracolo del famulo, fattosi sapientissimo, che dai lambicchi toglie l'omuncolo, e il disciogliersi del figlio del connubio ideale germano-ellenico, portato all'etere, seguito dalla madre altera che alla terra e a Faust lascia unicamente il suo bel velo. Nessuna difficoltà di rappresentazione sgomenta il veglio audace, che aguzza l'occhio, così sereno, alla percezione dell'invisibile, e dà o tenta dare un'anima all'astratto, una figura all'incorporeo, torna a riporre in grembo al sovrannaturale il naturale, che si rifoggiava nei primi impeti della faustica creazione, e trasfonde il dramma nel mito e nel mistero. Veramente, il cuore, quel Gefühl, che tutto conquistava un tempo, ora ha parte scarsa nell'intreccio e nel succedersi degli eventi umani. Gretchen, sino all'ora estrema di Faust, è ben morta; e dea più che donna appare Elena. La poesia è fatta segnacolo di alte idee umanitarie. Faust smette le folli ebbrezze nell'aspirare pertinace, e avanza, progredisce, in mezzo alle trasformazioni portentose, come avanza e progredisce Meister; e si fa, come quell'esemplare d'uomo, sapiente colonizzatore. Apre nuovi spazî ai milioni; e non s'arresta, nemmeno quando la "Sorge" l'accieca. Un premio gli verrà certamente dall'Altissimo; il giusto Iddio provvederà perché l'attività sconfinata possa svolgersi oltre la tomba ancora, in altra sfera, e sia l'immagine dell'eterno rinnovarsi e risorgere. Come un rito all'altare dell'Eterno il dramma si conchiude. Riaperto il cielo alla salita dell'eroe, che ritorna alle sostanze prime. Soccorrevoli al transito nelle regioni eccelse che spaurano la ragione, i Santi, i Beati, la Vergine purissima, le figure concrete del Paradiso dei cattolici, la luce vibrante al sommo dei cieli, in cui penetrava l'alta fantasia di Dante. Tornano al poeta i ricordi del suo passato in questo mistero della redenzione che raffigura. E, nella divina grazia, impetrata da Gretchen a Maria per l'errare di chi le franse il cuore, avrà trovato pur lui la sua pace. Tenerissimamente il poeta fa che si ridesti Gretchen dal suo sonno di morte. E pone un tremito d'amore terreno entro le sfere dei celesti.
Assolto il grave compito ("das Hauptgeschäft" chiama più volte il lavoro al Faust), oltre il messaggio solenne e il memento alla vita più decisivo che lasciava al suo popolo e all'intera umanità, G. sapeva di non andare. Si raccoglie e attende che il cerchio della sua vita in terra si chiuda. Il 20 luglio del 1831 metteva fine al poema; il 22 marzo del 1832 moriva.
Edizioni: Goetles Werke, a cura della granduchessa Sofia di Sassonia (Sophien-Ausgabe), voll. 133 (opere lett., voll. 55; opere scientifiche, voll. 13; Diarî, voll. 15; Epistolarî, voll. 50), Weimar 1887-1918; id., Jubiläumsausgabpe, a cura di E. v. der Hellen, Stoccarda 1902 segg., voll. 40; id., Festausgabe des bibliogr. Instituts, a cura di R. Petsch, Lipsia 1926, voll. 18; id., Ausgewiählte a cura di E. v. der Hellen, Stoccarda 1921 segg., voll. 15 (altra grande ediz. di Ch. H. Kleuckens, Werke, 1932).
Epistolarî: Oltre l'ed. cit. di Weimar, la scelta cit. di E. v. der Hellen e di Ph. Stein (Goethe-Briefe, Berlino 1902-1905, voll. 8), v.: Briefwechspl mit Antonie Brentano, a cura di R. Jung, Weimar 1896; Bettinas Briefwechsel m. Goethe, a cura di R. Steig, Lipsia 1922 (traduzione italiana di G. Necco, Milano 1932); Briefe aus Italien an Frau v. Stein, Herzog Carl August und Freunde in der Heimat, a cura di J. Vogel, 2ª ed., Berlino 1920; Goethe u. Carlyles Briefwechsel, Berlino 1887; Goethe u. J. W. Döbereiner. Briefwechsel, a cura di J. Schiff, Weimar 1914; Briefe an Eichstädt, a cura di W. F. v. Biedermann, Berlino 1872; Briefe an Johanna Fahlmer, a cura di L. Ulrichs, Lipsia 1875; Briefwechsel zwischen Goethe u. K. Göttling, a cura di K. Fischer, Heidelberg 1889; Briefwechsel m. J. S. Grüner u. J. S. Zamper, a cura di A. Sauer, Praga 1917: Briefwechsel m. W. und A. v. Humboldt, a cura di L. Geiger, Berlino 1909: Briefwechsel zwischen Goethe u. F. H. Jacobi, a cura di M. Jacobi, Lipsia 1847; Goethe u. Werther. Briefe Goethes, meistens aus seiner Jugendzeit, mit erläuternden Documenten, a cura di A. Kestner, 2ª ed., Stoccarda 1855 (trad. franc. di L. Poley, Parigi 1855); Briefwechsel z. Goethe u. Knebel, a cura di G. E. Guhrauer, Lipsia 1851; G.'s Briefe an E. Th. Langer, ed. di P. Zimmermann, Wolfenbüttel 1922; Briefe an Leipzigrr Freunde, a cura di O. Jahn, 2ª ed., Lipsia 1867; G. Briejwechsel mit Heinrirh Meyer, Weimar 1932, voll. 4; Freundschaftliche Briefe v. Goethe u. seiner Frau an H. Meyer, Lipsia 1856; Goethe u. Gräfin O' Donnel. Ungedruckte Briefe nebst dichterischen Beilagen, a cura di R. M. Werner, Berlino 1884; Briefwechsel mit C. F. Graf v. Reinhard, Stoccarda 1850; Goethes Briefwechsel mit F. Röchlitz, a cura di W. F. v. Biedermann, Lipsia 1887; Briefwechsee m. G. und C. Sartorius, a cura di E. v. Monroy, Weimar 1931; A. W. und F. Schlegel im Briefwechsel m. Srhiller u. Goethe, a cura di J. Körner, Lipsia 1926; Schiller u. Goethe. Brief. wechsel, a cura di H. G. Gräf e A. Leitzmann, Lipsia 1912; Briefe an Ph. Seidel, a cura di H. Burkhardt, 2ª ed., Vienna 1909; Briefe an Soret, a cura di H. Uhde, Stoccarda 1877; Briefe an Charlotte v. Stein, nuova ed. a cura di J. Petersen, Lipsia 1923; Goethes Briefe an Auguste zu Stolberg, a cura di M. Hecker, 2ª ed., Lipsia 1914; Briefe an E. G. v. Voigt, a cura di O. Jahn, Lipsia 1868; Briefwechsel m. Marianne v. Willemer, a cura di M. Hecker, 4ª ed., Lipsia 1922; Goethe's Briefe an F. A. Wolf, a cura di M. Bernays, Berlino 1868; Goethe u. K. F. Zelter. Brief wechsel, a cura di M. Hecker, Lipsia 1913; Goethe u. Österreich. Briefe, a cura di A. Sauer, Weimar 1902-04; Brieftaechsel m. seiner Frau Christiane v. Goethe, a cura di G. Gräf, Francoforte s. M. 1916; oltre ad altri carteggi non citati e a varie edizioni dei surricordati.
Colloquî: Goethes Gespräche, 2ª ed., a cura di W. F. v. Biedermann, Lipsia 1909-12, voll. 5; J. P. Eckermann, Gespräche mit Goethe, a cura di H. H. Houben, Lipsia 1913, di C. Höfer, Lipsia 1913, di E. Castle, Berlino 1916; trad. it. di E. Donadoni, Bari 1914, voll. 2; J. Petersen, Die Entstehung der Eckermannschen Gespräche und ihre Glaubwürdigkeit, 2ª ed., Francoforte s. M. 1925; Unterhalt m. dem Kanzler F. v. Müller, a cura di A. H. Burkhardt, 3ª ed., Stoccarda 1904; F. W. Rieiner, Mitteil. Über Goethe, a cura di A. Pollmer, Lipsia 1921; Unterhalt. m. F. Soret, a cura di A. H. Burkhardt, Weimar 1905 (e Frédéric Soret Zehn Jahre bei Goethe..., ed. H. H. Houben, Lipsia 1929); H. G. Gräf, Goethe über seine Dichtungen, Francoforte s. M. 1901-1914, voll. 9.
Bibl.: Studî complessivi: Goethe-Jahrbuch, a cura di L. Geiger, Francoforte s. M. 1880-1913; Jahrbuch der G.-Gesellschaft, a cura di H. G. Gräf, poi di M. Hecker, Weimar 1914 segg.; Schriften der G.-Gesell., Weimar 1885 segg.; Chronik des Wiener G.-Vereins, Vienna 1887 segg.; G.-Kalender, a cura di K. Heinemann, e di altri, Monaco, poi Lipsia 1893 segg.; una copiosa bibl. è in K. Goedeke, Grundriss z. Gesch. d. deutschen Dichtung Aus d. Quellen, 3ª ed., Dresda 1910-13. (Un comodo Goethe Handbuch, di J. Zeitler).
Biografie e opere generali: C. G. Carus, G. Zu dessen näheren Verstänaniss, Lipsia 1843; G. H. Lewes, G.s Leben u. Schriften (trad.), Berlino 1856; A. Schöll, G. in Hauptzügen seines Lebens u. Wirkens, Berlino 1882; E. Engel, G. Der Mann u. das Werk, Berlino 1910; W. Bode, G.s Lebenskunst, Berlino 1901; A. Bielschowsky, G. Sein Leben u. seine Werke, tra le migliori, più volte ristampata, ultima ed. a cura di M. v. Linden, Monaco 1928; R.M. Meyer, G., 3ª ed., Berlino 1905; H. S. Chamberlain, G., Monaco 1912; G. Simmel, G., Lipsia 1913; G. Witkoswki, c., 2ª ed., Lipsia 1912; F. Gundolf, G., ultima ed., Berlino 1930, è l'opera complessiva migliore; B. Croce, G., con una scelta di liriche nuovamente tradotte, Bari 1919, 2ª ed., ivi 1921, trad. ted., di J. Schlosser, Vienna 1920; E. Ludwig, G., Stoccarda 1920, tad. it. di T. Gnoli, Milano 1932; E. Kühnemann, G., Lipsia 1930, voll. 2; Ph. Witkop, G. Leben u. Werk, Stoccarda 1931; L. Mazzucchetti, La vita di G. seguita nell'epistolario, Milano 1932.
Alcuni saggi e studî: H. A. Korff, Geist der Goethezeit. I: Sturm und Drang, II: Klassik, Lipsia 1923-30, abbraccia l'opera complessiva di G.; H. Grimm, G. Vorlesungen, 7ª ed., Berlino 1900; W. v. Biedermann, G. Forschungen, Lipsia 1879-99, voll. 3; W. Dilthey, in Das Erlebnis u. d. Dichtung, 10ª ed., Lipsia 1929; W. Scherer, Aufsätze über G., 2ª ed., Berlino 1900; J. Minor e A. Sauer, Studien zur G. Philologie, Vienna 1880; E. Schmidt, in Charakteristiken, Berlino 1901-02, voll. 2; M. Morris, G. Studien, 2ª ed., Berlino 1902, voll. 2; J. Petersen, Aus der Goethezeit, Lipsia 1932; E. Castle, in G.s Geist. Vorträge u. Aufsätze, Vienna 1932; E. A. Boucke, Goethes Weltanschauung, Stoccarda 1907; W. Sänger, G. u. Giordano Bruno, Berlino 1930; E. Cassirer, G. u. Platon, in G. u. die geschichtliche Welt, Berlino 1931; F. Koch, G. u. Plotin, Lipsia 1925; D. Mahnke, Leibniz u. G., Erfurt 1924; J. Cohn, Das kantische Element in G.'s Weltanschauung, in Kantstudien, Berlino 1905; G. Rabel, G. u. Kant, Vienna 1927; R. Neumann, G. u. Fichte, Berlino 1904; H. Berendt, G. u. Schelling, in Festschr. f. B. Litzmann, Berlino 1921; Honegger, G. u. Hegel, in Jahrbuch d. G.-Gesellschaft, XI (1925); W. Deubel, G. als Begründer eines neuen Weltbildes, in Jahrb. d. G.-Gesellsch., XVII (1031); F. Koch, G. u. der deutsche diealismus, in Euphorion, XXX (1932); id., G.s Stellung zu Tod u. Unsterblichkeit, in Schrift. d. G.-Gesellsch., XLV (1932); e Jahrbuch d. G.-Gesellschaft, XVIII (1932); per l'estetica goethiana: H. Friedmann, Die Welt der Formen. System eines morphologischen Idealismus, Monaco 1930; E. A. Boucke, Wort u. Bedeutung in G.s Sprache, Berlino 1901; J. Petersen, G. u. die deutsche Sprache, in Jahrbuch der G.-Gesellschaft, XVII (1931); P. Fischer, G.s Wortschatz, Lipsia 1929; - F. Hiller, G.s musikal. Leben, Colonia 1883; W. Bode, Die Tonkunst in G.'s Leben, Berlino 1912; M. Friedländer, G.s Gedichte in Kompositionen, Weimar 1916; H. Albert, G. u. die Musik, Stoccarda 1932; P. Frenzel, Robert Schumann u. G., Lipsia 1926; F. Baldensperger, G. en France, 2ª ed., Parigi 1920; H. Loiseau, G. et la France, 1930; J. H. Scholte, G. u. Holland (1932); F. Gundolf, Shakespeare u. d. deutsche Geist, 4ª ed., Berlino 1920, 1932; varî saggi: G. u. die Welt, in Jahrb. d. G.-Ges., XVI (1930); capitoli su G. nelle storie della letteratura di W. Scherer, G. G. Gervinus, H. Hettner, M. Koch, O. F. Walzel (Deutsche Dichtung v. Gottsched bis z. Gegenwart, Potsdam 1928). Saggi, del Carlyle (1828), dell'Emerson (1847), ecc.
Ambiente, famiglia, primo sviluppo: Die Stadt G.s Frankfurt am Main im XVIII. Jahrundert, ed. dalla città di Francoforte, Francoforte s. M. 1932; R. Knetsch, G.s Ahnen, Lipsia 1908; saggi su Johann Caspar Goethe, di F. Ewart (Amburgo 1899), di R. Glaser (Lipsia 1929), di A. Farinelli (Viaggio in Italia, 1740, I, Roma 1932); K. Heinemann, G.s Mutter, 9ª ed., Lipsia 1921; Briefe der Frau Rath Goethe e G.s Briefe an seine Mutter, a cura di L. Geiger, nuova ed., Lipsia 1922; P. Bastier, La mère de G., Parigi 1902; A. Paquet, Frau Rath G. und ihre Welt, Francoforte s. M. 1931; G. Witkowski, Cornelia, die Schwester G.s, 2ª ed., Francoforte s. M. 1923; A. Chuquet, La sœur de G., in Études d'histoire, I, Parigi 1902; M. Bernays, Der junge G., seine Briefe u. Dichtungen, Lipsia 1875, voll. 3; E. Wolff, Der junge G. Gedichte in ihrer geschichtl. Entwicklung, Oldenburg 1907; F. Gundolf, Goethes Kindheit, in Insel Almanach auf das G.-Jahr, XXVII, Lipsia 1932; R. Weissenfels, G. im Sturm u. Drang, Halle 1894; Der junge G., a cura di M. Morris, Lipsia 1909-12, voll. 6; II, Kindermann, Der junge G., I, Berlino 1932.
Lipsia, Francoforte, Strasburgo: W. v. Biedermann, G. u. Leipzig, Lipsia 1865, voll. 2; A. Strack, G.s Leipziger Liederbuch, Giessen 1893; J. Vogel, G.s Leipziger Studentenjahre, 4ª ed., Lipsia 1922; id., Käthchen Schönkopf, Lipsia 1920; E. Schmidt, Richardson, Rousseau und G., Jena 1875; W. Scherer, Aus G.s Frühzeit, Strasburgo 1879; H. Kindermann, Der Rokoko-Goethe, Lipsia 1932; O. Walzel, G. u. Barock, in Jahrbuch d. deutschen Shakespeare Gesellschaft, IV, Berlino 1899; S. K. v. Klettenberg, Die schöne Seele. Bekenntnisse, Schriften u. Briefe, a cura di H. Funck, Lipsia 1911; H. Dechent, G.s schöne Seele, ein Lebensbild, Gotha 1896; H. v. Schubert, G.s religiöse Jugendentwicklung, Lipsia 1925; A. Döll, G.s Mitschuldige, Halle 1903; E. Martin, G. in Strassburg, Berlino 1871; J. Froitzheim, Zu Strassburgs Sturm- und Drang-periode, Strasburgo 1888; id., Friederike v. Sesenheim nach geschichtlichen Quellen, Gotha 1893; E. Traumann, G. der Strassburger Student, Lipsia 1910 e 1923; R. Unger, Hamann u. die Aufklärung, 2ª ed., Jena 1925; E. Kühnemann, Herder, Monaco 1894, 3ª ed., ivi 1928; F. Lucius, Friederike Brion, 3ª ed., Strasburgo 1904; W. Bode, Die Schicksale der Friederike Brion, Berlino 1920; A. Bielschowski, Friederike u. Lili, Monaco 1906; T. Maurer, Die Sesenheimer Lieder, Strasburgo 1907; A. Kutscher, Das Naturgefühl in G.'s Lyrik, Hannover 1904; M. v. Waldberg, G. u. das Volkslied, Berlino 1889 (J. W. Goethe, Liriche scelte dalle migliori trad. ital., a cura di T. Gnoli e A. Vago, Milano 1932).
Dal Götz al Werther-Stella: Götz, in dreifacher Gestalt, a cura di J. Bächtold, Friburgo in B. 1882; P. Hagenbring, G.'s Götz, Halle 1911; J. Scholte Nollen, Götz auf der Bühne, Lipsia 1893 (v. anche: F. Gundolf, Shakespeare u. der deutsche Geist, op. cit.); G. Schmidt, Clavigo, Gotha 1893; G. Grempler, G.s Clavigo, Halle 1911; - H. Gloël, G.s Wetzlarer Zeit, Berlino 1911; id., Goethe u. Lotte, Berlino 1922; E. Wolff, Blätter aus dem Wertherkreis, Breslavia 1894; J. W. Appell, Werther und seine Zeit, 4ª ed., Oldenburg 1916; H. Gose, G.s Werther, Halle 1921 (traduz. italiana di G. A. Borgese, in Bibl. Romant. N. 2); F. E. v. Dürckheim, Lilis Bild, Monaco 1894; F. Servaes, G.s Lili, Bielefeld 1916 e 1920; B. Luther, Das Problem in G.'s Stella, in Euphorion, XIV (1907); E. Bötcher, G.s Singspiele "Erwin u. Claudine" und die "Opera buffa", Marburgo 1912; H. Albert, G. und die Musik, Stoccarda 1932.
Prometeo; Frammenti dello Sturm; Weimar: O. Walzel, Das Prometheus-symbol von Shaftesburg zu G., Lipsia 1910 (nuova ed. 1932); C. Cierjach, Gehalt u. Gestalt v. G.s Prometheus-Fragment, Amburgo 1929; F. Saran, G.s Mahomet u. Prometheus, Halle 1914; J. Minor, G.s Fragmente vom Ewigen Juden, Stoccarda 1904; id., G.s Mahomet, Jena 1907; F. Warnecke, G.s Mahomet Probleme, Halle 1907. - G.'s Faust in ursprünglicher Gestalt, a cura di E. Schmidt, Weimar 1887; O. Pniower, G.s Faust. Zeugnisse u. Escurse zu seiner Entstehungsgeschichte, Berlino 1889; J. Minor, Der Urfaust, Stoccarda 1901 (trad. it. dell'Urfaust, di C. Baseggio, Torino 1932); H. Meyer-Benfey, Die Entstehung des Urfaust, in Preussische Jahrb., Berlino 1923; G. Zoethe, Die Entstehung d. Urfaust, ora in Goetheaufsätze und-Vorträge, Berlino 1932. - Per i rapporti fra G. e Lavater, v. H. Funck, G. u. Lavater, Weimar 1901; con il Basedow: R. Diestelmann, J. B. Basedow, Lipsia 1887; con Jacobi: A. Schmidt, F. H. Jacobi, Heidelberg 1908; F. Warnecke, G., Spinoza, u. Jacobi, Weimar 1908. Inoltre: J. Herzfelder, G. in der Schweiz, Lipsia 1891; H. Wahl, G.s Schweizer Reisen, Gotha 1921; id., Carl August Tagebuch, eine Quelle zu G.s "Briefen aus der Schweiz", Lipsia 1929; - M. Hermann, Das Jahrmarktsfest zu Plundersweilern, Berlino 1900; . G. Bäumer, G.s Satyros, Lipsia 1905 (trad. it. del Satyros, di L. Bianchi); - E. Guglia, Die histor. Quellen v. G.s Egmont, in Zeitschr. f. allgem. Geschichte, III, Stoccarda 1886; E. Zimmermann, G.s Egmont, Halle 1909 (trad. it. dell'Egmont, di E. Burich); F. Lienhard, Das klassische Weimar, Lipsia 1909; F. Hartung, G. als Staatsmann, in Jahrbuch d. G.-Gesellschaft, IX (1922); W. Bode, Der weimarische Musenhof, Berlino 1917; id., Charlotte v. Stein, Berlino 1909; sulla Stein i saggi di E. Schmidt, in Charakteristiken, Berlino 1901-02; di J. Petersen, Aus der Goethezeit, vol. cit.; di L. Voss, G.s unsterbliche Freundin, 2ª ed., Lipsia 1922; di J. Boy-Ed, Das Martyrium der Charlotte v. Stein, Stoccarda 1916 e successive ristampe. - Per i Geheimnisse: H. Baumgart, G.s Geheimnisse u. seine Indischen Legenden, Stoccarda 1895. - J. Bächtold, G.s Iphigenie in vierfacher Gestalt, Tubinga 1883; H. F. Müller, Aeschylos Orestie u. G.s Iphigenie, Wolfenbüttel, 1909; saggi di Hettner, di K. Fischer, di Scherer (trad. it. di V. Errante, Milano 1932); E. Scheidemantel, Zur Entstehungsgeschichte v. G.s Tasso, 1896; K. Fischer, G.s Tasso, Heidelberg 1890 (trad. it. del Tasso, di B. Allason); G. Zöthe, Der Ausgang des Tasso, in Funde u. Forschungen. Festgabe f. J. Wahle, Lipsia 1921.
Viaggio in Italia; Ritorno; Schiller; Il teatro a Weimar: E. Schmidt, introduzione ai 2 voll. di Tagebücher u. Briefe G.s aus Italien, ecc., Weimar 1886; O. Harnack, Zur Nachgeschichte v. G.s italienischer Reise, in Schriften der G.-Gesellschaft, XV e XXV, Weimar 1900 e 1910; T. Cart, Goethe en Italie, Neuchâtel 1881; J. Haarhaus, Auf G.s Spuren in Italien, Lipsia 1896-98, voll. 3; G. v. Grävenitz, G.unser Reisebyleiter in italien, Berlino 1904; M. Gerhard, Die Redaktion der "Ital. Reise" im Lichte v. Gs autobiogr. Gesamtwerk, in Jahrb. des freien deutschen Hochstifts, Francoforte s. M. 1931; J. Vogel, Aus G.s römischen Tagen, Lipsia 1905; F. Landsberger, Wilhelm Tischbein, Lipsia 1908; L. Geiger, G. u. d. Renaissance, in Vorträge u. Versuche, Dresda 1890; T. Volbehr, G. u. die bildende Kunst, Lipsia 1895; W. Waetzold, Das klassische Land. Wandlungen der Italien Sehnsucht, Lipsia 1928; H. Wölfflin, G.s Italienische Reise, in Jahrb. d. G.-Gesellschaft, XII (1926); A. Farinelli, G. u. Rom, in questo Jahrbuch, XVIII, 1932; A. Paquet, G.s Reisen u. Beschreiben, in G.s Kalender, 1932 (delle molte traduzioni italiane della Ital. Reise è preferibile quella di E. Zaniboni, Firenze 1924, voll. 3). - Sul frammento Nausikaa, v. gli studî di Scherer, di Kettner, di Castle e di G. Alfero, Nausica, versione, saggio e ricostruzione critica, Napoli 1928; - E. Eggerkind, G.s Römische Elegien, Bonn 1913; R. Petsch, G.s Röm. Elegien, in Jahrb. d. freien deutschen Hochstifts, Francoforte s. M. 1931; G. Vogel, G. in Venedig, 3ª ed., Lipsia 1924; - O. Walzel, Das ästhetische Glaubensbekenntniss v. G.s u. Schillers Klassizismus, in Jahrbuch d. G.-Gesellschaft, 1930; F. Strich, Deutsche Klassik und Romantik oder Vollendung u. Unendlichkeit, 3ª ed., Monaco 1928.
Gli studî sulla natura: V. Haecker, Goethes Morphologische Arbeiten und die neuere Forschung, Jena 1927; T. Ziehen, G.s naturphilosoph. Anschauungen: G. als Seher u. Erforscher der Natur, in Untersuchungen über G.s Stellung zu den Problemen der Natur, a cura di J. Walther, Halle, 1930; J. Walther, G. als Seher u. Erforscher der Natur, Halle 1930; J. H. Schmidt, Zur Farbenlehre G.s, in Zeitschr. f. Kunstsgesch., 1932; W. v. Wasielewski, G.s Meteorologische Studien, Lipsia 1910; G.s Verhältnis zur Mineralogie u. Geognosie, Jena 1906; A. Meyer, G.s Naturkenntniss, ihre Voraussetzung in der Antike, in Jahrb. d. freien deut. Hochstifts, Francoforte s. M. 1929; H. Glockner, Das philosoph. Problem in Goethes Farbenlehre, Heidelberg 1924; P. Walden, G. u. die Chemie, in Zeitschr. für angewandte Chemie, XLV (1930), pp. 792-97; M. Gebhardt, G. als Physiker, Berlino 1932.
Ritorno dall'Italia: M. Morris, Christiane in G.s Dichtung, in Goethe Studien, II, Berlino 1902; E. Federn, Christiane v.G., Monaco 1919, 4ª ed., 1920; - A. Bossert, G. et Schiller, Parigi 1882; P. Uhle, Schiller im Urtheil G.s, Lipsia 1910; H. Grimm, Goethes Freundschaftsbund mit Schiller, a cura di S. Hirsch, Lipsia 1932; E. Boas, Schiller u. G. im Xenienkampf, Stoccarda 1851, voll. 2, ed. a cura di E. Schmidt e B. Suphan, Weimar 1893; A. Leitzmann, Die Quellen v. Schillers u. G.s Balladen, Bonn 1911; G. Schaaffs, G.s Schatzgräber u. Weissagungen des Bakis, Lipsia 1912; - E. Böhlich, G.s Propyläen, Stoccarda 1915; - Wilhelm Meisters theatralische Sendung, a cura di H. Maync; B. Seuffert, G.s Theaterroman, Graz 1923 (trad. ital. dell'Urmeister, di S. Benco, Milano 1932); J. Minor, Die Anfänge des W. Meister, in G.-Jahrbuch, IX; J. Schubert, Die philosoph. Grundgedanken in G.'s W. Meister, Lipsia 1896; M. Wundt, G.s W. M. u. die Entwicklung des modernen Lebensideals, Berlino 1913; J. E. O. Donner, Der Einfluss W. Meisters auf den Roman der Romantiker, Helsingfors 1895; - J. Wahle, Das Weimarer Hoftheater unter G.s Leitung, Weimar 1892; A. v. Weilen, Hamlet auf der deutschen Bühne bis zur Gegenwart, Berlino 1908; A. Farinelli, G.s Aufführungen spanischer Dramen in Weimar, Heidelberg 1930; - Campagne de France, nuova ed., a cura di A. Chuquet, Parigi 1884; G. Roethe, G.s Kampagne in Frankreich, Berlino 1919. - A. Sauer, Die natürliche Tochter u. die Helena Dichtung, in Funde u. Forsch. f. Julius Wahle, Lipsia 1921.
Da Hermann und Dorothea al Divan: W. v. Humboldt, Ästhetische Versuche über Hermann u. Dorothea, Brunswick 1799, e anche nell'ediz. delle opere curate dal Leitzmann; V. Hehn, Hermann u. Dorothea, Stoccarda 1893, 3ª ed., 1913 (fra le traduzioni italiane è da preferirsi quella di V. Betteloni, Milano 1913); O. Lücke, G. u. Homer, Ilfeld 1884. - Per l'Achilleis, in M. Morris, G. Studien, op. cit. (trad. it. dell'Ach. di L. Bianchi); G. H. Wahnes, Freundliches Begegnen, G., Minchen Herzlieb u. das Frommannsche Haus, Stoccarda 1927 e 1931; K. Fischer, G.s Sonettenkranz, Heidelberg 1895; O. Walzel, G.s Wahlverwandtschaften im Rahmen ihrer Zeit, in G.-Jahrbuch, 1906; id., Geistesleben des 18. u. 19. Jahrhund., Lipsia 1911; A. F. Poncet, Les affinités électives de G., Parigi 1910; G. Gabetti, Le "Affinità elettive" del G. come espressione di una crisi pessimistica, Milano 1914. - Sulla Pandora v. i saggi di W. Scherer; di M. Morris; di U. Wilamowitz-Moellendorf (in Jahrbuch d.G.-Gesellschaft); di E. Cassirer, in Idee und Gestalt, Berlino 1921; di R. Petsch (in Die Antike, IX, 1931); - A. Fischer, G. u. Napoleon, 2ª ed., Frauenfeld 1900; C. Alt, Studien zur Entstehungeschichte v. Dichtung u. Wahrheit, Monaco 1898; K. John, Dichtung u. Wahrheit, Halle 1908; G. Röthe, Dichtung und Wahrheit, in Aufsätze u. Vorträge, Berlino 1932 (trad. it. di E. Sola, Poesia e verità, Milano 1931); - Marianne v. Willemer, v. i saggi di Creizenach; di Hüffer; di K. Bahn; di E. Schmidt (in Charakteristiken, I, Berlino 1901). - Sul Westöstlicher Divan, v. il saggio di K. Burdach, in Gesammelte Schriften z. Geschichte d. deutschen Geistes, II, Halle 1925.
Ultimi anni: W. M. Wanderjahre; Faust: Ulrike u. Levetzow, Erinnerungen an G., a cur di A. Sauer, Praga 1919; H. Sauer, G. u. Ulrike, Reichenberg 1925. - Sul concetto goethiano della Weltliteratur v.: F. A. v. Schack, Pandora. Vermischte Schriften, Stoccarda 1890; E. Beil, Zur ur Entwicklung d. Begriffs der Weltliteratur, in Probefahrten, XXVIII, Lipsia 1915; F. Strich, G. und die Weltliteratur, in Jahrb. d. G.-Gesellschafst, XXVIII (1932); - Wilhelm Meisters Wanderjahre, nach der ersten Fassung d. J. 1821, a cura di M. Hecker, Berlino 1921; altri studî di F. Gregorovius; di Hettner (G. u. d. Sozialismus, in Kleine Schriften, Brunswick 1884); di K. Jungmann (Die pädag. Provinz der Wanderjahre, in Euphorion, XIV, 1907); di K. Muthesius (G. u. Pestalozzi, 1908); di J. Cohn (W. M.s Wanderjahre, ihren Sinn u. ihre Bedeutung f. die Gegenwart, 1910); di G. W. Günther (G.s sozialpädagog. Ansichten in M.s Wanderjahre im Lichte der Gegenwart, Lipsia 1920). - C. Schüddekopf, G.s Tod, Lipsia 1907.
Commenti al Faust, del Düntzer; di Loeper; di Baumgarten; di Wahl; di Hertz; di Trendelenburg; di Friedrich; e molti altri. Al solo "primo Faust" si limita l'opera di J. Minor, G.s Faust. Entstehungsgeschichte u. Erklärung, Stoccarda 1901, voll. 2; E. Traumann, G.s Faust nach Entstehung u. Inhalt, Monaco 1919-1920, voll. 2: R. Petsch, G.s Faust kritisch durchgesehen, Lipsia 1925 (per l'Italia, oltre molti lodevoli tentativi, può vedersi la versione commentata di G. Manacorda, Milano 1932, voll. 2; un ampio lavoro di L. Grassi, Commento alla vita di Faust, Torino 1932; per la genesi, V. Errante, Il mito di Faust. Dal personaggio storico al poema di G., Bologna 1924; vedi anche studi di E. Teza; di M. Kerbacher; di U. A. Canello; di G. A. Borgese; di B. Zumbini; di A. Farinelli); Les deux Faust, trad. di Gérard, ed. Baldensperger, Parigi 1932; - inoltre: K. Fischer, G.s Faust, in G.-Schriften, VI, 5ª ed., Heidelberg 1904; V. Valentin, G.s Faustdichtung in ihrer künstlerische Einheit dargestellt, Berlino 1894; O. Pniower, G.s Faust, Berlino 1899; Ch. Sarauno, Die Entstehungsgeschichte des Goethechen Faust, Copenaghen 1917; H. Rickert, G.s Faust. Die dramatische Einheit der Deichtung, Tubinga 1932; id., Fausts Tod u. Verklärung, in Deutsche Vierteljahrschr. f. Literaturwiss., III, Halle 1925; R. Woerner, Fausts Ende, Friburgo in B. 1904; H. Hefele, G.s Faust, Stoccarda 1931. Sui rapporti con Marlowe: O. Heller, Faust and Faustus, St. Louis 1931; J. Frankenberger, Walpurgis, Lipsia 1926; K. J. Obenauer, Der faustische Mensch, Jena 1922; H. Hertz, G.s Naturphilos. im Faust, Berlino 1913; M. Rieger, G.s Faust nach seinem relig. Gehalt, Heidelberg 1881; altri studî sulle tendenze religiose, di Hering; di Bornhausen; di Neubauer; di Franz; di K. Burdach (Faust. u. Moses, in Sitzungsber. d. preuss. Akad. d. Wiss., Berlino 1912; id., in Euphorion, XXIII (1932), fasc. ded. a G.; J. Petersen, G.s Faust auf d. Bühne, Berlino 1929.
Iconografia e disegni: A. Federmann, G. als bildender Künstler, Stoccarda 1931; R. Beitl, Goethes Bild der Landschaft, Berlino 1929; H. Wahl, G. im Bildnis, Lipsia 1930; in G. und die Welt (1932).