Kepler (lat. Keplerus; it. Keplero), Johannes
'Keplerus; it. Keplero)''', Johannes Astronomo (Weil, Württemberg, 1571 - Ratisbona 1630).
Di modesta condizione familiare, fu dapprima avviato a lavori artigianali, ma, inadatto a questi per la sua debole costituzione, fu poi indirizzato agli studi ecclesiastici nel seminario di Tubinga, e in essi presto si distinse. Contemporaneamente seguiva le lezioni di matematica e astronomia di M. Mästlin, da cui ebbe le prime notizie del nuovo sistema copernicano. Nel 1594 abbandonò gli studi ecclesiastici e divenne prof. di matematica nel ginnasio di Graz con l’obbligo anche di compilare almanacchi annui, nei quali molta parte era dedicata alle predizioni astrologiche. Si fece così, per talune formulazioni di oroscopi, una buona reputazione come astrologo. Noto anche come astronomo, fu invitato da Tycho Brahe a diventare suo aiuto e finì con lo stabilirsi (1600) a Praga con la famiglia. Morto Brahe (1601), gli successe nella carica di matematico dell’imperatore Rodolfo II, ma gli emolumenti erano rari e scarsi, così che la vita gli divenne assai dura. Alle difficoltà materiali si aggiunsero gravi sventure familiari: nel 1611 morì pazza la moglie Barbara Müller e uno dei cinque figli da essa avuti (altri due erano morti a Graz). La madre, settantenne, fu processata per stregoneria e da lui con difficoltà salvata dalla condanna. Risposatosi (1613) con Susanna Reuttinger, ebbe altri sette figli, che però perdette in buona parte in tenera età. Morto Rodolfo II (1612), K., pur confermato nel suo posto, dovette anche insegnare matematica a Linz, dove rimase fino al 1626. La guerra e la lotta in Austria contro i protestanti lo costrinsero a rifugiarsi a Ratisbona e poi a Ulm, quindi a Sagan, sotto la protezione del generalissimo Wallenstein, che gli aveva promesso di fargli ottenere il pagamento degli arretrati del suo stipendio. Ma nulla poté ottenere; anzi recatosi per questo a Ratisbona, morì miseramente in viaggio.
Contemporaneo di Galileo, K. fu come questo convinto assertore del sistema copernicano; e principalmente gli spetta il merito di aver riconosciuto la natura ellittica delle orbite planetarie e le leggi del moto su di esse (abbandonando la teoria del moto circolare dei pianeti e con essa il pregiudizio della superiorità e perfezione di questo moto). La sua prima opera, Prodromus dissertationum continens mysterium cosmographicum de admirabili proportione orbium coelestium (1596), svolge una teoria della corrispondenza fra le orbite dei pianeti e le proprietà geometriche dei cinque poliedri regolari: è un’opera che mostra tipicamente l’influsso su K. di una mistica pitagorico-platonica dei numeri che resta una componente essenziale del suo pensiero; tale ispirazione, con tutto il complesso di nozioni metafisiche e di rapporti simbolici che essa comporta, è dominante anche in un’altra capitale opera di K., l’Harmonices mundi libri V (1619), dove si trova formulata la 3ª delle leggi del moto dei pianeti che portano il suo nome (➔ oltre). Delle prime due leggi K. tratta invece nell’Astronomia nova seu physica coelestis tradita commentariis de motibus stellae Martis ex observationibus G. V. Tychonis Brahe (1609). Delle altre opere di K. si ricordano: la Dissertatio cum nuncio sidereo (1610; trad. it. Discussione col nunzio sidereo) in risposta al Nuncius sidereus di Galilei; la Nova stereometria doliorum vinariorum (1615); l’Epitome astronomiae copernicanae (1618-21); sono pure importanti le opere di ottica. Notevoli anche le sue Tabulae Rudolphinae (1627), rimaste in uso presso gli astronomi per più di un secolo, che permettevano di calcolare la posizione dei pianeti con una notevole precisione, di gran lunga superiore a quella ottenibile con i mezzi precedentemente in uso. K. espose idee proprie sulle stelle Novae (ebbe occasione di osservare quella del 1600 e quella del 1604) e sulle comete, e operò un profondo rinnovamento dell’ottica; ma il suo nome è essenzialmente legato alle tre celebri leggi sul moto eliocentrico dei pianeti.
1ª legge: le orbite dei pianeti sono ellissi, di cui il Sole occupa uno dei fuochi. 2ª legge (legge delle aree): le aree descritte dal raggio vettore che unisce il Sole a un pianeta sono proporzionali ai tempi impiegati a percorrerle. 3ª legge: i quadrati dei periodi di rivoluzione dei vari pianeti sono proporzionali ai cubi dei semiassi maggiori delle loro orbite. K. ricavò queste leggi in modo del tutto empirico, deducendole dalle osservazioni eseguite per lunghi anni da Brahe con notevole precisione sui vari pianeti, e specialmente su Marte, di cui K. ebbe la geniale idea di rappresentare le osservazioni come si sarebbero fatte dal Sole (invece che dalla Terra), scegliendone gruppi a intervalli di tempo multipli del periodo (687 giorni) impiegato da Marte per compiere una rivoluzione intorno al Sole. A ogni periodo il pianeta ritorna all’identica posizione in cielo, e questa e il Sole stesso costituiscono due punti fissi ai quali può essere riferita la posizione della Terra in ogni gruppo di osservazioni. Con questa specie di grande triangolazione celeste, K. tracciò per punti successivi l’orbita di Marte intorno al Sole, che riconobbe essere (dopo averla dapprima scambiata per un’ovale) un’ellisse di cui il Sole stesso occupa un fuoco (1ª legge). Contemporaneamente riuscì a formulare la legge per la variazione del movimento del pianeta nelle differenti parti della sua orbita (2ª legge). Dieci anni di sforzi e tentativi gli furono invece necessari per ricavare la relazione che lega le grandezze delle orbite dei vari pianeti coi loro tempi di rivoluzione intorno al Sole (3ª legge). In sostanza, la 1ª legge definisce la traiettoria descritta da ogni pianeta; la 2ª stabilisce la velocità con cui esso si muove sulla sua orbita; la 3ª infine determina tra i diversi pianeti un legame che permette di stabilire le loro distanze dal Sole, quando tale distanza sia conosciuta per uno qualunque di essi.
Nei primi sei capitoli dell’opera Ad Vitellionem paralipomena, quibus astronomiae pars optica traditur, pubblicata nel 1604, K. rinnovò l’ottica medievale, bandendone simulacri e specie: li sostituì con immagini formate per punti, avendo considerato ogni punto luminoso centro di emissione di raggi in tutte le direzioni. Stabilito che l’occhio vede il punto luminoso sul prolungamento dei raggi che arrivano alla cornea, spiegò la localizzazione delle immagini viste per riflessione o per rifrazione: pose in tal modo le basi dell’ottica geometrica (in senso moderno) e facilitò lo studio sperimentale raccogliendo le immagini su schermi, invece di osservarle direttamente con l’occhio, come stabilito dall’ottica fisiologica medievale. Elaborò, infine, una notevole teoria della visione, secondo la quale sulla retina si forma, rovesciata, l’immagine, ma l’oggetto si vede diritto perché l’occhio colloca a destra o in alto il punto-oggetto quando lo stimolo esterno proviene rispettivamente da sinistra o dal basso. K. applicò le nuove teorie allo studio delle lenti nella Dioptrice, pubblicata nel 1611 con lo scopo di dare un sostegno teorico al cannocchiale di Galilei, ma le sue formulazioni risultano in verità confuse per l’insufficiente conoscenza delle lenti concave. Più riuscita la teoria delle lenti convesse che consentì a K. di spiegare la funzione del cristallino, la miopia e la presbiopia; gli permise anche d’iniziare la teoria dei sistemi ottici di più lenti, enunciando il principio che l’immagine di una può fungere da oggetto per la seconda. Il principio è applicato nella proposta di un nuovo cannocchiale a oculare convesso, che sembra sia stato costruito, nel 1630 dal tedesco C. Scheiner.
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